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di matteo nino c iamgoeconomica 2di Karim El Sadi
Il pm favorevole alla proposta del Guardasigilli Bonafede ma propone un ulteriore intervento

La recente storia giudiziaria ci insegna che molti politici e colletti bianchi sono stati salvati dalla prescrizione proprio in appello o in Cassazione. Io ritengo che la proposta di riforma vada nella direzione giusta, anche se si potrebbe fare meglio”. A dirlo il Sostituto Procuratore Nazionale Antimafia Nino Di Matteo che, intervistato da "Il Fatto Quotidiano”, ha commentato positivamente il nuovo emendamento del ministro Alfonso Bonafede. In particolare il magistrato ha fatto riferimento all'emendamento presentato dal Guardasigilli all'interno del ddl Anticorruzione che prevede di bloccare la prescrizione dopo il primo grado di giudizio e che ha creato non poche polemiche. Da una parte c'è chi teme l'avvento di una riforma giustizialista (“E' una bomba nucleare sul processo”) e dall'altra chi, come Di Matteo, resta dell'idea che “vada realizzata una seria riforma della prescrizione”. “In Italia c’è la sostanziale impunità di molti reati che riguardano la pubblica amministrazione e la corruzione. La stragrande maggioranza di questi processi si conclude con la dichiarazione di intervenuta prescrizione – ha spiegato il Pm al giornalista Gianni Barbacetto - Questo è molto grave. Perché il fenomeno corruttivo s’intreccia con i reati delle organizzazioni criminali e dunque finisce per favorire le mafie. Poi perché così mortifichiamo le attese dei cittadini che si aspettano che la pubblica amministrazione sia condotta secondo i criteri stabiliti dalla Costituzione, cioè il buon andamento e l’imparzialità. Questa impunità crea una giustizia a due velocità, efficace e a volte addirittura spietata con i deboli, invece con armi completamente spuntate nei confronti dei delitti dei colletti bianchi”.
Di fatto, secondo il magistrato, con questo provvedimento non vi è il rischio di un rallentamento della giustizia con l'allungamento dei tempi dei processi. Anzi propone un ulteriore rilancio sulla norma: "L’istituto della prescrizione trova fondamento nel venir meno, con il passare del tempo, dell’interesse dello Stato a punire determinate condotte. E allora nel momento in cui lo Stato, con la richiesta di rinvio a giudizio, esercita l’azione penale dimostrando di non aver perso quell’interesse, il decorso della prescrizione dovrebbe bloccarsi per sempre”. Con il provvedimento "verrebbe meno l’interesse di molti imputati a utilizzare tecniche processuali ostruzionistiche e dilatorie, proprio per puntare alla prescrizione. Il giusto principio della ragionevole durata del processo, poi, può essere garantito in altri modi. Una seria depenalizzazione di reati lievi e bagatellari. Un significativo rafforzamento delle risorse per la giustizia: più magistrati, più cancellieri, più personale per la giustizia. E uno snellimento di alcuni passaggi del rito accusatorio penale che appesantiscono inutilmente il dibattimento”.

Il caso Andreotti
Quando si parla di prescrizione viene subito in mente un caso specifico che ancora oggi divide avvocati, giudici e giuristi. Il processo all'ex Presidente del Consiglio Giulio Andreotti. La sentenza di primo grado è del 23 ottobre 1999 ed è di assoluzione con il comma 2 dell’articolo 530 cpp, la vecchia insufficienza di prove. In appello, il 2 maggio 2003, i giudici in parte prescrivono e in parte assolvono l’ex premier. Di fatto viene proclamata la prescrizione per il reato di associazione a delinquere (in quegli anni non c’era ancora il reato di associazione mafiosa, 416 bis) “commesso fino alla primavera del 1980”. Per le accuse successive alla primavera del 1980, la Corte d’appello assolse sempre con la vecchia insufficienza di prove. La Cassazione, poi, confermò l’appello il 15 ottobre del 2004. Nell'intervista Di Matteo ha ricordato proprio quella sentenza e l'episodio in cui l'avvocato di Andreotti, Giulia Bongiorno, oggi ministra per la Pubblica Amministrazione, esultò con veemenza (“Assolto, assolto, assolto”) appena una frazione di secondo dopo la lettura della sentenza. Frase ancora celebre e per molti erroneamente attendibile al vero. “Al di là dell’espressione utilizzata allora da quell’avvocato – ha commentato Di Matteo - ancora oggi quella sentenza viene spacciata per una assoluzione completa, mentre invece furono dimostrati fatti di grave collusione tra Andreotti e Cosa nostra, fino al 1980: ma per quei fatti è intervenuta la prescrizione".
Infine, rispetto ai dati statistici per cui con la nuova norma la casistica di procedimento a prescrizione di processi dopo il primo grado di giudizio, ammonterebbe al 20% in contrasto con il restante 80% che non verrebbe, quindi, “salvato”, Di Matteo ha sottolineato: “Non dobbiamo ragionare soltanto in termini statistici. La recente storia giudiziaria ci insegna che molti politici e colletti bianchi sono stati salvati dalla prescrizione proprio in appello o in Cassazione. Io ritengo che la proposta di riforma vada nella direzione giusta. Ma poi ripeto: potrebbe diventare più incisiva bloccando la prescrizione al momento della richiesta di rinvio a giudizio. Quello che oggi più mi stupisce è la serie di perplessità avanzate da chi per anni ha condiviso le ragioni che sto esponendo e ora improvvisamente sembra aver cambiato idea. Negli ultimi anni, queste posizioni sono state espresse e condivise anche da molti magistrati, a volte pure rappresentanti della magistratura negli organi associativi. Sarebbe grave se il ripensamento di molti fosse in realtà frutto del non gradimento verso la forza politica che oggi propone la riforma. La mia non è una provocazione - ha concluso - io sono soltanto coerente con quello che ho sempre pensato e detto, in funzione di una lotta efficace al sistema mafioso e al sistema della corruzione. Se questa lotta finalmente acquistasse in futuro dignità di obiettivo primario della politica, dovremmo tutti esserne felici, a prescindere dal colore del governo.

Foto © Imagoeconomica

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