di Lorenzo Baldo - Intervista
La madre del giovane urologo ai figli di Provenzano: “È a noi che è stato dato il 41 bis”
E’ il grido di una madre che si rivolge al Presidente della Camera e al ministro della Giustizia per chiedere giustizia e verità sulla morte del figlio. Sono passati 15 anni da quel 12 febbraio 2004 quando fu ritrovato il cadavere di Attilio Manca. A tutt’oggi ci sono persone che potrebbero raccontare dettagli importanti su questo mistero ma che tacciono per paura. Ed è anche a loro che Angelina si rivolge “come una madre consapevole di non avere più tanto tempo”. E se la verità dovesse arrivare quando lei e suo marito non ci saranno più non importa: “Non è mai troppo tardi. Quello che conta è restituire giustizia ad Attilio”. In risposta alle dichiarazioni di Angelo Provenzano sul padre morto al 41 bis le parole di questa donna sono inappellabili: “A loro dico che noi familiari delle vittime viviamo tutta la vita al 41 bis e niente e nessuno potrà mai liberarci”.
In questi 15 anni dalla morte di Attilio, dopo un iter giudiziario controverso, abbiamo assistito alla sentenza di condanna nei confronti di Monica Mileti, unica imputata nell'inchiesta di Viterbo, e poi all'archiviazione del fascicolo - per omicidio di mafia - di cui si era occupata la procura di Roma. Come è cambiata per lei e per la sua famiglia la ricerca della verità dopo questi eventi?
Dalla Procura di Roma non ci aspettavamo nulla, ma ci siamo illusi fino alla fine che la dott.ssa Tamburelli ci concedesse la riesumazione della salma. Il giorno in cui abbiamo appreso la notizia dell'archiviazione definitiva del fascicolo è stata l'ennesima dura prova. Per qualche istante ho pensato di abbandonare l'impari lotta, ma poi ho capito che non era giusto per Attilio e per tutti coloro a cui viene negata la verità. D'altronde se Davide ha vinto contro Golia, perché non sperare?
Alcuni giorni fa l’Espresso si è occupato dell’ex capocentro del Sisde di Messina, stretto collaboratore del sottosegretario Luigi Gaetti, già vicepresidente della Commissione antimafia. Nell'articolo veniva evidenziata l'anomalia della figura di un ex appartenente ai Servizi segreti posizionata accanto a chi, tra l'altro, si era occupato del caso di Attilio. Lo stesso Gaetti aveva co-firmato la relazione di minoranza nella quale veniva citato il pentito Carmelo D'Amico che, in quello che definiva l'omicidio di Attilio, chiamava in causa la massoneria, la mafia e i Servizi segreti. Che peso ha dato al contenuto dell'articolo dell'Espresso?
In questi anni la stampa nazionale ed i tg hanno ignorato la vicenda di Attilio. Al di là di “Chi l’ha visto?”, “Servizio Pubblico”, “I fatti vostri” e “le Iene” ne hanno parlato approfonditamente solo “ANTIMAFIADuemila” e “Il Fatto Quotidiano”. Che se ne sia occupato l'Espresso, attraverso un giornalista d'inchiesta come Fabrizio Gatti, mi ha fatto sperare. La notizia che l'onorevole Gaetti ha chiamato a collaborare con lui l'ex capocentro del Sisde di Messina non mi ha fatto molto piacere perchè in tutti questi anni la mafia barcellonese ha continuato indisturbata ad operare sul territorio, sempre più potente e sempre più silenziosa. Della latitanza di Provenzano sul nostro territorio non si è mai saputo nulla, addirittura è sparita la relazione del ROS che accertava la sua presenza nel Convento di Sant'Antonio di Barcellona. Il mio auspicio è quindi che l'on. Gaetti – che ha sempre sostenuto che quello di Attilio è un omicidio – si avvalga delle informazioni di questo suo collaboratore del Sisde per far luce non solo sull'omicidio di Attilio, ma anche su quei personaggi intoccabili barcellonesi che tengono da decenni in ostaggio la nostra città con spavalderia ed arroganza!
Recentemente sulla sua pagina facebook lei si è rivolta al ministro della Giustizia, Bonafede e al Presidente della Camera, Fico, chiedendo loro di ricordarsi delle parole pronunciate dal boss Francesco Pastoia su "un urologo che aveva visitato Provenzano nel suo rifugio". Nel suo post ha scritto della "complicità di istituzioni colluse". Quali speranze ha che dall'interno delle istituzioni si arrivi alla verità sulla morte di Attilio?
Io ho fiducia nel ministro della giustizia Bonafede e nel presidente della Camera Fico. Sono certa che arriverà il momento in cui anche loro saranno al nostro fianco a chiedere verità e giustizia.
Due anni fa lei ha scritto una lettera aperta alla moglie di Provenzano chiedendole di collaborare con la giustizia anche per fare luce sulla morte di Attilio. Quella lettera è rimasta senza risposta. Qualche mese fa proprio il figlio maggiore di Provenzano, Angelo, in un'intervista all'Adnkronos ha dichiarato che se la legge è uguale per tutti non comprendeva perché a Erich Priebke, condannato all'ergastolo per l'uccisione di 350 persone, era stato concesso di morire agli arresti domiciliari, mentre a suo padre era stato applicato il 41 bis fino alla morte. Cosa direbbe al figlio di Provenzano?
Ai figli di Provenzano, come ho già fatto in altre occasioni, suggerisco di chiedere scusa e perdono per tutte le sofferenze che il loro padre ha provocato a tante famiglie. Vorrei ricordare loro che mio figlio, nel pieno dei suoi anni e della sua splendida carriera, è stato ucciso senza pietà, dopo aver curato e assistito con professionalità e amorevolmente (come Attilio era solito fare con tutti i suoi pazienti) il loro padre. Vorrei ricordare loro che noi familiari delle vittime viviamo tutta la vita al 41 bis e niente e nessuno potrà mai liberarci.
Tra i colleghi che hanno lavorato al fianco di Attilio, in molti hanno parlato della sua altissima professionalità, dell'assoluta falsità di una sua possibile tossicodipendenza, e soprattutto della sua rara bontà d'animo per la quale era istintivo volergli bene. Ma anche tra chi lo ha amato e ha lavorato assieme a lui c'è stato chi in questi anni ha preferito tacere evitando di rilasciare dichiarazioni a chi stava indagando sulla sua morte. Che idea si è fatta a riguardo?
A Viterbo c'è tanta paura ed io sono certa che qualche collega di Attilio sa e non parla perché teme ritorsioni. Qualcuno me lo ha fatto capire. Dopo la sua morte molti colleghi di Attilio, sia del personale medico che paramedico, hanno abbandonato il reparto. Coloro con i quali ho parlato mi hanno sempre dato sostegno e solidarietà; nessuno ha creduto alla morte per droga e tutti mi hanno confermato la grande serietà professionale di Attilio, la sua generosità e disponibilità, ma anche la sua modestia.
Cosa direbbe oggi, a ridosso del 15° anniversario della morte di Attilio, a chi, conoscendo pezzi del mistero della sua morte, ha avuto lo slancio di accennarli per vie traverse, per poi rimanere nell'ombra, senza la minima intenzione di collaborare con l'autorità giudiziaria?
L'unica persona con cui non ho avuto modo di confrontarmi in questi anni è stato il primario del reparto di urologia di Viterbo, il prof. Antonio Rizzotto. Dopo la morte di Attilio ho provato diverse volte a chiamarlo, ma mi ha sempre detto che era impegnato. Non ho quindi mai potuto sapere cosa pensasse lui della morte di Attilio. A chi invece mi ha confidato di conoscere dettagli importanti sulla morte di Attilio e poi non li ha riferiti ai magistrati chiedo solo di ripensarci. E glielo domando come una madre consapevole di non avere più tanto tempo. Ma se anche noi non ci saremo non importa. Non è mai troppo tardi per far emergere la verità. Quello che conta è restituire giustizia ad Attilio.
Foto © Giancarlo Finessi/Famiglia Manca
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