di Aaron Pettinari
In memoria di Borsellino, della scorta, pretendendo verità e giustizia
19 luglio 2019. Ventisette anni dopo la strage si torna in via d'Amelio per onorare la memoria di Paolo Borsellino, Emanuela Loi, Agostino Catalano, Claudio Traina, Eddie Walter Cosina e Vincenzo Li Muli. Uomini e donne che hanno sacrificato la propria vita in quel disgraziato 1992. Si torna in via d'Amelio per chiedere con forza che venga placata quella sete di verità e giustizia per loro, martiri e vittime, per chi è sopravvissuto, per i familiari, per gli italiani onesti che non vogliono più assistere ad altre stragi di Stato.
Come ANTIMAFIADuemila siamo nati con l'obiettivo di dare il nostro piccolo contributo nella ricerca della verità sulle stragi del 1992-1993 ed in particolare sui mandanti esterni. Una pretesa forse utopica che si è però rafforzata in questi anni dove inchieste ed indagini stanno sempre più disvelando la loro presenza.
Cerchiamo di farlo raccontando fatti, processi, storie. E un pezzo di storia ha visto come protagonista Rita Borsellino, che oggi non c'è più ma che indica, con il suo esempio straordinario, la strada da seguire. Ricordo ancora il suo intervento in diretta televisiva su Rai Uno, durante la trasmissione FALCONEeBORSELLINO condotta da Fabio Fazio, Pif e Roberto Saviano in occasione dei 25 anni dalle stragi del 1992. Rita in televisione fece un intervento forte spezzando quel clima "politically correct" che era andato in scena per l'intera giornata. Nonostante la stanchezza, che la malattia le causava da tempo, trovava la forza per mettere all'angolo le Istituzioni presenti (accanto a lei vi era l'ex presidente del Senato, Pietro Grasso) sulla ricerca di quella verità che solo in parte oggi, grazie alle sentenze del Borsellino Quater e del processo trattativa Stato-Mafia, si riesce ad intravedere. “C’è stata molta enfasi attorno a questo 25esimo - diceva ancora la Borsellino - Io non vorrei che questo 25esimo metta un punto a certe cose. E' solo un anno in più del 24esimo, e ancora una volta dobbiamo segnare un'assenza di verità e giustizia. I brandelli, i coriandoli di verità non ci interessano, la verità la vogliamo per intero". E poi ancora: "Ci sono dei punti fermi da cui ripartire come delle sentenze, una che dice che la trattativa tra Stato e mafia c'è stata, che ci sono stati innocenti, poi colpevoli per altre cose, che sono finiti in galera perché qualcuno ha voluto mandarceli per dare in pasto all'opinione pubblica delle cose. Noi vogliamo sapere ora perché, a chi serviva e a chi è servito”.
E quelle parole devono essere spunto per ulteriori domande. Ventisette anni dopo noi vogliamo sapere per quale motivo venne ucciso il magistrato Paolo Borsellino appena 57 giorni dopo la strage di Capaci. Chi, oltre Cosa nostra, voleva la sua morte? Chi sono i mandanti esterni di quell'efferato delitto? Perché scompare l'agenda rossa? Chi si cela dietro a quello che i giudici hanno descritto come “il più grande depistaggio della storia della Repubblica italiana”?
Non so quanti verranno oggi in via d'Amelio. So, però, che ancora una volta si ritroveranno "Insieme", una parola importante, tante persone diverse, bambini, giovani, adulti, anziani, ognuna con la propria storia, la propria passione civile, la propria identità. Persone che hanno scelto di essere a Palermo per ricordare, testimoniare e sostenere anche chi oggi è in vita.
Perché per fare memoria è necessario assumersi ognuno la propria responsabilità ed anche essere presenti e vicini ai familiari di vittime di mafia che si alterneranno sul palco di via d'Amelio (Salvatore Borsellino, Vincenzo Agostino, Angela Manca, Stefano Mormile, Brizio Montinaro, Rosaria Scarpulla e Francesco Vinci), o ai testimoni di giustizia (Piera Aiello, Ignazio Cutrò, Gianfranco Franciosi e Gaetano Saffioti) o ai cosiddetti addetti ai lavori, magistrati, avvocati e giornalisti (Sebastiano Ardita, Roberto Scarpinato, Giuseppe Lombardo, Fabio Repici, Giuseppe Lo Bianco) è una manifestazione di impegno necessaria.
Così come è un atto di giustizia non isolare e delegittimare magistrati come Antonino Di Matteo, ancora oggi oggetto di una pesantissima condanna a morte della mafia, simbolo di quella magistratura che sulla ricerca della verità ha speso la propria vita e non vuole fermarsi.
Questa mattina il procuratore aggiunto di Reggio Calabria, Giuseppe Lombardo, in una lettera al quotidiano La Repubblica, ha ricordato a tutti proprio come non solo la lotta alla mafia, ma soprattutto quella contro le "menti raffinatissime" che hanno voluto la morte di Falcone, Borsellino e tanti altri, non sia una priorità dello Stato italiano. Un'amara verità sbattuta in faccia come il grido di Salvatore Borsellino che con forza torna a ribadire che non potrà mai avere pace, nonostante declassificazioni o desecretazioni di atti, finché le Istituzioni non si recheranno in ginocchio in via d'Amelio con l'agenda rossa, quella di Paolo, in mano.
L'azione della Commissione parlamentare antimafia, avvenuta nei giorni scorsi forse sarà un primo passo ma è chiaro che se lo Stato vuole davvero aprire gli armadi e tirare via tutti gli scheletri che vi sono all'interno ha l'obbligo di togliere quei segreti di Stato che si sono fin qui frapposti alla verità di tutte le stragi e dei grandi delitti.
Noi sappiamo che non furono uomini di mafia ad entrare nella villa di Carlo Alberto dalla Chiesa a svuotare la cassaforte in cui erano contenuti documenti. Sappiamo che non furono uomini di mafia a distruggre "la freca di carte" prelevate dall'armadio nell'abitazione dell'agente di polizia Antonino Agostino, ucciso con la moglie Ida, incinta, il 5 agosto 1989. Sappiamo che non furono uomini di mafia ad entrare nell'ufficio Affari Penali del Ministero di Grazia e Giustizia a manomettere e cancellare i file contenuti nel computer di Giovanni Falcone. Sappiamo che non furono uomini di mafia a sottrarre l'agenda rossa dalla borsa di Borsellino qui, in questa via d'Amelio, mentre le macchine ancora bruciavano e si prestavano i primi soccorsi. Noi sappiamo.
Il ventisettesimo anniversario è solo un anno in più del ventiseiesimo. E siamo ancora qui, cercando risposte e chiedendo verità e giustizia senza ipocrisie.
Di seguito proponiamo una riflessione dello scorso anno, per guardare dentro noi stessi e trovare la forza di non voltarsi dall'altra parte.
Caro Paolo
di Miriam Cuccu
Via d'Amelio ventisei anni dopo, tra ferite aperte e macerie da ricostruire
Sono passati ventisei anni da quando hai lasciato questo mondo. Per alcuni una buona fetta di vita, ma poco più di un battito d'ali di fronte a quella che è la Storia, che per sua natura tende a ripetersi instancabilmente, ciclo dopo ciclo.
Una Storia dove tu, Paolo, molto hai potuto fare, e molto avresti ancora potuto, se solo non ti fosse stato impedito.
Parlo del Cambiamento, Paolo. Di quell'arte di saperlo portare insieme al proprio passo, ai propri gesti, allo scegliere le parole e al parlare con le scelte. Dote assai rara per l'essere umano, e forse per questo una temuta anomalia da eliminare prima che sia troppo tardi. È ciò che hai potuto vedere mentre ti sfilavano via, uno dopo l'altro, gli ultimi giorni della tua vita.
In questi ventisei anni abbiamo visto e sentito tutto e il contrario di tutto, sull'onda di questo o di quel momento tracciato dalla Storia di cui parlavamo poc'anzi.
La gente è scesa in piazza a gridare. Sdegnata, esasperata, furiosa, perché nessuno mai più dovesse morire così. Poi si è chiusa, in casa e forse anche un po' in se stessa. Forse perché troppo stanca, magari un po' egoista oppure solo sfiduciata. Perché, se rivoluzione si voleva, non si poteva fare certo in tre giorni. Un tempo semmai appena sufficiente per farsi trasportare da un breve sussulto di ribellione, prima di lasciarsi andare alle cose di tutti i giorni, sai, la carriera, i figli, le bollette da pagare...
E - qualcuno direbbe - tanto basta per sentirsi patrioti.
Abbiamo visto persone dimenticare, ma anche riacquistare la memoria.
Abbiamo visto persone mentire, fingere, confondere le acque, accusare, subire, ritrattare, cambiare idea, versione, opinione, molte volte persino bandiera. Tutto per una sola domanda. Chi, Paolo, ha davvero voluto e potuto assassinare te e Giovanni?
Come un sasso gettato in uno stagno, ha provocato una serie di onde propagatesi su tutti i livelli.
Abbiamo ascoltato, certo, coraggiose testimonianze, ricostruzioni, racconti di aneddoti, circostanze, conversazioni, intercettazioni che, senza quei pochi audaci, mai sarebbero venute fuori. Ma anche balbettii confusi, contraddittori, da parte di uomini che - ce lo sentiamo fin dentro le ossa - qualcosa l'avranno pur saputa sulla macchina avviata per gettare al macero, Paolo, te e i tuoi folli progetti di poter cambiare qualcosa di questo mondo, che tanto amavi ma che tanto poco ti ha riconosciuto.
Abbiamo avuto presidenti della Repubblica, politici, ex ministri, poliziotti, funzionari, carabinieri restii e reticenti, quando non apertamente ostili, di fronte a chi, per quella domanda, è passato sopra alla legge non scritta, ma ben conosciuta da tutti, che parlare di Mafia è un conto, ma parlare di Stato-Mafia è un altro.
E saputo di uomini di Cosa nostra che, attenti allo svolgersi degli eventi, facevano scorta di tritolo per il prossimo magistrato da far saltare in aria. E di uomini non di Cosa nostra che assicuravano che sì, quell'attentato s'aveva proprio da fare.
Abbiamo sentito parole vuote e silenzi pesanti. Da un lato lettere minatorie, pedinamenti, incursioni, sottrazioni di documenti. Dall'altro accuse di protagonismo, di arrivismo, di politicizzazione, di giustizialismo. Ascoltato promesse di protezione mai arrivate, di atti di solidarietà smarriti chissà dove.
Perché parlare di stragi è un conto, parlare di trattativa un altro.
Abbiamo vissuto anniversari e commemorazioni, fatti ora di annunci in pompa magna, ora di “resistenze” gridate con la tua agenda rossa in mano, scivolare via come granelli in una clessidra. E osservato l'alzarsi o l'abbassarsi di quell'“onda” che ogni anno porta con sé vie d'Amelio deserte o gremite fino all'inverosimile.
E ci siamo sentiti anche un po' defraudati delle parole, quando abbiamo assistito al tramutarsi di “antimafia” e “legalità” in comodi termini usa-e-getta buoni da rispolverare una volta l'anno o, peggio, come perfetta facciata per continuare a perseguire i propri profitti. Che, di stelle dell'“antimafia” cadute in disgrazia, ne abbiamo viste... Ma allo stesso tempo abbiamo toccato la buona volontà di chi, con perseveranza e passione, costruisce ogni giorno una battaglia culturale che, fra le altre cose, è anche, ma non solo, “antimafia”.
Se ti penso, Paolo, mi viene in mente la tua foto in bicicletta quando, sollevando una mano, mostravi il segno della vittoria verso l'obbiettivo. A pensarci bene, non solo quello della macchina fotografica. Ripenso ai versi delle tue poesie, che ho avuto l'onore di leggere mentre, osservando la calligrafia nei tuoi appunti e nelle tue lettere, ripercorrevo gli anni delle tue battaglie, da Mazara a Palermo, dall'estate dei veleni al boato di Capaci.
E mi chiedo quale sia il senso di questo eterno e corale oscillare tra indignazione e rassegnazione, tra balzi in avanti e improvvisi arresti, se non passi indietro, che portano a vedere la risposta a quella domanda di cui parlavamo all'inizio, alle volte così vicina da poterla afferrare, altre un miraggio lontano e quasi impalpabile.
Ventisei anni dopo siamo ancora un paese dalle ferite aperte. Eternamente cristallizzato nella rabbia e nel dolore di tutti i familiari delle vittime di mafia (ma potremo allargarlo a tutte le vittime delle ingiustizie mai fino in fondo chiarite e sanate) che ancora aspettano risposte su quanto accadde ai propri cari.
Neanche alla tua domanda, Paolo, abbiamo saputo trovare una risposta completa e soddisfacente.
Però quest'anno, dopo ventisei anni, due sono le cose che possiamo dire con certezza, anziché ammettere amaramente di sapere senza averne le prove.
Oggi possiamo dire che sì, qualcuno ha depistato le indagini sulla tua morte e quella di chi ti proteggeva.
Oggi possiamo dire che sì, abbiamo i nomi e i cognomi di alcuni soggetti, dalla parte delle istituzioni e della mafia, che trattarono, o meglio, minacciarono e attentarono a corpo politico dello Stato.
Non è tutto, ma non è neanche poco.
È la speranza che, nel bene e nel male, comunque ne sia valsa la pena.
Le macerie di via d'Amelio saranno sempre lì, fino a quando non sarà data risposta a tutte le domande che, di anno in anno, continuano a tormentarci.
Ma c'è un'altra domanda che è lecito porci. E riguarda il ripartire da quelle macerie.
Saremo capaci, dopo ventisei anni, di non ripiegarci su noi stessi - per rabbia e stanchezza, perché la ricerca di quelle risposte sembra infinita, o per paura della disfatta - di guardare avanti, di ricostruire non solo un passato ancora a brandelli, ma un presente e un futuro che non sia più soffocato da quelle ferite a cielo aperto?
Saremmo capaci di non perderci d'animo proprio adesso, ora che finalmente possiamo leggere, nero su bianco, ciò che avevamo sempre sospettato, e cioè che fu la trattativa tra Stato e Mafia a decretare definitivamente la tua morte?
Anche a questa domanda Paolo, voglio poter dare una risposta. Senza dover aspettare altri ventisei anni.
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