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Il collaboratore di giustizia: “Dopo averlo visto al Viminale era molto teso"

A Borsellino feci diversi nomi e fra questi quello di Bruno Contrada, uomo che avevo indicato come personaggio fra i più pericolosi e importanti di Palermo e che da un certo periodo aveva contatti con i mafiosi”. E’ il pentito Gaspare Mutolo a ricordare di quel famoso interrogatorio con il giudice Borsellino. L’ex uomo d’onore di Partanna Mondello è stato chiamato nuovamente a testimoniare davanti a dei giudici, questa volta ascoltato nell’ambito del processo in corso a Caltanissetta ai danni del superlatitante Matteo Messina Denaro, accusato di essere uno dei mandanti delle stragi di Capaci e via d’Amelio. In quell’incontro con Paolo Borsellino che “doveva essere in gran segreto”, come aveva già detto in altre occasioni, Mutolo ha ricordato che il giudice venne raggiunto da una chiamata direttamente da Nicola Mancino, all’epoca appena insediatosi al Ministero degli Interni. Dopo quella telefonata Borsellino si è dovuto assentare per recarsi proprio al Viminale. Al suo “rientro mi sembrò molto preoccupato, tant’è che aveva due sigarette in mano” ha raccontato il pentito. Il motivo di tale “preoccupazione” era legato all’incontro con l’ex 007 del Sisde Bruno Contrada, che Borsellino vide al Viminale una volta uscito dall’ufficio di Nicola Mancino. Contrada, sapendo della collaborazione di Mutolo, “si sarebbe messo a disposizione in caso di bisogno”. “Borsellino pensava che nessuno sapesse dell’incontro con me - ha precisato Mutolo - e invece la mia collaborazione sembrava essere diventata il segreto di Pulcinella. Tutti sapevano di quell’incontro. Con Borsellino abbiamo verbalizzato la storia della mafia per iniziare a fare i primi arresti ma c’erano altre cose delicate che in quel momento non gli riferì perchè altrimenti saltava tutto in aria”. Gaspare Mutolo ha anche raccontato al pm Gabriele Paci di quando venne assassinato Giovanni Falcone, l’unica persona con la quale il pentito sentiva di poter avviare il processo di collaborazione con la giustizia, quando decise che l’uomo che avrebbe dovuto ascoltare ciò di cui era a conoscenza era Paolo Borsellino, che Mutolo conobbe già nel lontano 1975. Dopo Falcone, Borsellino era l’unico di “cui mi potevo fidare perchè lui la mafia la voleva combattere veramente”. Ma per questa ferma volontà di voler rivelare i segreti di cui era conoscenza solo a Borsellino “erano nati dei disguidi, c’era il procuratore Giammanco che aveva completamente puntato i piedi dicendo 'lo dobbiamo dire noi con chi deve collaborare'. Ma io ero ormai convinto e resisto alle pressioni anche di Gianni De Gennaro, che veniva a trovarmi spesso, e io infatti avevo ritardato a collaborare”. Di fatti la decisione di Gaspare Mutolo di collaborare venne comunicata a Giovanni Falcone il 15 dicembre 1991 e potè parlare con Borsellino solamente il 1° luglio 1992, “un incontro che si è fatto in segreto perchè c’era stato tutto quel ritardo. Stavano prendendo tempo” ha detto ai giudici. Gaspare Mutolo in aula si è espresso anche sul maxi processo, dove egli stesso era imputato. “Quando doveva uscire la sentenza, tutti sapevano che sarebbe finita male. L’ultimo tentativo che avevano fatto i mafiosi, era stato l’omicidio del giudice Antonino Scopelliti. Era impegnato in Cassazione per il maxi processo. In carcere erano preoccupati perché avevano tolto Carnevale. Dopo la sentenza la reazione della mafia doveva essere quella di rompere le corna a tutti”. L’ex affiliato, pentito dal 1991, rispondendo ad una domanda del Pm Gabriele Paci sulla cosiddetta dissociazione, ha riferito che “i mafiosi avevano compreso che se avessero detto di non appartenere a Cosa nostra, ne avrebbero tratto dei benefici. Questa cosa fece arrabbiare molto Borsellino”. L’udienza è stata rinviata al 3 aprile dove verranno ascoltati i teste Raffaele Ganci, Vincenzo Sinacori e Santino Di Matteo.

Foto © Shobha

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