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di Lorenzo Baldo - Foto
Dopo gli scioperi e le denunce di Greta Thunberg mobilitazioni di protesta in tutto il pianeta

In Nuova Zelanda sono stati i primi a scendere in piazza per rispondere all’appello di Greta Thunberg, la sedicenne svedese che ha deciso di dedicare la propria vita a salvare il mondo dal cambiamento climatico. Ma è durata poco la manifestazione scaturita dalla protesta globale promossa da questa giovane ragazza. Che dal mese di agosto dello scorso anno sciopera ogni venerdì davanti al parlamento svedese per denunciare le drammatiche conseguenze dell’inquinamento prodotto dall’uomo e chiedere di fermarle. La strage della moschea di Al Noor, nella città neozelandese di Christchurch, con 49 morti, ha inevitabilmente catalizzato l’attenzione. Agli occhi di tutto il mondo si è materializzata un’ennesima terribile carneficina. Che ha tutte le caratteristiche per risultare “funzionale” ad un sistema criminale globale che risponde con violenza alla presa di coscienza collettiva scatenata da questa ragazzina affetta dalla sindrome di Asperger.

Il mondo unito da Greta
Nel frattempo in tutto il pianeta si svolgono migliaia di manifestazioni di protesta: un filo invisibile unisce l’Australia all'Europa e all'Africa passando per le Americhe e per l’Asia.
“Non saremo noi a cambiare il mondo, non si può aspettare che cresciamo. È necessario che i grandi agiscano adesso”, ripete da mesi Greta. Per poi aggiungere con estrema convinzione: “Non mi fermerò. Non fino a quando le emissioni di gas serra non saranno scese sotto il livello di allarme”. Rimbombano ancora le parole del suo discorso pronunciato lo scorso 4 dicembre davanti alla platea della Cop24 delle Nazioni Unite e al mondo intero: “Nell'anno 2078 festeggerò il mio settantacinquesimo compleanno, se avrò dei figli probabilmente trascorreranno quel giorno con me, e forse mi chiederanno di voi, forse mi chiederanno perché non avete fatto niente quando c’era ancora tempo per agire. Dite di amare i vostri figli più di ogni altra cosa, eppure gli state rubando il futuro proprio davanti ai loro occhi”. Quest’ultima frase prende forma su uno striscione sul lungomare di Porto Sant’Elpidio (Fm) alla manifestazione a cui hanno aderito alcune scuole primarie (“Mercantini”, “Rodari” e “Martiri”, a cui si è aggiunta la scuola secondaria di I° grado “Marconi” I.I.S.S. “Urbani”). Sotto un sole primaverile si sono visti più di 500 bambini, con un’età compresa tra i 6 ai 10 anni. Gridano slogan rivolti a chi ha il potere di cambiare lo stato delle cose: “State attenti voi potenti. Noi non siamo più contenti. Ogni bimbo sì lo giuro vuole sano il suo futuro!”. Sono allegri e spensierati mentre tengono alti i loro cartelli. Ma ci sono anche le lacrime di Francesca, una bimba di colore dai capelli ribelli. Francesca piange per il pianeta, i suoi compagni se ne accorgono e chiamano la maestra che le sussurra qualcosa. Pochi secondi e torna felice come solo i bambini sanno fare. Tutt’attorno, in ordine sparso, si vedono diversi genitori. Alcuni scattano foto, altri osservano in silenzio questa marea multicolore, altri ancora commentano la vergogna di dover far manifestare i propri figli per salvaguardare un futuro che gli stessi adulti non sono stati in grado di proteggere. E’ come se Greta Thunberg fosse lì ad osservare queste persone, nello stesso modo in cui osservava seria la platea del Forum economico mondiale (WEF) di Davos alcune settimane fa. “Non voglio il vostro aiuto – aveva detto senza enfasi –, non voglio che siate senza speranza. Voglio che andiate in panico per sentire la paura che provo ogni giorno. È il momento di essere chiari: risolvere la crisi climatica è la sfida più grande e complessa che l'umanità abbia mai affrontato”. Una sfida volutamente accantonata dai capi di Stato delle più grandi potenze mondiali che continuano a danzare mentre il Titanic affonda, e mentre tante persone continuano colpevolmente a votarli. La gravissima posizione degli Stati Uniti (e non solo) sulla questione climatica rappresenta l’emblema di un vero e proprio ricatto a livello globale sull’altare di profitti economici.


Un “Olocausto” a fuoco lento
“Il capitalismo, il modello di sviluppo distruttivo sta mettendo fine alla vita, minaccia di metter fine alla specie umana”, aveva ricordato nel 2009 l’ex presidente del Venezuela, Hugo Chavez, durante la conferenza Onu sul clima, tenutasi a Copenaghen. “In linea con la crisi bancaria che ha colpito, e continua a colpire, il mondo – aveva sottolineato Chavez – e con il modo con cui i paesi del ricco Nord sono corsi in soccorso dei bancari e delle grandi banche (degli Stati Uniti si è persa la somma, da quanto è astronomica). Ecco cosa dicono per le strade: se il clima fosse una banca, l’avrebbero già salvato. E credo che sia la verità. Se il clima fosse una delle grandi banche, i governi ricchi l’avrebbero già salvato”. Non c’è molto altro da aggiungere.
Focalizzando il problema all’interno dei nostri confini nazionali, le prospettive non cambiano. “In Italia ben il 12% dei ricoveri pediatrici sono connessi all’inquinamento. I danni sulla salute non sono visibili all’istante ma sono devastanti: si tratta di una sorta di Olocausto a fuoco lento”, a dirlo, nel 2018, è stato l’ex presidente dell’Istituto Superiore di Sanità, Walter Ricciardi. Il suo discorso è stato pronunciato pubblicamente negli stessi giorni in cui si è svolta in Polonia la Conferenza internazionale sul clima Cop24. Quel lento “Olocausto” lo possiamo vedere ogni giorno negli occhi senza più lacrime delle madri dei bambini malati di tumore a Taranto, accanto allo stabilimento dell’Ilva, nei diversi comuni della Terra dei fuochi e in tanti altri luoghi contaminati. Secondo gli studi scientifici – a dir poco ottimistici – citati da Ricciardi, restano orientativamente 20 anni per salvare il pianeta dai cambiamenti climatici, che nei prossimi due decenni provocheranno centinaia di migliaia di vittime l’anno. Surriscaldamento globale, crisi energetica, sovrapproduzione di CO2, ma anche problemi di nutrizione e sostenibilità nell'intera umanità, sono tutti problemi accomunati da un fattore comune: la mancanza di tempo. L’urgenza di cui parla Greta Thunberg – che si prepara a organizzare altri scioperi – deriva quindi da un dato oggettivo e soprattutto scientifico. Che non lascia spazio all’immaginazione. Un dato che impone una drastica inversione di rotta sulle politiche legate all’ambiente a livello internazionale. Fare pressione sui governi per far diminuire le emissioni di carbonio è indubbiamente il primo passo. Restano poi le azioni quotidiane che ognuno è chiamato a fare: non inquinare, risparmiare acqua e alimenti, riciclare, informarsi, pretendere impegni concreti in tal senso dai nostri politici. In sostanza si tratta di cambiare stile di vita lasciandoci alle spalle un consumismo sfrenato e abbracciando la cosiddetta “decrescita felice”. Che ritroviamo intatta nella prospettiva dell’economista Serge Latouche, uno dei critici più acuti e radicali dell’“occidentalizzazione del mondo”. Una prospettiva alquanto concreta, legata ad una volontaria e strategica autolimitazione del consumo di beni superflui, con l’obiettivo di recuperare la qualità delle relazioni umane. “Nella scelta della frugalità e dell’autolimitazione – ha spiegato Latouche – non c’è né masochismo, né spirito sacrificale, bensì la volontà di preservare un minimo di autonomia, rifiutando la formattazione consumistica e il diktat congiunto della tecnoscienza e del mercato. La necessaria limitazione dei nostri consumi e della produzione, la fine dello sfruttamento eccessivo della natura e del lavoro da parte del capitale non significano in nessun modo un ‘ritorno’ ad una vita di privazioni e di fatica. Significano invece – se si è capaci di rinunciare a un eccesso di agi materiali – una liberazione di creatività, un ritorno alla convivialità, e la possibilità di vivere una vita degna”. Quella stessa vita a cui auspica Greta Thunberg, recentemente candidata al Premio Nobel per la pace.

Una ragazza “malata” salverà il mondo
Secondo le spiegazioni scientifiche, la sindrome di Asperger di cui soffre Greta è “un grave disturbo dello sviluppo caratterizzato dalla presenza di difficoltà importanti nell’interazione sociale e da schemi inusuali e limitati di interessi e di comportamento”. Troppo spesso ci dimentichiamo però che le persone con questa sindrome hanno decisamente una marcia in più. Oltre alla “capacità di vedere le cose in modo creativo e peculiare, dovuta alla loro personale visione del mondo”, nei trattati medici viene evidenziato l’aspetto dell’“onestà”. Che “è dovuta al fatto che queste persone non colgono i confini sociali, e dunque tendono a dire la verità anche nelle situazioni in cui questo potrebbe creare dei problemi”. Ecco, Greta sta cercando di salvare questo pianeta dicendo la verità senza pensare a nient’altro. E in un mondo al contrario come questo, ricolmo di sepolcri imbiancati, dove “il silenzio degli onesti” è più pericoloso delle “parole dei violenti”, una giovane ragazza “malata” potrà forse salvarlo.

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