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ingroia antonio cam deputati c imagoeconomicadi Giorgio Bongiovanni e Aaron Pettinari
Il Tar del Lazio ha respinto il ricorso dell'ex pm contro la revoca

La notizia si sintetizza in poche righe. Il Tar del Lazio ha respinto il ricorso dell'ex pm Antonio Ingroia affinché fosse sospeso il provvedimento con il quale gli era stata revocata la misura di sicurezza personale e, in particolare, della misura di 4° livello in quanto, allo stato attuale, i giudici non ravvisano i presupposti per il ripristino immediato. Fermo restando che tra qualche mese lo stesso tribunale amministrativo potrebbe cambiare idea, in quanto nel ricorso viene richiesta anche la valutazione di merito che ancora non è stata effettuata, e che lo stesso Ingroia ha già anticipato che entro 60 giorni farà appello al Consiglio di Stato, non si può fare a meno di notare l'assoluta incoerenza di uno Stato che anziché difendere i suoi servi migliori li isola ed espone alla vendetta criminale della Mafia-Stato che essi hanno combattuto. E' un fatto noto che "la mafia non dimentica" e in questi mesi il silenzio delle istituzioni, nonostante le lettere al Viminale scritte dallo stesso Ingroia, o la petizione dei cittadini (giunta ad oltre 5000 firme), è un silenzio "colpevole" ed inconcepibile.
Un silenzio trasversale tenuto conto che l'assurda revoca della tutela porta la firma del precedente ministro dell'Interno, Minniti, fino ad arrivare a Matteo Salvini, che ha confermato, di fatto, la decisione.
Basta leggere i fatti e mettere in fila le minacce più recenti nei confronti del magistrato. Il capo dei capi Totò Riina, deceduto nel dicembre 2017, lo definiva come "Il Re dei cornuti" mentre il collaboratore di giustizia, Carmelo D'Amico, ha raccontato che tra gli obiettivi di Cosa nostra vi era quello di colpire il dottor Di Matteo ed anche Antonio Ingroia. Nel 2009 il boss mafioso Domenico Raccuglia, allora latitante, vicino a Matteo Messina Denaro, venne arrestato nei pressi della casa di campagna dell'ex pm mentre stava preparando un attentato nei suoi confronti. E nel 2011, mentre era ancora in corso l'inchiesta sulla trattativa Stato-mafia, un collaboratore di giustizia calabrese, Marco Marino, disse che Cosa nostra e ’Ndrangheta stavano preparando un attentato con venti chili di esplosivo. Non si può non considerare, inoltre, che oggi Ingroia, da avvocato, difende collaboratori di giustizia ed anche familiari di vittime di mafia, tra cui quelli dei carabinieri Fava e Garofalo, uccisi nel 1994 a Scilla, oggi parte civili al processo 'Ndrangheta stragista. Lo scorso novembre soggetti ignoti, professionisti che di fatto non hanno lasciato alcuna impronta, si sono introdotti nell'abitazione di Ingroia ed hanno sottratto alcune pen drive al cui interno vi erano atti processuali del periodo in cui era magistrato e di quelli attuali da avvocato; ma anche appunti e considerazioni personali su inchieste delicate. Basta questo fatto per rendere evidente l'urgenza della revoca del decreto e ripristinare la tutela.
Lascia ancora più sconcertati l'incredibile incoerenza dello stesso Tar del Lazio che, per una situazione sostanzialmente analoga, ha scelto di ripristinare con urgenza la scorta a Sergio De Caprio, anche noto come "Ultimo", e non all'ex magistrato.
Le mafie ed i Sistemi criminali non attendono altro che un segnale per poter colpire e portare a termine le proprie vendette.
Basta ricordare le parole di collaboratori di giustizia come Antonino Giuffrè. Per quanto riguarda gli omicidi eccellenti, contro politici, magistrati e soggetti delle istituzioni, deliberati da Cosa nostra alla fine del 1991 "vi era un lavoro di isolamento nelle vittime disegnate e vi era un lavoro di delegittimazione. Quando si pensava che il discorso era maturo, ad esempio su Falcone e Borsellino, si agiva". Quasi ventisette anni dopo quelle stragi l'isolamento e la delegittimazione viene messa in atto nella maniera più subdola.
E ancora una volta a rischiare è chi ha servito lo Stato con rispetto ed onore.

Foto © Imagoeconomica

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