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ingroia antonio c imagoeconomicadi Aaron Pettinari
"Quelle intercettazioni nate nel processo de L’Aquila che parte dall’indagine su illeciti commessi nella ricostruzione post-terremoto in Abruzzo, appaiono pretestuosamente puntate su Massimo Ciancimino, proprio nel momento in cui stava diventando un teste chiave del processo Trattativa". L'ex pm Antonio Ingroia, oggi avvocato, non ha usato mezzi termini e nell'arringa difensiva per il processo contro il suo assistito, Victor Dombroschi (amministratore della Ecorec), e Sergio Pileri, Raffaele Valente, Nunzio Rizzi e Romano Tronci, che si sta celebrando davanti i giudici della IX sezione del Tribunale penale di Roma, ha messo in fila una serie di fatti per dimostrare l'innocenza del suo assistito. L'accusa contro Dombroschi e gli altri è semplice, ovvero l'aver cercato di preservare finanziamenti illeciti di non meglio noti soci occulti ("quantomeno di Massimo Ciancimino, già condannato per riciclaggio"). Questo perché, secondo l'accusa, in alcune aziende che ruotano attorno alla Ecorec, società rumena che gestisce una grande discarica d’Europa, sarebbe stato riciclato parte del tesoro del sindaco mafioso di Palermo Vito Ciancimino. In particolare avrebbero tentato di vendere la Ecorec, controllata dalla società palermitana Sirco Spa, attraverso capitale che, secondo l'accusa, proveniva dalla cessione di altre società in cui vi erano partecipazioni azionarie di prestanome dell'ex sindaco di Palermo. Inoltre, per i pm, gli imputati avrebbero cercato "di impedire l'identificazione della provenienza illecita da quei delitti di beni della proprietà della Sirco". Sirco che era sottoposta all'amministrazione giudiziaria imposta dal Tribunale di Palermo.

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Massimo Ciancimino durante un udienza del processo Trattativa Stato-Mafia (© Ansa)


Ma Ingroia è andato oltre all'accusa denunciando, in quella che lui stesso ha definito "arringa-requisitoria", la "manipolazione delle regole, del diritto, dei principi, della Verità". Il legale ha puntato il dito contro l'amministratore giudiziario Gaetano Cappellano Seminara, imputato a Caltanissetta insieme al giudice Silvana Saguto nel processo sulle consulenze pilotate, definendolo il "Re della Falsità". Secondo Ingroia l'accusa ha commesso "irresponsabilmente" l'errore di essersi “appiattita alla testimonianza di Gaetano Seminara. L'ex procuratore aggiunto di Palermo, che diresse inizialmente il pool che indagava sulla Trattativa Stato-mafia, ha parlato di "forzature" nelle indagini con reati “inventati”, di pressioni sull’ambasciatore italiano, sui magistrati rumeni, su colonnelli della Guardia di Finanza e dirigenti dell’Interpol. Non solo. Ha sottolineato alcune coincidenze, come ad esempio che le intercettazioni di quell'indagine, condotta da Sergio De Caprio (anche noto come "Ultimo"), non siano mai state trasmesse per competenza alla Procura di Palermo nonostante il Gip de L'Aquila avesse apertamente dichiarato l'incompetenza territoriale de L'Aquila "dichiarando la 'evidente competenza' di Palermo". Sin dalla sua genesi, dunque, vi sarebbe la prima forzatura.
Senza contare che, secondo l'ex magistrato, le intercettazioni di quell'indagine sono poi divenute strumento di delegittimazione contro Massimo Ciancimino e la Procura di Palermo.
In questo processo la Procura ha chiesto 5 anni e sei mesi di reclusione per Victor Dombroschi e Raffale Valente; sei anni per gli altri. La Corte dovrà decidere il prossimo 31 gennaio.

Foto di copertina © Imagoeconomica

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