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messina denaro matteo 610 intero verticaldi Davide de Bari
Per i magistrati palermitani: “Un’intercettazione è stata fatta passare ai boss”

La fitta rete di protezione che si cela attorno alla latitanza del boss di Castelvetrano, Matteo Messina Denaro, potrebbe aver subito un duro colpo. La Procura di Palermo, infatti, impegnata dal 1993 nella cattura del capomafia, oggi ha disposto un’ordinanza di custodia cautelare nei confronti dell’ex sindaco di Castelvetrano Antonino Vaccarino, già condannato per traffico di stupefacenti, massone ed ex uomo dei Servizi segreti che con il nome in codice Svetonio fu utilizzato proprio nelle indagini per arrivare al boss trapanese, del tenente colonnello Marco Zappalà, carabiniere in servizio dalla Direzione investigativa antimafia di Caltanissetta, e di Giuseppe Barcellona, appuntato dell’Arma della Compagnia della città della primula rossa di Cosa nostra.
La rete delle "talpe" è stata sventata dal procuratore capo di Palermo, Francesco Lo Voi e l’aggiunto Paolo Guido e dai sostituiti procuratori Pierangelo Padova e Francesca Dessì che accusano gli indagati di rivelazione di notizie riservate, favoreggiamento e accesso abusivo a un sistema informatico. I provvedimenti sono stati firmati dal giudice delle indagini preliminari Piergiorgio Morosini.

Il ruolo dell’ex sindaco
Secondo l’accusa Vaccarino, nel marzo 2017, avrebbe dato al boss mafioso Vincenzo Santangelo le trascrizioni di un dialogo tra due indagati, intercettati, in cui si facevano commenti negativi sullo stesso Santangelo, reo di non aver fatto pagare il funerale del pentito Lorenzo Ciamarosa ai familiari, e si parlava del possibile nascondiglio del capomafia.
Non è dato sapere, anche se i magistrati lo ritengono probabile, se a Santangelo sia stata passata tutta la trascrizione, o solo una parte.
Secondo le ipotesi della Dda Vaccarino sarebbe entrato in posesso dell’intercettazione grazie all’ufficiale della Dia arrestato stamattina dal Ros mentre stava per andare all’aeroporto di Catania.
L’ex sindaco già sotto occhio degli investigatori sarebbe poi finito nell’inchiesta quando i magistrati hanno captato l’arrivo di una mail. Secondo le indagini il giorno seguente Vaccarino si sarebbe incontrato con Santangelo e gli avrebbe rivelato parte del contenuto della conversazione intercettata in cui si fa il suo nome (“Con l’uso che tu sai di doverne fare”).
Come abbiamo detto l’ex sindaco di Castelvetrano era stato "ingaggiato" dai servizi segreti, e venne utilizzato per l’indagine sulla cattura del super boss. Infatti, i primi del duemila aveva intrattenuto una corrispondenza fatta di pizzini con Messina Denaro. Quando i magistrati di Palermo lo indagarono per concorso esterno in associazione mafiosa dopo averlo intercettato causalmente nel corso delle indagini sul latitante, lui rispose che quel contatto era in corso “per provare a giungere alla sua cattura”. Nel 2007 il Sisde, allora diretto da Mario Mori (condannato in primo grado insieme a Subranni, De Donno all’interno del processo sulla Trattativa Stato-Mafia), confermò che Vaccarino era un infiltrato e l’inchiesta venne archiviata.

Le manette scattate per Zappalà e Barcellona
Per quanto riguarda l'appuntato Barcellona secondo l’accusa avrebbe effettuato un accesso abusivo al sistema informatico e avrebbe fotografato i verbali della trascrizione della conversazione tra i due indagati che parlavano della famiglia mafiosa di Castelvetrano e del nascondiglio del superlatitante. Successivamente, a marzo 2017, l’ex appartenente ai Ros avrebbe girato a Zappalà la foto della conversazione intercettata. E Zappalà a sua volta l’avrebbe inviata per email a Vaccarino che a sua volta, il giorno dopo aver ricevuto l’informazione, si sarebbe incontrato con Santangelo.
L’inchiesta è iniziata proprio nel momento in cui i magistrati, che già tenevano sotto controllo l’ex sindaco di Castelvetrano, hanno captato la mail ricevuta da Vaccarino.
Un duro colpo quello di oggi che ha visto uno dei sottufficiali più fidati dell’antimafia, in quanto Zappalà si era anche occupato delle indagini sulle stragi di Capaci e via d’Amelio ed è stato arrestato dai suoi stessi colleghi mentre era in ufficio.
Non sarebbe la prima volta che i magistrati palermitani hanno svelato l’esistenza di “talpe” tra gli stessi organi inquirenti. Già nel novembre 2003 la procura accertò l’esistenza di alcuni “servi infedeli” che davano informazioni sulle indagini per la cattura dell’allora latitante Bernardo Provenzano. Fu aperta un’inchiesta, quella sulle talpe in Dda, che poi portò anche alla condanna per favoreggiamento a Cosa nostra l’ex presidente della regione Totò Cuffaro. Non solo. Due anni fa, l’agente dei servizi Marco Lazzari finì in manette sempre con l’accusa di fuga di notizie in quanto avrebbe riportato al boss di Gela Salvatore Rinzivillo di essere finito sotto indagine sempre nell’ambito dell’inchiesta sulla cattura di Messina Denaro. Storie di “gole profonde” che fortificano l’idea che se il boss trapanese continua ad essere latitante dal 27 anni è grazie alle protezioni, alte ed altre, che vanno ben oltre Cosa nostra.

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