di Aaron Pettinari
"Il delitto del giudice fu un'azione preventiva. Un monito per gli altri"
Il pentito conferma: "Messina Denaro mi disse dell'incontro tra Graviano e Berlusconi"
"L’omicidio del giudice Scopelliti fu un gesto preventivo che aveva più significati: l’obiettivo era agganciarlo attraverso soggetti calabresi, per tentare di avere una relazione positiva di favore sul maxi processo, che prendesse in qualche modo tempo o che non fosse istruito. Ma allo stesso tempo era anche un monito per chi avrebbe dovuto prendere il suo posto ed anche per la Corte. Riina era così, quando non riusciva in una cosa il suo obiettivo era sempre l'eliminazione".A pochi giorni dall'avviso di garanzia nei confronti di 18 persone (11 calabresi e 7 siciliani, tra i quali figura anche il boss mafioso latitante Matteo Messina Denaro) per l'omicidio del giudice Antonino Scopelliti, ucciso a Campo Calabro, nei pressi di Villa San Giovanni, il 9 agosto 1991, è il collaboratore di giustizia Giovanni Brusca a riferire in merito, nel processo 'Ndrangheta stragista, che vede imputati i boss Giuseppe Graviano e Rocco Santo Filippone come mandanti dell’omicidio dei carabinieri Fava e Garofalo e degli agguati contro gli altri militari in Calabria tra la fine del 1993 ed i primi mesi del 1994.
Nel corso dell'esame Brusca ha anche riferito di un altro tentativo, oltre a quello con Scopelliti, di aggiustamento del maxi processo: "Fu effettuato attraverso don Stilo che era amico di Antonio Salamone, ex capo mandamento di San Giuseppe Jato. Don Stilo lo incontrai a Roma, in occasione di quel tentativo di aggiustamento in Cassazione. Lui andò a parlare con un soggetto, un avvocato, ma non poté fare nulla di particolare. Ricordo che eravamo io e mio fratello". Un altro aggancio venne tentato tramite un altro avvocato: "Si chiamava Lupis o Lapis, che operava a Reggio Calabria, in quanto aveva contatti in Cassazione. Si cercavano canali alternativi perché i nostri non avevano dato frutti. Lima in particolare non era riuscito a portare nulla. Ma ognuno portava qualcosa sfruttando gli agganci politici o giudiziari".
'Ndrangheta-Cosa nostra asse dal sapore antico
Già sentito dalla Procura di Reggio Calabria, il 2 ottobre 2018, l'ex boss di San Giuseppe Jato, rispondendo alle domande del procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo, pur non sapendo nulla di specifico sul delitto, ha riferito dei rapporti tra i calabresi ed i siciliani, nel corso del tempo. Relazioni che vedevano come protagonista proprio il Capo dei capi, Totò Riina. "Io so che lui era molto amico, e si parlava anche di comparato, con i Piromalli. Non so con chi l'aveva questa amicizia e si era anche messo in mezzo per sistemare alcune faide".
Ma i rapporti con i calabresi, secondo quanto riferito oggi dal teste, erano anche più antichi. Addirittura vi sarebbe stata un'antica relazione tra la cosca dei De Stefano e Stefano Bontade: "Non so quando sia nata ma ne parlai con mio padre in un'occasione. Si era arrivati a parlare di Gaspare Pisciotta,che avevano agganciato una guardia penitenziaria per fare entrare il veleno dentro il carcere ed ucciderlo o addirittura fu la guardia stessa a farlo. Questo avvenne nel periodo dell'eliminazione dei soggetti della banda Giuliano. Ma c'erano anche rapporti per delle messe a posto".
Altri collegamenti tra la criminalità organizzata siciliana e quella calabrese Brusca li aveva appresi sempre da Riina, da Bagarella e da altri. "So che degli amici di Antonino Marchese,che avevano dei problemi, furono ospitati nella latitanza dal mandamento di Brancaccio dei Graviano - ha aggiunto - Ma anche altri calabresi avevano dei rapporti con i fratelli Vitale per compiere attentati. Michele Grecoaveva i suoi contatti, così come i catanesi. So che il gruppo Santapaola-Ercolano aveva ottimi rapporti e furono anche scambiati favori di omicidi. Ricordo che c'era un cognato o un parente di Nitto Santapaola,che stava a Reggio o Messina, che era il referente per la Calabria".
La strategia stragista
L'ex capomandamento di San Giuseppe Jato ha poi parlato della strategia stragista che si è consumata negli anni Novanta nel momento in cui Riina capisce che la situazione per Cosa nostra sta per precipitare. "Io ero il reggente del mandamento di San Giuseppe Jato - ha spiegato - si arriva alle stragi perché si doveva eliminare Falcone che era diventato un ostacolo sotto ogni punto di vista, politico e mediatico. Quando andò a Roma si capì subito che avrebbe potuto fare ancora più male. Già quando accettò l'incarico al Ministero si decise di colpirlo. Vennero anche studiati più tentativi per ucciderlo a Roma. C'erano più squadrate, finché Riina poi mi diede l'ordine di ucciderlo a Palermo con autobomba. Poi c'erano tutta una serie di problematiche che riguardavano la volontà di intervenire sulla legge dei pentiti, sull'ergastolo, sulle misure di prevenzione". Brusca ha anche ricordato che Lima fu eliminato "perché non aveva rispettato i patti per intervenire presso la Corte d'appello e poi per la Cassazione affinché il maxi processo andasse a Carnevale. C'era stato un disinteresse totale rispetto le richieste proposte di Riina".
Nel corso dell'esame il teste ha anche parlato dei rapporti fra Graviano e Riina: "Fino ad un certo punto, quando c’era Giuseppe Lucchesei rapporti erano buoni, i Graviano si mettevano a disposizione. So che questi rapporti si sono intensificati quando Giuseppe Gravianocominciò a contattare direttamente Riina. Io trovai questo rapporto ottimo. Dopo l’arresto di Riina in quattro o cinque abbiamo sposato la sua linea (lo stesso Brusca, Giuseppe Graviano, Leoluca Bagarella, Salvatore Biondo, detto il corto, e Matteo Messina Denaro, ndr), c'era la volontà di far tornare questi (i carabinieri, ndr) a trattare, e di portare anche avanti la linea stragista di Riina. Mentre tutti gli altri hanno fatto un passo indietro". In particolare tra quelli che si sarebbero "defilati" in un dato momento vi sarebbe stato anche Bernardo Provenzano: "Dopo l’arresto di Riina, in un incontro con Bagarella e Provenzano, questi si tirò indietro dicendo 'come faccio?', metteva ostacoli, creava difficoltà. Alla fine dice 'ma io come faccio con gli altri?', riferendosi a Benedetto Spera e Nino Giuffrè.E Bagarella gli disse: 'Prendi un cartellone e gli scrivi che tu non sai nulla di quello che avverrà da questo momento in poi'. Mi sorpresero le modalità con cui Bagarella si rivolse a Provenzano, tanto che questi voleva prendere il posto di Riina, ma Bagarella si mise di traverso e non lo prese più nessuno, di fatto. Si era come creata una spaccatura".
Dalla trattativa al contatto Graviano-Berlusconi
Così come ha fatto in altri processi Brusca ha anche riferito della ricerca di nuovi referenti politici passando proprio dalla nascita di un progetto chiamato Sicilia Libera. "Questo progetto non andò a buon fine - ha ricordato - ma nell'intento portava al distacco della Sicilia dall'Italia. Bagarella in particolare spingeva in questo progetto che veniva portato avanti tramite Tullio Cannella e Cesare Lupo. Poi arrivò un momento in cui questa lista si sarebbe dovuta aggregare a Forza Italia".
Così come aveva fatto al processo sul depistaggio della strage di via d'Amelio, ha confermato le sue recenti dichiarazioni sul presunto incontro tra Graviano e l'ex premier Silvio Berlusconi. "So per certo che il contatto c'è stato perché nel 1995 me lo disse Matteo Messina Denaro - ha detto Brusca - Stavamo parlando di orologi quando ad un certo punto mi disse che Graviano ne aveva visto uno dal valore di cinquecento milioni al polso di Berlusconi. Quando è avvenuto questo incontro però non lo so dire".
Il pentito ha solo accennato del papello e della trattativa mentre anche confermato che dopo l'arresto dei Graviano, avvenuto nel gennaio 1994, e prima delle elezioni politiche del 1994, assieme a Bagarella decise di inviare Vittorio Mangano (l'ex stalliere di Arcore, ndr) in quel momento al vertice del mandamento di Porta Nuova, da Dell'Utri e Berlusconi: "Lessi su l’Espresso un articolo che parlava dei rapporti di Vittorio Manganocon Dell’Utri, Berlusconi e Confalonieri.Così ne parlai a Bagarella e decidemmo di chiedere a Mangano se poteva portare le nostre richieste a Dell’Utri e Berlusconi. Mi ricordo che Mangano credeva proprio di poter incontrare Berlusconi che doveva scendere in Sicilia per le elezioni. Credo che poi Mangano non si è incontrato direttamente con Berlusconi. Poi ci furono incontri con Dell'Utri”.
Infine, sempre rispondendo ad una domanda del pm Lombardo, sulla trattativa ha dichiarato: "Io dei carabinieri non seppi nulla all'interno di Cosa nostra. Del coinvolgimento dei carabinieri l'ho saputo grazie ad un articolo di Viviano, al che io poi feci due più due. Fino a quel momento pensavo a qualcosa solo di politico. Ma a dire del Riina avrebbero dovuto saperlo Giuseppe Graviano, Matteo Messina Denaro e Biondino il lungo,perché di questa cosa disse che ne sapevano i picciotti ed i picciotti era sempre riferito a loro. Loro erano a conoscenza della trattativa, di questo contatto di come era venuta fuori e di come si era sviluppata fino a quel momento. In sostanza erano più informati di me. Lui mi disse che 'si erano fatti sotto' e che 'c'era questa entità' per chiedere cosa volessimo per finirla. E disse che di queste cose lo sapevano i picciotti e anche Leoluca Bagarella".
Dossier Processo 'Ndrangheta stragista
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