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di Andrea Bonzo - Intervista
''Sottovalutare l'influenza di Cosa Nostra nel tessuto criminale mondiale sarebbe un grave errore''

Gli uomini della scorta non lo perdono di vista un secondo. Nino Di Matteo è il magistrato più protetto d'Italia. Le investigazioni da lui condotte e che continua a dirigere lo hanno trasformato nell'obiettivo numero uno dei capi più influenti della mafia siciliana: l’ormai defunto Totò Riina e Matteo Messina Denaro, considerato suo successore.

Di Matteo rifiuta l'etichetta di "eroe", nonostante i suoi oltre venti anni di lotta diretta contro Cosa Nostra. "Gli uomini che lottano contro la mafia sono persone che cercano solo di fare il proprio lavoro perché credono che quel lavoro possa essere utile per gli altri", dice durante un'intervista a Infobae in occasione del Seminario Antimafia italo-argentino che si è svolto questa settimana a Buenos Aires.

Come magistrato della Procura Nazionale Antimafia, Di Matteo ha indagato sulla trattativa tra rappresentanti dello Stato italiano e Cosa Nostra dopo gli attentati contro i giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino nel 1992. L'aprile scorso, quella indagine portò alla condanna di importanti funzionari, poliziotti, politici e mafiosi. Le sue scoperte diedero fastidio sia alla mafia che ad alcuni rappresentanti della politica e delle istituzioni.

Cosa Nostra può ancora ricattare lo Stato italiano?
Fino a quando non saranno chiariti completamente una serie di omicidi eccellenti, comprese le stragi degli anni '92 e '93, Cosa Nostra continuerà a detenere un potere di ricatto nei confronti delle istituzioni e continuerà ad essere pericolosa. Non dobbiamo dimenticare mai un fatto: dal 1993 è ancora latitante uno dei principali protagonisti di quella stagione di stragi, Matteo Messina Denaro. Molto probabilmente, lui sa chi furono le persone che collaborarono con Cosa Nostra per progettare, organizzare ed eseguire quelli attentati pur non facendo parte di essa.

Come è possibile che Messina Denaro sia ancora latitante dopo tutti questi anni?
La storia della latitanza di vari capi mafiosi - Bernardo Provenzano rimase latitante per 43 anni, Riina per più di 20, Messina Denaro da 26 - dimostra che molti di loro contano ancora su complicità istituzionali ai più alti livelli. La latitanza non si regge solo grazie alla loro capacità di fuggire. Il processo sulla trattativa Stato-mafia ha dimostrato che questi "uomini d'onore" hanno goduto di una protezione istituzionale.

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Come era e come potrebbe essere oggi Matteo Messina Denaro, in un'elaborazione al computer realizzata dalla Polizia


Alcuni dicono che la cattura di Messina Denaro è vicina. È così?
Preferisco non avventurarmi in previsioni. La speranza è che con la sua cattura si possa chiudere un capitolo che è ancora gravoso e vergognoso per il nostro paese. È una latitanza troppo lunga.

D'altra parte, molti altri capi mafiosi sono stati catturati negli ultimi anni. Qual è la situazione di Cosa Nostra dopo tutti questi arresti?
Chi conosce la storia dell'organizzazione sa che ci sono stati sempre periodi di maggiore uso della violenza ed altri di calma apparente. Ciò nasconde spesso l'interesse di mantenere un basso profilo per potersi dedicare agli affari e contemporaneamente ricostruire la propria struttura durante le fasi di crisi. Credo che in questo momento Cosa Nostra non è assolutamente sconfitta. Le uccisioni e gli episodi violenti sono diminuiti negli ultimi anni, ma Cosa Nostra è sempre la stessa: tende a riorganizzarsi seguendo le vecchie regole e, personalmente, non escludo che nei prossimi anni possa riprendere una strategia di violento attacco contro lo Stato e le istituzioni.

Cosa le fa pensare questo?
La conoscenza della storia di Cosa Nostra. Nel 1963, dopo l’arresto di molti mafiosi di Palermo, si credeva che fosse stata completamente annientata e distrutta. Ma in pochi anni, a partire dal 1970, l'organizzazione dimostrò il suo incredibile potere iniziando una scalata criminale che segnò una storia unica nel mondo. Non solo perché uccise esponenti di alto livello - giudici, magistrati, poliziotti, carabinieri, esponenti della guardia di finanza, politici, sindacalisti, giornalisti - ma anche perché riuscì a creare relazioni con i più alti livelli della politica regionale e nazionale. Per questo motivo, non dobbiamo sottovalutarla mai: comparata con altre organizzazioni, ha sempre dimostrato la sua capacità di camuffarsi per coltivare rapporti con il potere.

Lei è considerato il magistrato che attualmente affronta il maggiore rischio in Italia. Come vive questa situazione?
Sono ormai 25 anni che vivo sotto scorta. Negli ultimi anni, il livello di protezione è aumentato molto perché (nel 2013) alcune intercettazioni rivelarono la volontà di Totò Riina di uccidermi ed altri pentiti parlarono di un progetto in atto con l'acquisto di esplosivi. Questo ha portato ad un aumento esasperante della protezione.

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Totò Riina, il più sanguinario capo di Cosa Nostra, deceduto nel 2017 © Ansa


Sente l'appoggio delle istituzioni e della società civile?
Lo Stato e le istituzioni hanno risposto nel modo migliore, e non smetterò mai di ringraziare in particolare il corpo dei Carabinieri che garantisce la mia protezione. Ho ricevuto anche l'appoggio di una parte importante della società civile, anche di studenti giovani, universitari e cittadini in genere. D'altra parte, non posso omettere che negli anni in cui lavoravo alle indagini sulla trattativa tra lo Stato e la mafia ed il processo che ne seguì, alcuni rappresentanti statali e politici presero le distanze in modo prevenuto e dogmatico. Cercarono di delegittimare queste indagini e ridicolizzarle, cercarono di accusare me ed i miei colleghi di volere sfruttare le stesse per fini politici. Dopo 5 anni di processo, quando una sentenza del Tribunale ha stabilito che l'ipotesi accusatoria era fondata, preferirono cambiare strategia. La delegittimazione si trasformò in silenzio: oggi oramai non si parla del processo. È come se un muro di silenzio fosse calato su una storia che i cittadini italiani hanno il diritto di conoscere.

Cosa sentì quando nel 2017 morì Riina?
Ricordo quello che dissi e ho sentito in quel momento: pensai che non era corretto commentare sulla morte di un uomo. E la stessa cosa faccio oggi.

Lei ha detto che in alcuni posti la mafia non ha più bisogno di minacciare o ricorrere alla violenza perché è la società stessa che cerca i suoi "servizi". Con questa mentalità, si potrà mai sradicare un giorno il fenomeno o è una battaglia persa?
È difficile accettare che una parte alquanto significativa ed importante della società sia quasi arrivata ad accettare la mafia come male inevitabile con il quale dobbiamo convivere. Senza quella parte inerte così ben disposta ad accettare la metodologia mafiosa, la mafia sarebbe già stata sradicata. Tuttavia, io sono convinto che si compirà la profezia di Falcone quando diceva che la mafia, come ogni fenomeno umano, avrà una fine. Sono convinto che possiamo riuscirci. Ma sono altrettanto convinto che questo può succedere a due condizioni. La prima è un cambiamento nella politica: i governi devono capire che la lotta contro la mafia deve diventare una priorità assoluta nella loro agenda. E l'altra deve venire dal basso: ci deve essere una vera rivoluzione culturale che elimini la mentalità mafiosa iniziando dai giovani. La mentalità dell’adesione al potere, dello scambio di favore, della raccomandazione, delle lobby. Tutte quelle cose considerate strumenti per acquisire potere e che, invece, mortificano i diritti e le garanzie dei cittadini più deboli.

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I giudici italiani Giovanni Falcone (a sinistra) e Paolo Borsellino, assassinati da Cosa Nostra nel 1992


Come si può ottenere questa rivoluzione?
La scuola è importante, ma credo anche nei dibattiti che si organizzano con i cittadini. I cittadini devono sentire la vicinanza fisica degli uomini che lottano contro la mafia, per comprendere che non sono persone differenti da loro: non sono eroi, sono solo persone che cercano di fare solo il loro lavoro perché credono che quel lavoro può essere utile per gli altri. Anche la lotta contro la mafia deve trasformarsi in una lotta popolare, non solo in una lotta guidata dalle istituzioni preposte per la repressione.

In questo momento qual è l’incidenza di Cosa Nostra in America latina?
Probabilmente ora la mafia calabrese 'Ndrangheta detiene relazioni dirette con i cartelli colombiani e messicani e con il crimine organizzato in America del Sud. Ma non dobbiamo dimenticare mai che Cosa Nostra mantiene relazioni privilegiate con le famiglie della mafia che operano negli Stati Uniti e che quelle famiglie possono ancora influenzare le strategie criminali, perfino quella dei cartelli che operano in America del Sud. Recentemente, a New York, fu assassinato Frank Cali, della famiglia Gambino che alcuni anni fa, secondo le nostre indagini , emerse che fosse il collegamento con i mafiosi di Palermo. Credo che sminuire la storia di Cosa Nostra, la sua influenza e la sua forza nel tessuto criminale mondiale sarebbe un grave errore.

Articolo originale: Nino Di Matteo, el magistrado más protegido de Italia: "Subestimar la influencia de Cosa Nostra en el tejido criminal mundial sería un grave error"

Foto di copertina © Imagoeconomica

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