di Aaron Pettinari
Presentata la relazione semestrale 2018
Messina Denaro, nonostante "l'assenza operativa" conferma la leadership nel trapanese
Nel corso degli ultimi anni Cosa nostra siciliana ha “senza dubbio subito qualche indebolimento come organizzazione compatta e unitaria”, con un conseguente “vuoto di potere” che “pone ora un’esigenza di rinnovamento e di riorganizzazione complessiva dell’organizzazione”, ma ancora si conferma una struttura "vitale, dinamica e plasmabile a seconda dei mutamenti delle condizioni esterne”. È così che viene descritto lo stato di salute della criminalità organizzata siciliana, nella relazione semestrale della Dia, che fa riferimento all'attività di contrasto nel 2018, oggi inviata al Parlamento. Una relazione che dà atto della ricerca dei nuovi equilibri interni, conseguenti alla morte di Totò Riina, e che accenna all'operazione dello scorso dicembre, Cupola 2.0, che ha portato all'arresto di 47 affiliati tra cui quattro capi mandamento e dieci tra capi famiglia, capi decina e consiglieri. I dettagli di quell'indagine, infatti, saranno analizzati nella prossima relazione ma gli analisti già evidenziano come rispetto alla ricostruzione della "Commissione provinciale", partendo dalla riunione che si sarebbe tenuta il 29 maggio 2019 dove non vi è stata la partecipazione di tutti gli esponenti del vertice mafioso della provincia di Palermo, non vi sia stata un'unità di intenti. "La ricostituzione di questa struttura, - scrive la Dia - dopo molti anni di inattività, non sembrerebbe, tuttavia, auspicata da tutte le rappresentanze dei mandamenti, specie di quelli più attivi nella gestione delle attività economiche anche fuori dal territorio di competenza che, abituati ad agire quasi in autonomia, potrebbero soffrire la restrizione delle regole imposte dalla Commissione". Di fronte a tali insofferenze si rappresenta come non è possibile escludere "che capi emergenti, anche eredi di storiche famiglie, approfittino della situazione e cerchino spazi per scalare posizioni di potere, così come non è da escludere che le articolate dinamiche dell’organizzazione possano sfociare in atti di violenza particolarmente cruenti”.
La Dia ha dunque lanciato un allarme anche se, immediatamente dopo, si evidenzia come allo stato non vi siano particolari "indizi che facciano presagire una volontà precisa di ritornare a forme di conflittualità eclatanti”.
Non solo.
Il dopo Riina? Passa dagli scappati
Secondo la Dia a Palermo il vuoto di potere potrebbe essere colmato dal ritorno in auge dei cosiddetti "scappati", ovvero quelle famiglie sconfitte dai corleonesi durante la guerra di mafia dei primi anni Ottanta, tornati in Sicilia dopo il lungo esilio" negli Stati Uniti d'America, "dove potevano contare su legami 'storici', rafforzati dal narcotraffico internazionale di eroina all’epoca gestito proprio dall’organizzazione siciliana". Famiglie storiche che "potrebbero recuperare quel potere che erano stati costretti a cedere” anche "stringendo accordi con gli eredi degli antichi rivali, in ciò avvalendosi degli ancora esistenti rapporti con i boss d’oltreoceano”.
La Dia rappresenta come negli ultimi anni sia stato sempre più crescente il "numero di uomini d’onore che tendono a rivendicare, per sé o per la loro articolazione, posizioni di preminenza o comunque di autonomia, se non addirittura a proporre la propria candidatura a cariche interne all’organizzazione mafiosa". Inoltre l’intera struttura "deve rapportarsi con le sempre più frequenti scarcerazioni per 'fine pena' di quegli uomini d’onore che nutrono aspettative e pretese di recupero, sostanziale e formale, del potere che hanno dovuto cedere dal momento del loro arresto". Scarcerati che assumono un ruolo importante in vista della stessa riorganizzazione delle varie famiglie di appartenenza.
"Non a caso - evidenzia l'antimafia - diverse attività investigative hanno dimostrato come molti anziani boss, anche ultraottuagenari e spesso dopo essere stati scarcerati al termine di lunghi periodi di detenzione, abbiano ripreso il loro incarico o si siano comunque dedicati alla gestione degli affari più importanti ed alla riorganizzazione e riqualificazione delle consorterie mafiose di appartenenza".
Il ruolo di Matteo Messina Denaro
Parlando del "vuoto di potere" la relazione si sofferma anche sull'inquadramento della figura del super latitante Matteo Messina Denaro. Il boss di Castelvetrano viene inserito tra le "questioni irrisolte" in quanto "benché abbia goduto di rapporti, consolidati, risalenti nel tempo, con uomini d’onore dei mandamenti strategici palermitani, quali quelli di Brancaccio e di Bagheria, gli elementi di vertice del capoluogo regionale, soprattutto dopo l’esperienza corleonese, non sarebbero ora favorevoli ad essere rappresentati da un capo non palermitano, specie quando, come nel caso del latitante di Castelvetrano (TP), egli è chiamato, in primo luogo, come testimoniano recenti attività investigative, continuamente a confermare, in ragione della sua 'assenza operativa' dal territorio, il ruolo di leader nella provincia di Trapani".
La "ledership" della primula rossa trapanese non viene messa in discussione in quanto le "strategie" a Trapani sono "tuttora ispirate dal predetto latitante, il quale continuerebbe a ricoprire, sebbene con progressiva difficoltà, il duplice ruolo di capo del mandamento di Castelvetrano e di rappresentante provinciale di Cosa nostra".
Nella Sicilia centro-orientale le "infiltrazioni" nel mondo dell'imprenditoria
Per quanto riguarda la Sicilia centro-orientale la Dia rileva come l'area sia "caratterizzata, rispetto a quella occidentale, da una più variegata pluralità di consorterie, verosimilmente alla costante ricerca di collaborazioni ed alleanze finalizzate all’ottimizzazione dei progetti criminali". Così viene rilevato come "alle storiche famiglie di Cosa nostra, sempre egemoni nell’articolato panorama delle consorterie malavitose, si affianchino ulteriori sodalizi mafiosi".
Un esempio su tutti è la Stidda, realtà criminale che si sviluppa in particolare nel territorio di Gela (CL) ma anche nelle province di Agrigento e Ragusa. Tra essa e Cosa nostra, scrivono gli analisti, le velleità di contrapposizione sono state ridimensionate "tanto da arrivare a recenti forme di alleanza o di convivenza, l’organizzazione riesce comunque ancora ad esprimere un significativo potenziale delinquenziale, ad esempio nelle dinamiche di gestione dei mercati ortofrutticoli".
Altra forma di "sconfinamento" viene evidenziato nella "propensione dei 'catanesi' ad espandere la loro zona di influenza nelle province vicine, anche stipulando patti con esponenti locali". A dimostrazione di ciò si fa riferimento alla presenza nella città di Messina di una cellula del clan "Santapaola-Ercolano".
Nella Sicilia centro-orientale vengono poi sottolineate le infiltrazioni nel mondo dell'imprenditoria. "La penetrazione degli enti locali e la corruzione di soggetti preposti all’amministrazione della cosa pubblica - scrive la Dia - rappresenta l’occasione per accaparrarsi finanziamenti ed incentivi economici, utili anche per le attività del riciclaggio".
Catania
A Catania permane stabile il livello di vertice di Cosa nostra dove sono più che mai presenti le famiglie dei Santapaola-Ercolano ("I referenti della famiglia, benché detenuti, hanno mantenuto inalterata l’autorevolezza criminale"), dei Mazzei (che si stanno allargando anche nei territori del ragusano) e La Rocca di Caltagirone ("il cui capo storico, sebbene condannato all’ergastolo, gode ancora di influenza e rispetto in seno alle famiglie mafiose isolane, tanto da essere stato pubblicamente omaggiato nell’ambito di una processione religiosa").
Nel catanese vi sono poi anche altri sodalizi non strettamente compresi nell’ambito delle famiglie di Cosa nostra, ma dotati di simili organizzazione come il clan Cappello-Bonaccorsi, il clan dei Cursoti ed il clan dei Laudani.
Messina, Agrigento e Siracusa
La particolare posizione geografica della provincia di Messina rende l'area come un "crocevia di rapporti ed alleanze, costituisce il punto di forza della criminalità messinese, attribuendo alla stessa la possibilità di confrontarsi e rapportarsi tanto con Cosa nostra palermitana che con Cosa nostra catanese e la ‘Ndrangheta".
Detto della presenza in città di una cella della famiglia catanese dei Santapaola, in tutta la provincia "la pervasiva presenza della criminalità organizzata di tipo mafioso continua ad assumere caratteristiche diverse in relazione agli equilibri ed alle collaborazioni criminali poste in essere nella zona d’interesse". Così nella vasta area che abbraccia i Monti Nebrodi si registra l'influenza forte di Cosa nostra palermitana, mentre nella fascia tirrenica si conferma l'egemonia dei "barcellonesi" che hanno assunto nel tempo "una strutturazione e metodi operativi del tutto omologhi a quelli di Cosa nostra palermitana, sebbene vengano intrattenuti, per la gestione degli affari illeciti, rapporti costanti anche con le consorterie catanesi".
La fascia jonica, scrive ancora la Dia, "è un’area connotata dalla rilevante influenza di Cosa nostra catanese, facente capo sia alla famiglia Santapaola-Ercolano sia ai clan Laudani e Cappello, che si avvalgono di referenti locali".
Per quanto riguarda Cosa nostra agrigentina questa viene descritta come "pilastro per l'intra organizzazione regionale", "ancorata alle tradizionali regole mafiose" e "difficilmente permeabile dall’esterno".
Così come in tutta la Sicilia orientale, anche il territorio siracusano risente della pressione delle consorterie catanesi. A loro fanno riferimento i sodalizi locali, particolarmente ridimensionati dalle recenti attività di contrasto, che operano mantenendo una sorta di pax mafiosa.
Caltanissetta ed Enna
La provincia di Caltanissetta, come detto in precedenza, nell'area meridionale vede la "coabitazione" tra Cosa nostra e Stidda, invece nella sua parte settentrionale, in cui figurano i mandanti di Mussomeli e di Vallelunga Pratameno, vi è una forte influenza della storica famiglia dei Madonia. È interessante evidenziare come, secondo la Dia, il ruolo di vertice è tuttora mantenuto dall’anziano capo dei Madonia che "sebbene si trovi ristretto in regime detentivo speciale di cui all’art. 41-bis dell’Ordinamento penitenziario, goda ancora 'di rispetto' nell’ambiente criminale, mantenendo il proprio ruolo di vertice". Si legge ancora che "Le figure dei 'capi' succedutisi nel tempo sarebbero, in qualche modo, una sua espressione e per questo investiti della 'reggenza' del sodalizio con l’affiancamento di anziani sodali".
Il territorio di Enna, invece, è da sempre oggetto di attenzione e di colonizzazione da parte dei sodalizi nisseni e, soprattutto, catanesi, con questi ultimi che avrebbero stretto alleanze con malavitosi locali. La zona di Catenanuova (EN), ad esempio, risulta essere sotto l’influenza del clan catanese Cappello, mentre il circondario di Troina (EN) vede la presenza della famiglia dei Santapaola. Gli analisti evidenziano anche il significativo ruolo che sarebbe svolto da un boss catanese che, "forte dell’appoggio di un leader della famiglia La Rocca, avrebbe assunto il ruolo di reggente di Cosa nostra ennese".
Gli affari
Se c'è un fattore comune per tutta l'Isola siciliana va evidenziata la generale volontà di agire “sottotraccia”, senza ricorrere ad azioni apertamente cruente, salvo che non sia assolutamente necessario. Resta comunque evidente "il marcato interesse delle consorterie ad acquisire un sempre maggior controllo degli apparati degli Enti amministrativi locali, sia mediante la permeabilità degli uffici pubblici attraverso l’infiltrazione, che con forme meno evidenti di condizionamento".
Per quanto riguarda gli affari l'imposizione del "pizzo" resta ancora "un fondamentale strumento di controllo del territorio" mentre le indagini hanno dimostrato un progressivo ritorno al controllo del traffico di sostanze stupefacenti. Scrivono gli analisti della Dia che "L’organizzazione mafiosa siciliana opera in tale ambito, in un sistema criminale integrato insieme a ‘Ndrangheta e Camorra. Non sono, infatti, rari i casi di corrieri fermati in arrivo dalla Campania e dalla Calabria, ovvero dall’estero, come nel caso dell’Albania". Inoltre "sia in zone impervie della provincia che nell’area urbana, è la diffusione delle piantagioni di cannabis, la cui coltivazione risulta spesso organizzata con l’utilizzo di stabili impianti di irrigazione, concimanti specifici e guardiania". Tra gli affari emergenti, come dimostrato da una lunga serie di operazioni, vi sono poi quelli nel settore dei giochi e delle scommesse. Una fonte di guadagno particolarmente lucrativa che vede l'interesse di quasi tutti i mandamenti e che è capace di svilupparsi nell'intero territorio nazionale.
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