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di Davide de Bari - Documentario
Era la mattina del 2 aprile 1985 quando il magistrato Carlo Palermo uscì dalla sua abitazione a Bonagia per recarsi in procura a Trapani. Palermo, insieme alla scorta, viaggiava a bordo di una Fiat 132 blindata, seguito da un’altra macchina di scorta non blindata, una Fiat Ritmo. All’altezza della strada provinciale che attraversa Pizzolungo, l’auto di Palermo superò una Volkswagen Scirocco, dove a bordo c’era Barbara Rizzo, 30 anni, che accompagnava a scuola i suoi due gemelli di 6 anni, Giuseppe e Salvatore Asta. Nonostante il sorpasso, l’autobomba venne fatta esplodere comunque da Cosa nostra e la Scirocco fece da scudo alla 132 del magistrato. Il sostituto procuratore rimase ferito, ma i tre vennero spazzati via. “Sulla destra nella strada c’è una voragine di metri. - racconta Carlo Palermo nel suo ultimo libro “La Bestia” - Vedo per terra piccoli frammenti di lamiera di altri colori. Un flash nella mente mi fa muovere di scatto la testa. Le altre macchine? Dove sono? Scomparse. Mi giro attorno. Vedo tutto offuscato. Una macchia rossa in alto sulla parete di una casa richiama la mia attenzione. Mi avvicino. C’è un cancello, chiuso. All’interno, per terra, in corrispondenza della macchia in alto, piccoli resti... di un bimbo... di un elastico... fogli svolazzanti di libri di scuola”.

L’inchiesta di Trento
L’obbiettivo dell’autobomba, non erano Barbara Rizzo, Giuseppe e Salvatore Asta, ma il magistrato Carlo Palermo che aveva preso il posto a Trapani di un altro magistrato, Giangiacomo Ciaccio Montalto, ucciso nel 1983, che stava indagando sui traffici di droga. I due magistrati si erano proprio incontrati a Trento con Palermo tre settimane prima che fosse ucciso Montalto per scambiarsi informazioni riservate. Prima di arrivare a Trapani, infatti, Palermo si era occupato di un’importante inchiesta che collegava diversi misteri irrisolti ai traffici internazionali di armi e stupefacenti. Iniziò tutto il 1979 quando Assim Akkaia raccontò al dirigente della Mobile di Milano, Enzo Portaccio che la città di Trento costituiva un punto di congiunzione tra la mafia turca e quella siciliana. Gli alberghi Karinall e Romagna, appartenenti al trentino di origine altoatesina Karl Koefler, sarebbero stati utilizzati da centro di smistamento di morfina base ed eroina pura destinati a raffinerie siciliane e quindi al mercato italiano e statunitense. Al centro dell’inchiesta condotta da Palermo: i collegamenti tra Trento e la Sicilia.
Nel 1983 le indagini di Palermo sulle connessioni tra servizi di sicurezza italiani e l’attentato al Papa Giovanni Paolo II arrivarono a documenti riguardanti Bettino Craxi, da poco presidente del Consiglio, in rapporto a forniture militari all’Argentina in cambio dell’appalto per i lavori della metropolitana di Buenos Aires. Il magistrato decise così di aprire un processo contro Craxi ed altri ministri ed esponenti del Psi (vedi ad es. Lagorio, De Michelis, Pillitteri, Mach di Palmstein, Rezzonico, Larini). Ma il 20 novembre dello stesso anno arrivò la mannaia della Cassazione che decise di spostare a Venezia tutte le inchieste condotte dallo stesso Palermo. Solo nel ’92 con le indagini di “Mani Pulite” si confermarono giuste le teorie del magistrato.

statua barbara salvatore giuseppe pizzolungo

La statua in memoria a Barbara Rizzo, Salvatore e Giuseppe Asta sul luogo della strage a Pizzolungo


Arriverà la giustizia per Pizzolungo?
Per la strage di Pizzolungo il primo processo, iniziato il 10 novembre 1987, vedeva imputati: Vincenzo Milazzo, alcamese, enologo, figlio di Giuseppe Milazzo, ucciso a Gambassi Terme nel 1981, delitto di cui si era occupato il giudice Gian Giacomo Ciaccio Montalto; Gioacchino Calabrò, personaggio mafioso che compare a fianco al latitante Matteo Messina Denaro nella stagione delle stragi del 1993 e Filippo Melodia, un alcamese residente a San Miniato, in provincia di Pisa. Il 19 novembre 1989 la Corte d’Assise di Caltanissetta condannò Vincenzo Milazzo, Filippo Melodia e Gioacchino Calabrò all’ergastolo per strage. Per i giudici Vincenzo Milazzo era l’organizzatore della strage e il principale responsabile della gestione della raffineria di eroina di Alcamo. La strage sarebbe stata decisa per proteggere la fabbrica della droga dall’azione investigativa di Carlo Palermo. Calabrò avrebbe fornito le auto per la strage e avrebbe poi collaborato all’organizzazione dell’attentato. Filippo Melodia avrebbe, invece, affiancato entrambi nelle varie fasi dell’attentato. Nel processo d’Appello gli imputati vennero tutti assolti, sentenza confermata anche dal giudice Corrado Carnevale in Cassazione.
Nel 2002 la procura di Caltanissetta chiese il rinvio a giudizio per quattro imputati: il capo indiscusso Totò Riina, il referente del mandamento di Trapani Vincenzo Virga, Antonino Madonia, uno dei killer più spietati dei corleonesi e Baldassare Di Maggio, già ai vertici del mandamento di San Giuseppe Jato, neo collaboratore di giustizia. La prima udienza si svolgeva nel giugno del 2002 e in quella sede Riina e Virga scelgono il rito abbreviato. Il 22 novembre di quello stesso anno il Gup di Caltanissetta Francesco Antoni condannò all’ergastolo Totò Riina e Vincenzo Virga riconoscendoli come mandanti della strage di Pizzolungo. Fondamentale l’apporto dei pentiti, tra cui il palermitano Giovan Battista Ferrante. Lo stesso Ferrante sottolineò il ruolo di primo piano di Antonino Madonia nella strage e ricordò una riunione che ebbe luogo un mese prima nel magazzino del boss Mariano Tullio Troia tra Calcedonio Bruno, mafioso della famiglia di Trapani e lo stesso Antonino Madonia. “Alcuni giorni dopo l’attentato di Pizzolungo - spiegò Ferrante - nel corso di un’altra riunione di capi mafia, svoltasi sempre nel magazzino di Troia, Pippo Gambino, sottocapo del mandamento di Partanna-Mondello chiese a Calcedonio Bruno come era andata e lui allargò semplicemente le braccia come per dire che l’obiettivo, il giudice Carlo Palermo, purtroppo era stato mancato”. Dal canto suo il collaboratore di giustizia Nicolò Lazio dichiarò che “dopo la strage di Pizzolungo Vincenzo Milazzo, uomo d’onore della famiglia di Trapani, chiese a Baldassare Di Maggio di procurargli un vetro per sostituire quello della sua Fiat Uno, rimasto distrutto durante la deflagrazione di Pizzolungo. Milazzo proprio con quell’auto si era appartato nelle vicinanze dove era stata piazzata la Golf imbottita di tritolo per assistere all’esplosione”.
Il 29 maggio 2004 la Corte di Assise condannò Baldassare Di Maggio all’ergastolo e assolse Antonino Madonia. Nel processo d’Appello arrivò anche la condanna per Antonino Madonia. L’ergastolo fu confermato anche dalla corte di Cassazione. I giudici d'Appello inserirono a pieno titolo la strage di Pizzolungo “all’interno della strategia stragista dell’ala corleonese di Cosa nostra elaborata da Totò Riina e dalle famiglie palermitane a esso alleate tra le quali la famiglia Brusca, la famiglia Gambino e la famiglia Madonia. (…) Al contempo - si legge ancora nella sentenza -, collocandosi la strage a distanza temporale di soli pochi mesi dagli arresti ordinati dal pool dell’ufficio istruzione di Palermo, a seguito delle propalazioni di Tommaso Buscetta, l’attentato costituiva una risposta terroristica a quelle iniziative giudiziarie e doveva servire ad alzare il livello dello scontro e ad annunciare la prospettiva terroristica alla quale l’organizzazione si stava indirizzando come reazione al venir meno delle tradizionali protezioni e garanzie di carattere “politico”, un messaggio in funzione intimidatoria rivolto soprattutto a Caponnetto, Falcone e Borsellino che della rinnovata vitalità dell’iniziativa giudiziaria antimafia erano protagonisti ma anche un messaggio ai propri referenti politici perché valutassero le conseguenze di quelle scelte sul piano della rottura degli equilibri instaurati negli anni precedenti nei rapporti mafia-politica”.

Il quarto processo

Oggi a Caltanissetta è iniziato un nuovo processo che vede imputato Vincenzo Galatolo, boss dell’Acquasanta di Palermo già condannato all’ergastolo per l’omicidio del prefetto Carlo Alberto dalla Chiesa e coinvolto nel tentato attentato a Giovanni Falcone compiuto all’Addaura nel 1989. Si è arrivati a questo nuovo dibattimento con rito abbreviato, grazie alle importanti rivelazioni della figlia del imputato, Giovanna Galatolo, che riconobbe anche il famigerato Giovanni Aiello, cosiddetto “faccia da mostro”, personaggio inquietante nella storia dell’omicidio dell’agente Nino Agostino, della moglie Ida Castelluccio e il figlio che aveva in grembo. Ad accusare Galatolo c’è anche il killer, oggi collaboratore di giustizia, che uccise l’europarlamentare Salvo Lima, Francesco Onorato, il quale già al processo Trattativa Stato-Mafia parlò dei rapporti tra mafia e poteri istituzionali.
Dopo trentaquattro anni la verità di quella strage sembra essere ancora lontana, anche se i processi che si sono susseguiti avrebbero acclarato una verità parziale che riguarda solo la matrice mafiosa. Dunque, gli interrogativi che sorgono, guardando all’attività investigativa svolta da Palermo, sono molti: era solo la mafia a volere la strage? Come ogni anno, oggi sul luogo della strage saranno ricordati Barbara, Salvatore e Giuseppe.

Guarda il documentario: Diario Civile - Pizzolungo, memorie di una strage

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