di Aaron Pettinari
Il Presidente Fava ha presentato ieri la relazione dell'inchiesta
Le origini dell'inchiesta nissena "Double Face", l'esistenza di un "cerchio magico", il rapporto stretto con gli organi di informazione. C'è tutto questo nelle 121 pagine di relazione presentata ieri dalla Commissione Regionale Antimafia, presieduta da Claudio Fava, all'Ars sul cosiddetto "sistema Montante". Un documento, approvato all'unanimità dai commissari, frutto di centinaia di ore di audizione, decine di migliaia di pagine acquisite sia dall’autorità giudiziaria che dall’amministrazione regionale, dieci mesi di lavoro intenso, quarantanove audizioni.
Durante la conferenza stampa Fava ha persino definito il sistema come un vero e proprio "governo parallelo" che "per anni ha occupato militarmente le istituzioni regionali e ha spostato fuori dalla politica i luoghi decisionali sulla spesa". "Abbiamo assistito per anni a una privatizzazione della funzione politica che ha trovato un salvacondotto in una presunta lotta alla mafia. Parlo di sistema non a caso - ha aggiunto Fava - perché si è andati avanti grazie alla benevolenza, alla complicità e alla solidarietà di personaggi appartenenti ai settori più diversi: da quelli istituzionali, a quelli delle professioni. Un sistema con una sua coesione che si è auto protetto". "Dopo l'iscrizione di Montante nel registro degli indagati per concorso in associazione mafiosa e la diffusione della notizia sui giornali - ha proseguito il presidente dell'Antimafia - le tutele di cui Montante godeva, invece di venir meno si sono addirittura rafforzate".
L'obiettivo che si è data la relazione è stato quello di comprendere "i meccanismi che hanno reso possibile una lunga stagione di anarchia istituzionale". E l'analisi che emerge dalla lettura delle pagine della relazione è amara: "La forzatura delle procedure, la sistematica violazione delle prassi istituzionali, l’asservimento della funzione pubblica al privilegio privato, l’umiliazione della buona fede di tanti amministratori, l’occupazione fisica dei luoghi di governo, la persecuzione degli avversari politici, fino al vezzo di una certa ‘antimafia’ agitata come una scimitarra per tagliare teste disobbedienti e adoperata come salvacondotto per se stessi attraverso un sillogismo furbo e falso: chi era contro di loro, era per ciò stesso complice di Cosa nostra. Un repertorio di ribalderie spesso esibito come un trofeo: era il segno di un potere che non accettava critiche e non ammetteva limiti”.
Fava ha anche raccontato dell'esistenza di accordi per le nomine dei vertici istituzionali regionali: "Abbiamo accertato che alcuni dirigenti regionali sono stati selezionati attraverso dei veri e propri 'provini' fatti a casa di Montante che era un privato cittadino. In un caso un dirigente è stato indotto a mettere per iscritto che avrebbe mantenuto fede a certi impegni. Una sorta di scrittura privata usata come garanzia che i 'desiderata' di Montante sarebbero stati osservati". "I dirigenti erano di due tipi - ha spiegato Fava - quelli fedeli da premiare, sottoposti a forme di quasi vassallaggio, e
quelli da cacciare". Fava ha denunciato "un vero e proprio asservimento all'ex presidente di Sicindustria, ora sotto processo per corruzione, da parte di una larga fetta della pubblica amministrazione. Asservimento proseguito anche dopo la pubblicazione della notizia dell'inchiesta a suo carico per concorso in associazione mafiosa (quell'indagine venne poi archiviata, ndr)".
Gli incontri con ministri e prefetti
Nonostante le notizie delle indagini fossero state aperte Fava ha evidenziato come "Calogero Montante ha continuato a incontrare il capo della polizia, i prefetti e l'allora ministro dell'Interno Angelino Alfano senza che nessuno abbia almeno atteso la conclusione della vicenda giudiziaria. E questo è preoccupante. Anzi gli si è anche aumentata la scorta". "Come giustificazione della decisione di aumentare la scorta all'ex presidente di Confindustria Sicilia - ha spiegato Fava - hanno addotto l'autonomia dei vari rami dell'amministrazione". "Alfano - ha continuato - lo ha anche nominato nel consiglio direttivo dell'Agenzia dei Beni confiscati alla mafia. La notizia dell'inchiesta già circolava nonostante ancora non fosse stata pubblicata dai giornali: come è che il Viminale non sapeva nulla?".
Il lato oscuro dell'informazione
Un capitolo intero della relazione è dedicato ai rapporti con l'informazione e viene messo in evidenza come nel 'sistema' Montante "i giornalisti o erano amici o nemici. Ci sono stati colleghi che l'hanno sostenuto in cambio di qualche segno di attenzione: la pubblicazione di un libro o un invito ai tavoli che contavano. Altri hanno tenuto la schiena dritta e hanno fatto il loro dovere e sono finiti nel 'libro nero', spesso subendo vere e proprie azioni di dossieraggio". L'ex Presidente di Sicindustria, oggi sotto processo per corruzione, avrebbe avuto a libro paga esponenti istituzionali, delle forze dell'ordine e dell'informazione riuscendo a mettere su, grazie alle informazioni ricevute, un enorme archivio usato per ricatti e per acquisire notizie sulle indagini per concorso esterno in associazione mafiosa aperte a suo carico nel 2014 dalla procura di Caltanissetta. "Viene fuori - ha spiegato Fava - una luce opaca sul mondo dell'informazione anche se diversi colleghi hanno fatto il loro dovere". Nel suo intervento Fava ha anche puntato il dito contro l'assenza di controlli, in passato, su violazioni deontologiche da parte dei giornalisti.
Il politico Giuseppe Lumia
Dito puntato contro Lumia
Nei mesi scorsi era emersa la notizia che tra gli indagati della Procura di Caltanissetta sul leader di Confindustria Montante figurano anche l’ex senatore Pd Giuseppe Lumia, l’imprenditore Marco Venturi, l’ex presidente dell’Ast Dario Lo Bosco e poi anche l’ex direttore generale dell’azienda trasporti, Emanuele Nicolosi. Ma ugualmente si evidenziava che lo stralcio di questa terza tranche, andava verso l’archiviazione.
Tuttavia nella relazione della commissione diverse pagine vengono dedicate proprio alla figura dell'ex senatore Pd, considerato come l’ideologo del ribaltone, cioè l’entrata dei dem nel governo regionale di Raffaele Lombardo nel 2009. Ma anche tra gli artefici della vittoria elettorale di Rosario Crocetta. “Il demiurgo di questa operazione - si legge nella relazione - come riferito da molti nel corso delle audizioni, sarebbe stato il senatore Giuseppe Lumia, un ruolo che anche le carte al vaglio dell’Autorità Giudiziaria nissena sembrano attribuirgli. Un sistema trasversale che propone un obiettivo: stare con chi vince o, addirittura, decidere chi sia a vincere. Insomma una Regione dentro la Regione: quella ufficiale contrapposta ad un’altra, sommersa ma assai più incidente. Durante quegli anni l’idillio tra il sistema confindustriale siciliano e gli esecutivi regionali, a prescindere da chi ne fosse il titolare pro tempore, ha sempre avuto un suo punto di riferimento costante nella scelta dell’assessore alle Attività Produttive della Regione Siciliana, appaltato per due legislature in modo formale e sostanziale a Confindustria: e dunque anzitutto a Montante che indicherà per quell’incarico prima il responsabile dei giovani industriali nisseni Marco Venturi e poi, più esplicitamente, una funzionaria di Confindustria Sicilia, dunque una sua dipendente, la dottoressa Linda Vancheri".
Vengono ricordate le parole di Alfonso Cicero, prima "schierato" con Montante e poi suo accusatore, per cui “era chiaro che l’occupazione di tutti i posti da parte di Lumia e di Montante non era finalizzata a questo progetto di legalità. Mi scusi, Presidente, io facevo le denunce, non so loro. Loro non hanno fatto niente“. Ma ad accusare Lumia era stato soprattutto il Governatore in carica della Sicilia, Nello Musumeci: "Dico subito che più che ‘sistema Montante’ io lo chiamerei ‘sistema Lumia‘. Il vero regista di quel ‘cerchio magico’ - a mio avviso - era il senatore Lumia. Montante si occupava di mantenere i contatti col mondo imprenditoriale, perché il sistema era di potere ed economico. Basti pensare che in questi ultimi nove anni tutto ruota attorno alle scelte determinate da Lumia, il quale ha avuto l’abilità di assumere una posizione defilata, proprio per non richiamare le attenzioni sul suo ruolo che, invece, era un ruolo assolutamente di primo piano. Lumia aveva il compito dell’arruolamento. Non è un caso che nel Palazzo del potere per eccellenza, nell’ultima stanza in fondo al corridoio, ci fosse il regista, il senatore Lumia”. L’ex assessore all’Energia Nicolò Marino, che di professione fa il magistrato, va oltre: “Lumia dava la veste politica e di copertura anche ragionevole o razionale a delle azioni che erano in palese violazione di legge. Se io dovessi qualificare cosa fosse il sistema Montante, questo era un gruppo politico-affaristico che operava con modalità massoniche. Per modalità massoniche intendo una fratellanza fra poteri in uno scambio di reciproche utilità, che aveva un programma ostensibile che era quello della legalità. Che non era però il vero obiettivo perseguito. Il vero programma era quello di chiudere affari utilizzando quel tipo di copertura”. Lumia ha sempre allontanato le accuse nei suoi riguardi e, audito anch'egli dalla Commissione, ha evidenziato al massimo di aver avuto un ruolo politico ma di essere stato assente quando la discussione passava sul terreno della gestione, cioè delle decisioni ("Escludo nel modo più totale che la presenza di Lumia nel Governo della Regione fosse giocata sul piano gestionale. Il mio compito era politico, esclusivamente politico e sa, purtroppo... quando in Sicilia si ha qualche abilità politica è chiaro che le leggende metropolitane fioccano").
Secondo la Commissione regionale antimafia il "Sistema Montante" non è stato un "nugolo di turibolanti, di clientes che aspettavano l’elemosina ma un teorema sul potere, una geometria lucida, netta, apparentemente inossidabile, una sorta di costituzione materiale della Regione Siciliana capace di resistere per una lunghissima stagione e di interferire sull’indirizzo politico, amministrativo e di spesa delle istituzioni regionali determinando coalizioni e assetti di governo".
Nelle carte si scrive anche che "quel sistema è esploso, l’inner circle di Montante si è frantumato, qualcuno è sbarcato all’ultimo minuto utile da una nave ormai quasi affondata, molti hanno scelto altri cammini politici e altri destini personali" e si chiede anche cosa resta oggi di Confindustria Sicilia ("Che ne è stato del suo ruolo al centro di questa galassia di interessi, asservimenti e favoritismi?”). E tra le righe è evidente il pensiero che certe influenze potrebbero anche non essersi concluse. La conclusione della relazione è amara: "Scriveva Bolzoni, in un suo articolo del 10 febbraio 2015, di 'un’antimafia senz’anima, un’antimafia padronale che - non sempre, ma spesso - si impone per i propri interessi economici e le proprie convenienze politiche. E’ una consorteria che nulla ha a che fare con la storia nobile e dolorosa che comincia a Portella della Ginestra e passa per Pio La Torre. E’ un’antimafia di pochi. La vicenda di Antonello Montante è la metafora di quest’antimafia'. Insomma sapevamo. E abbiamo tollerato. Affinché vicende come quelle descritte non abbiano mai più a ripetersi occorre ripartire, con umiltà, anzitutto da questa ammissione".
Foto © Imagoeconomica
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