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di AMDuemila - Foto e Video
Il convegno di ANTIMAFIADuemila con magistrati, giornalisti Rai e operatori dell'informazione

"Noi vogliamo veramente ricordare la memoria dei nostri eroi caduti per mano della mafia. Per questo motivo oggi faremo un convegno diverso". Ha dato così il via il direttore di ANTIMAFIADuemila Giorgio Bongiovanni alla conferenza, organizzata dalla testata giornalista e dall'associazione studentesca Contrariamente, appena iniziata presso la Facoltà di Giurisprudenza di Palermo dal titolo "Strage di Capaci. Gli assassini di Stato del giudice Falcone. Il ruolo dell'informazione ieri ed oggi". "Prima pensavamo - ha continuato il giornalista - che insieme alla mafia c'erano altri concorrenti esterni nelle esecuzioni degli attentati in continente. Ma man mano che è passato il tempo siamo riusciti a capire che 'anche la mafia' c'entra con quelle che sono stragi di Stato". E per parlare proprio delle stragi di Stato per l'occasione sono stati invitati ospiti illustri da anni impegnati in prima linea contro il crimine organizzato come l'avvocato Carlo Palermo e i giornalisti Rai Salvatore Cusimano e Paolo Mondani. Una volta ringraziati i numerosi presenti in sala, il direttore Bongiovanni ha poi concluso la propria apertura dell'evento leggendo l'editoriale dal titolo "Il 23 Maggio di Giovanni Falcone in un Paese Sporco", del giornalista e scrittore Saverio Lodato, pubblicato sulle colonne del nostro giornale oggi.



Mondani: ''Vengono cancellati i fatti e il giornalismo rischia di diventare un ingranaggio arrugginito''
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"Il logorio che il regime ha imposto al sistema dell’informazione ha fatto danni. Come un veleno dolce si è insinuato ovunque. Arrivando ad abituarci alla cancellazione dei fatti. Imponendo un modello che ha sostituito il reality al reale. Non siamo più l’avanguardia della critica del presente, siamo un ingranaggio arrugginito di un’Italia bloccata. Sono stato anni, con molti colleghi e compagni di strada, ad analizzare e denunciare i fatti politici che hanno plasmato questa Italia di oggi, le degenerazioni nel senso comune, le troppe rivoluzioni passive, il cinismo delle nostre banche, la prospettiva ristretta del mondo dell’impresa, il dilagare della corruzione, le facili scorciatoie proposte dai numerosi pifferai di destra e di sinistra, l’affermarsi della mediocrazia. Abbiamo resistito, anche a lungo, ma ora non basta più. O si inverte la rotta o rischiamo anche noi di diventare complici". E' questa la denuncia del giornalista della trasmissione Report, al convegno "Strage di Capaci. Gli assassini di Stato del giudice Falcone. Il ruolo dell'informazione ieri ed oggi" in corso in questo momento alla Facoltà di Giurisprudenza di Palermo. Un allarme, quello lanciato da Mondani "perché sennò la vicenda delle stragi di mafia diverrà, già è diventata, una straziante storia di negazione che ci costringerà in eterno nella camicia di forza delle commemorazioni. 27 anni dopo la strage il pentito Avola ricorda quello che avete letto sui giornali in queste ore, 27 anni dopo è meglio che mai, ma somministrare a una verità moribonda una medicina con questa cadenza significa ucciderla".
L'inviato di Report si è posto alcune domande chiave a cominciare dall'impegno che lo Stato dovrebbe avere contro la mafia: "Cosa dovrebbe fare? Chi ha la responsabilità del fatto che di mafia si parla sempre meno e sempre e solo in maniera retorica, per commemorare i morti o per magnificare la cattura dei latitanti? Domande complicate, ma il punto per me è un altro: c’è qualcuno che sta cercando queste risposte? Nelle istituzioni, nella politica, nel giornalismo, io credo di no. Ci sono solo mosche bianche che lo fanno. E allora. Questa insistenza nel cercare ancora la verità sulle stragi è il rovello di una minoranza che non vuole capire che la battaglia è stata in gran parte vinta, come qualche intellettuale ci suggerisce? Che certo la mafia c’è ma che si tratta di una protagonista marginale della vicenda italiana? E che lo Stato non ci stupisce più nel darci prove di contiguità con le mafie ma che in sostanza reagisce e ha reagito quando era necessario? Siamo a questo? Io penso di no. Ma se nel senso comune è passata la convinzione che la mafia sia ancora pericolosa ma tutto sommato residuale è responsabilità nostra, dei giornalisti. Anche nostra".
Mondani ha anche ricordato le accuse di giuristi, intellettuali e dei media contro il processo trattativa Stato-mafia: "Questi giornalisti che avevano giudicato in modo sprezzante la Trattativa Stato-mafia cosa hanno da dire oggi? E altri colleghi, quanti hanno scritto delle risultanze più inquietanti emersi della sentenza? Molti si sono limitati al compitino anemico facendo servizi che a malapena davano le notizie dei condannati.
Ma guardiamoci attorno, chi sta seguendo a Caltanissetta il processo ai tre poliziotti accusati di aver depistato le indagini sulla uccisione di Borsellino e della sua scorta? Quanti? Pochissimi".
E poi ancora: "Si preferisce lasciare ai media la mafia stracciona come i Casamonica e la trattativa e il caso Montante diventano notizie incredibili". Riguardo il caso del "sistema" Montante, il giornalista ha spiegato: "Credo che per la prima volta, l'ordinanza della procura di Caltanissetta dedicava un intero capitolo ai giornalisti genuflessi. Poi la commissione antimafia regionale guidata da Claudio Fava ha raccolto quei dati, convocato alcuni giornalisti coraggiosi, interrogato gli altri. Ne è venuta fuori una relazione assai indicativa. E per certi versi terribile. Non esagero. C’è il giornalista che prende soldi da Montante, quello che prende ordini, quello che veicola false notizie, quello - come Vincenzo Morgante ex direttore del TGR nazionale della Rai - che si prende la raccomandazione per una promozione da Montante, quello che piazza un parente tramite Montante, quello che blocca un articolo critico su Montante e lo avverte additando il giornalista che aveva anche solo osato pensarlo quell’articolo ecc. ecc.". "La commissione dice com'è possibile che dopo l'audizione dei giornalisti - ha proseguito - che espone la categoria, il consiglio di disciplina tenga fermi i procedimenti per anni e senza un atto istruttorio da parte dell'ordine dei giornalisti della Sicilia? Almeno l'ordine di Milano ha sanzionato Giorgio Mulè, ma qui in Sicilia non è stata scritta nemmeno una pagina. L'opinione pubblica può avere fiducia dei giornalisti se una volta beccati i pennivendoli non siamo in grado di espellerli, anzi fanno carriera? Nel mondo del giornalismo dominano gli occhi bassi davanti ai potenti. - ha concluso - Il nostro lavoro va a ramengo e c'è chi si bea del proprio orticello, oggi sostituiti semplicemente dal microfono senza giornalista.



Carlo Palermo e le ''Omissis di Stato''
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A seguire è intervenuto l'avvocato Carlo Palermo. L'ex magistrato, sopravvissuto alla strage di Pizzolungo, ha parlato di Giovanni Falcone e di quei sistemi occulti su cui il giudice aveva iniziato ad indagare poco prima dell'attentato del 23 maggio 1992. In particolare Falcone secondo Palermo "si è ritrovato a parlare di certe attività di un arabo di cui non parlava nessuno quasi a dire che non esiste e invece esiste". Di questa figura "gli unici ad averne parlato sono stati gli americani perchè a loro è servito catturarlo ed estradarlo negli USA per mostrare il terrorismo arabo alla loro popolazione e giustificare l'invasione in Irak quindi portare il terrorismo negli Stati Uniti, cosa che è esattamente avvenuta". Non solo "a Giovanni Falcone - ha continuato Palermo - gli hanno fatto fare un atto che aveva l'obiettivo di far evolvere l'integralismo islamico. Ovvero per sostituire il comunismo con quello che poi è diventato il nuovo nemico totale (il terrorismo, ndr) per far sì che sia esercitato il potere nel mondo, l'imperialismo". E' su questi fatti indicibili che Giovanni Falcone e altri magistrati, come lo stesso Carlo Palermo, consciamente o inconsciamente, avevano messo mano e per le quali sono stati oggetto di attentati e stragi. In questo quadro "la realtà - ha spiegato Palermo - è quella che risulta dall'incrocio di tutti gli omissis perchè esistono dei segreti di Stato da Portella delle Ginestra, a Gladio, a Stay Behind, alla Cellula Scorpione ancora non desecretati". E poi "quei collegamenti che esistevano negli atti dei processi sono stati mai guardati?". "Questo è il problema, - ha concluso Carlo Palermo - quello di colmare quelle lacune che sono state fino ad oggi lasciate senza soluzione dando realmente uno scopo e un significato a queste morti. Perchè se non si cerca di capire il collegamento che c'è tra queste vite e ciò che c'è stato contemporaneamente non c'è la soluzione".



Cusimano: ''Su trattativa continuare a indagare''
cusimano palermo pettinari

Substrato interno alle istituzioni continua ad agire

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All’indomani delle stragi del ’92 “ci sono stati investigatori che hanno accettato ogni giorno di incontrarmi in un posto segreto per raccontarmi i passi delle indagini”. A dirlo è stato Salvatore Cusimano, direttore della sede siciliana della Rai, alla conferenza in corso a Palermo “Strage di Capaci: gli assassini di Stato del giudice Falcone”, in occasione del 27° anniversario della strage del 23 maggio '92. “Una cosa - ha proseguito - che non è mai successa nella mia lunga vita di cronista giudiziario, e mi sono chiesto ‘perché?’, perchè era chiara la percezione che in gioco ci fosse la democrazia di questo Paese”.
Nel ricordare Giovanni Falcone, Cusimano ha fatto riferimento al fallito attentato all’Addaura: “Falcone la sera prima decise di fare il suo primo bagno. Se l’avesse fatto davvero l’avremmo perso nel 1989. Qualcuno ha spifferato la sua intenzione, ma nessuno - si è domandato l’ex cronista - ha mai indagato sulla presenza di microspie nelle case e nelle macchine di Falcone, o nel gruppo di persone a lui più vicine?”.
Quindi, commentando il processo trattativa Stato-mafia, Cusimano ha amaramente constatato che “la maggior parte delle persone indagate e condannate sono morte o ultraottantenni. E il paradosso è che forse sapremo la verità quando non ci sarà più nessuno da condannare. Certo - ha precisato - bisogna continuare a indagare” non solo per “consegnarne i nomi alla Storia di questo paese, e magari alle galere” ma anche perché “quel substrato che si muove nei meandri dello Stato e ha diretto l’operazione Capaci e via d’Amelio continua ad agire. E temo - ha concluso - che lo faccia ancora e che oggi ripieghi perchè non è ancora il momento di uscire nuovamente allo scoperto”.



Giulietto Chiesa: “L’attuale sistema informativo è corrotto. Bisognerebbe smantellarlo e sostituirlo”



Il contributo video del giornalista
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“Per quale motivo nelle stragi di Capaci e via d’Amelio troviamo complici di stato? Per il denaro”. Risponde in maniera secca e diretta il giornalista Giulietto Chiesa alle domande del direttore di ANTIMAFIADuemila Giorgio Bongiovanni, nel corso di una video-intervista proiettata nell’aula Magna della Facoltà di Giurisprudenza di Palermo durante l’evento ancora in corso dal titolo “Strage di Capaci. Gli assassini del giudice Giovanni Falcone. Il ruolo dell’informazione ieri ed oggi”.
Secondo Giulietto Chiesa è “il denaro l’elemento corruttore fondamentale” quindi quando questo “diventa enorme diventa irrefrenabile”. Al punto che “questi uomini dello Stato (i mandanti esterni, ndr), coloro che avevano dei doveri deontologici da rispettare, sono stati comprati direttamente o con la minaccia per avidità o per paura”. Per questo motivo se “vogliamo uscire da questa situazione dobbiamo ricostruire una visione del bene comune che manca nel mezzogiorno come ovunque”. Il bandolo della matassa in sostanza, secondo il fondatore della tv on line Pandora Tv, sta nel fatto che “siamo corruttibili perchè siamo soli e nelle masse solitarie la mafia e la corruzione diventano dominanti perchè ciascun individuo non si può difendere ma può fare affidamento solo alla sua abilità. Gramsci diceva che noi abbiamo bisogno di una grande riforma intellettuale e morale, questa è la chiave - sostiene il giornalista - e quindi questi due perni devono diventare il progetto di una rinascita dell’Italia.” Un progetto che non può non prescindere dal “ruolo cruciale” di un’informazione scevra di condizionamenti esterni. Sempre sul tema informazione e stampa, in relazione però ai misteri d’Italia, Giulietto Chiesa afferma “anche se venissero a galla tutte le verità sulle stragi, sul delitto Moro e sugli anni di Piombo, richiederebbe che qualcuno le racconti. Se non c’è nessuno che sa dire cosa è accaduto - continua Chiesa - si può avere soltanto un piccolo gruppo ristretto di persone che sa la verità ma non arriverà mai a raccontarla e soprattutto spiegarla agli altri. Il problema è che noi abbiamo un sistema informativo che non farà mai questa cosa se non attraverso una durissima lotta. Bisogna che questo sistema informativo attuale venga smantellato e sostituito da un’altra struttura. - conclude il giornalista - Noi abbiamo avuto un grande e pessimo educatore, la televisione, e quelli che ci lavorano sono i protagonisti della menzogna. Abbiamo bisogno di una nuova generazione di ‘raccontatori’ perchè quella attuale è completamente corrotta”.



Ranucci: "Corpo nascosto dello Stato? La Trattativa Stato-mafia e il caso Montante dovranno dare la risposta"



Il contributo video dell'autore e conduttore di Report
di AMDuemila
"Quello che mi chiedo è se una volta che si è dimostrato che si è stati vicini a scoprire un corpo nascosto dello Stato, che vive e si nutre all’interno delle istituzioni, non solo anche capace di rigenerarsi, sarà capace di processare se stesso?" E' questa la domanda dell'autore e conduttore del programma di RaiTre, Report, Sigfrido Ranucci, che si è posto nel contributo video proiettato in occasione del convegno "Strage di Capaci. Gli assassini di Stato del giudice Falcone. Il ruolo dell'informazione ieri e oggi" in corso alla Facoltà di Giurisprudenza di Palermo. "Io voglio pensare positivo perché i casi come la Trattativa Stato-mafia e il caso Montante - ha spiegato - hanno dimostrato che gli organi giudiziari funzionano. Bisogna vedere se questi colpiscono davvero il male o se ci sono delle metastasi ancora in giro". Il conduttore di Report ha poi parlato di quei sistemi di poteri che comprendono banchieri, politici, magistrati e imprenditori: "Hanno fatto il doppio gioco, lo hanno fatto solo per fare carriera o perché fanno parte di una vecchia strategia, che si è vista colorarsi nel tempo, dove sono seduti imprenditori, banchieri e mafiosi uno a sostegno dell’altro. La risposta? La dovrà dare la sentenza definitiva della Trattativa Stato-mafia e quella del caso Montante".
Ranucci ha poi parlato di una delle sue puntate in cui Report si è occupata del caso Ubi Banca. "I soldi si dice che non puzzano. Quando si tratta di fare dei conti con dei grandi fallimenti è ovvio che chi cura il passaggio da una società fallita al risanamento - adesso è più semplice perché c’è la bad company - prima non era così e quindi tutto quello che potevi racimolare lo hai portato dentro - ha detto - bisogna vedere se qualcuno spostando gli armadi da una società ad un’altra non abbia portato insieme gli scheletri e bisogna vedere se fosse consapevole di portargli da una parte all’altra - ha proseguito - E' abbastanza sintomatico ad esempio quando ci troviamo davanti a due suicidi sospetti come quello di Calvi e Sindona dove la sentenza dice che erano stati così abili da farlo sembra un suicidio".
Nel concludere l'intervista, l'autore di Report ha parlato del ruolo dell'informazione oggi: "Il ruolo dell’informazione è stato sempre vitale. Ci sono stati dei colleghi che pur di fare informazione, sono stati uccisi per mano della mafia o delegittimati dall’imprenditoria ed editori collusi affinché non parlassero dei rapporti tra mafia e potere. Ci sono colleghi che vengono allontananti e licenziati da alcune testate. Penso alle testate locali le quali sono quelle più sotto scacco da sponsor e imprenditori collusi o addirittura dove c’è il potere dei sindaci o degli enti locali". Nei casi come quello della Trattativa Stato-mafia e il caso Montante "è difficilissimo, quando le acque sono torbide, distinguere la mafia dall’antimafia e soprattutto capire cosa è diventata oggi la mafia".



Tescaroli: “Le stragi del '92-'93 hanno cambiato la nostra democrazia”



Il contributo video del procuratore aggiunto di Firenze
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“Cosa nostra è passata da anni in cui le stragi e gli omicidi eccellenti erano attività selettive, ad anni, negli anni ’90, in cui ha cambiato passo e ha portato avanti un’azione di contrasto complessivo allo Stato per condizionare le scelte politiche del governo e Parlamento. Queste azioni hanno accelerato la nomina del Capo dello Stato e in tal modo hanno sovvertito le regole dell’agire democratico”. E’ con queste parole che il procuratore aggiunto di Firenze, Luca Tescaroli, ha risposto alle nostre domande in un’intervista proiettata oggi alla Facoltà di Giurisprudenza di Palermo in occasione della conferenza dal titolo “Strage di Capaci. Gli assassini di Stato del giudice Falcone. Il ruolo dell’informazione ieri e oggi” organizzata dall'Associazione culturale Falcone e Borsellino in collaborazione con la Rete Universitaria Mediterranea e ContrariaMente. Per Tescaroli l’iniziativa della Direzione Nazionale Antimafia con la formazione di un pool che si occuperà di stragi e mandanti esterni è “apprezzabile lo sforzo dell’ufficio di stimolare le indagini proprio perché quelle stragi hanno inciso profondamente sulle nostra democrazia. - ha detto - Sono state delle stragi di tipo terroristico-eversivo”. Mentre per quanto riguarda il rapporto tra la mafia e la politica, il magistrato ha detto che bisogna “incidere e spezzare queste relazioni. Questo significherebbe fare passi importanti per debellare le strutture mafiose nel nostro Paese”. “I rapporti con il mondo imprenditoriale, la borghesia e la Chiesa - ha spiegato - consentono di trasformare le semplici strutture criminali in gruppi che riescono a raggiungere i risultati maggiori rispetto a una tipica organizzazione criminale”. Per quanto riguarda la corruzione e come questa sia utilizzata dalle mafie, Tescaroli ha detto che “le organizzazioni mafiose hanno utilizzato la corruzione per incrementare le proprie ricchezze”. Infatti, i processi degli ultimi anni “hanno registrato che il meccanismo operativo si è implementato. Ci sono nuove mafie che hanno privilegiato nel settore dell’economia il ricorso alla corruzione. Per contrastare efficacemente questo fenomeno è sicuramente importante l’impegno delle forze dell’ordine, ma non è sufficiente”. Secondo il pm per contrastare il fenomeno è “necessario che vi sia una consistente attività preventiva per cercare di aborigene di eliminare i presupposto affinché non si creino queste intese. La moralizzazione dell’agire pubblico dei partiti politici, dei cittadini è elemento fondamentale per fermare il mondo criminale che inquina istituzioni ed economia”.


pubblico


"Ciao Giovanni", la pièce artistica di Our Voice
sonia falcone relatori

di AMDuemila

Durante la conferenza ancora in corso presso la Facoltà di Giurisprudenza di Palermo, il microfono è passato nelle mani del movimento artistico culturale internazionale Our Voice. La giovane Sonia Bongiovanni si è esibita, a nome del gruppo, davanti al pubblico in sala con un monologo scritto di suo pugno sul giudice Giovanni Falcone dal titolo "Ciao Giovanni". Una pièce artistica dove Sonia, in un dialogo immaginario con Falcone, si è immedesimata nell'Italia di quegli anni e in quella di oggi. Ovvero nella complicità del Paese nella morte del magistrato palermitano, scaturita, ad esempio quando "quel giorno (il 23 maggio, ndr) ho acceso la televisione, e ho cambiato canale". Oppure quando "ti insultavo quando eri in vita, piangendo poi al tuo funerale" o nel momento in cui "ho tradito i miei e i tuoi principi". Un'opera commovente che il pubblico dell'Aula Magna ha apprezzato con un forte applauso.

Foto © Jamil El Sadi


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