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caccia bruno web1di Aaron Pettinari e Francesca Panfili
Il legale Fabio Repici sentito in Commissione antimafia del comune di Torino

Sono trascorsi trentacinque anni dalla morte del Procuratore Capo di Torino Bruno Caccia avvenuta il 26 giugno del 1983. Trentacinque anni in cui, nonostante siano stati celebrati più processi, non è stata fatta completa chiarezza sul caso. Dei misteri e delle domande che ancora oggi restano aperte ha parlato Fabio Repici, legale della famiglia Caccia, sentito ieri pomeriggio di fronte alla Commissione comunale Legalità e contrasto ai fenomeni mafiosi del Comune di Torino, assieme alla figlia del magistrato, Paola Caccia. Un'occasione per fare il punto della situazione sullo stato delle indagini ed evitare l'archiviazione della pista su "mafia e riciclaggio".

"Revocate la semi-libertà concessa a Barresi". Esposto al tribunale di sorveglianza
A latere dell'audizione Repici ha anche annunciato di aver presentato "a titolo personale" un esposto al tribunale di sorveglianza di Torino, a fronte "dell'inerzia della procura generale e delle forze di polizia", per chiedere la revoca della semi-libertà concessa a Placido Barresi, personaggio della ‘ndrangheta su cui pesano diversi assassini eseguiti per conto della famiglia mafiosa dei Belfiore, ritenuta mandante del delitto Caccia.
"Ritengo scandaloso e indegno - ha detto Repici - che un mafioso ergastolano, che anche di recente è stato ritenuto dalla procura e dalla Corte d'Assise di Milano, come a conoscenza dei più reconditi segreti dell'omicidio Caccia, che ha sempre mantenuto segreti, continui a usufruire della semilibertà nonostante abbia commesso, almeno dal 2015, una serie innumerevoli di violazioni per le quali un qualunque altro ergostalano sarebbe tornato in carcere senza uscire più". “Rispetto al 2013, quando depositammo la prima denuncia per la riapertura del caso, ci sono stati dei notevoli passi avanti - ha proseguito il legale - ma purtroppo nessuno ha mai saputo o voluto accertate in sede giudiziale le cause o concause di uno dei più clamorosi omicidi di questa città. Va dato merito ai figli e alla famiglia Caccia per aver sottratto la figura del loro padre alla damnatio memorie”.
Nonostante un processo bis, ancora rimangono numerosi punti interrogativi sulla vicenda e sulla figura di Barresi, giunto di nuovo agli onori delle cronache pochi giorni fa inseguito all'intervista rilasciata alla trasmissione Report sulle presunte infiltrazioni della ‘ndrangheta nella curva della juventus. In questa occasione, Barresi, aveva parlato del suo ruolo di paciere affidatogli dalle famiglie ‘ndranghetiste in merito agli accordi di gestione del bagarinaggio. Nel corso dell’audizione in Comune, l’avvocato difensore della famiglia Caccia ha parlato degli incontri che Barresi ha avuto durante la semilibertà con Rocco Schirripa, condannato all’ergastolo per l’omicidio di Bruno Caccia.

Depistaggi ed omissioni
Repici ha poi parlato di “pesanti omissioni e depistaggi durante le indagini sull’omicidio sul quale si è creato uno scenario di cartapesta. Il depistaggio sull’omicidio del procuratore Bruno Caccia a Torino non ha nulla di diverso da quello per la strage di via d’amelio. Diversa è solo la latitudine alla quale è avvenuto” . Sono ancora numerosi i lati oscuri della vicenda e dei depistaggi che hanno coinvolto anche i servizi segreti. “Badate a quanto le latitudini cambino il senso delle cose” ha affermato con forza Repici. “In Sicilia l’intervento del Sisde, nelle indagini di via d’Amelio, è sinonimo di depistaggio, mentre a Torino per l’omicidio Caccia, l’autorità giudiziaria ha rivendicato pubblicamente di aver incaricato il Sisde per svolgere le indagini, abusivamente”.
L’omicidio di Bruno Caccia" ha continuato Repici, "ha pagato pesanti depistaggi: si tratta dell’unico delitto nella storia della Repubblica dove le indagini sono state subappaltate dallo Stato a un mafioso detenuto, Francesco Miano, incaricato appositamente da un funzionario del Sisde”.
Ad oggi per l'omicidio del Procuratore Capo di Torino gli unici ad essere condannati sono stati il boss Domenico Belfiore considerato in via definitiva mandante dell’omicidio e Rocco Schirripa che dovrà scontare l’ergastolo dopo il primo grado di giudizio per essere stato l’esecutore materiale dell’omicidio.
L’avvocato Repici, che al quarto processo per la strage di via d'Amelio ha assistito la parte civile di Salvatore Borsellino, ha accennato al ruolo dello Stato e del Sisde sulla vicenda Caccia. “C’è un’area di interessi e di concause che hanno portato all’omicidio Caccia che non si è voluto in nessun modo porre sotto la dovuta luce - ha detto Repici - si è voluto costruire una versione che è palesemente falsa derubricandola a vendetta privata di Domenico Belfiore e del suo gruppetto mafioso, ma nessuno ha voluto ne saputo accertare in sede giudiziaria la causale del delitto”. L’avvocato Repici ha infine concluso il suo intervento riprendendo il parallelismo tra la vicenda Caccia e Via D’Amelio: “Se a Caltanissetta affidare le indagini ai servizi segreti è stato giustamente considerato depistaggio non può non esserlo a Torino, dove è accaduto la stessa cosa". Durante l’audizione anche Paola Caccia è intervenuta ringraziando il Comune di Torino per aver dato la possibilità alla famiglia di parlare dell’omicidio del padre. Ha sottolineato la necessità di mantenere costante l'attenzione sull'iter processuale e su tutto quello che riguarda la ricerca della verità. "Ora - ha dichiarato la figlia di Bruno Caccia - abbiamo le idee un po' più chiare, anche se processualmente non siamo riusciti a ottenere molto. Qualcosa - ha aggiunto - si sta muovendo. Questa è la sensazione dopo le due sentenze siciliane sulla trattativa Stato Mafia e via d'Amelio, che mi danno fiducia".

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