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caruana galizia daphne c reutersdi Lorenzo Baldo
La chiave per comprendere le ragioni di chi ha voluto la morte della giornalista maltese nel libro di Carlo Bonini/2

E’ il 15 gennaio 2014, il governo laburista maltese decide di informare la Commissione europea di essere pronto a varare una nuova legge in materia di immigrazione: libero acquisto del passaporto maltese ai clienti in grado di pagare fino a 650mila euro. La raccolta e lo screening delle candidature alla cittadinanza sarebbe stato affidato in esclusiva alla Henley & Partners, società di consulenza globale di governi disposti a vendere la cittadinanza dei propri Paesi, lasciando alle autorità maltesi una sorta di “controllo” postumo sull’esistenza dei requisiti finanziari richiesti. Alle undici di sera Daphne aggiorna con poche righe il “Running Commentary”. “Al primo ministro Muscat è stato chiesto cosa andasse a fare oggi a Bruxelles. E lui ha risposto: ‘Lo scopo della discussione che affronteremo è convincere la Commissione europea a non interferire nel nostro progetto di vendita di passaporti’. Questa dichiarazione avrebbe meritato l’apertura dei notiziari e invece è stata nascosta nelle cronache”. Daphne è sempre più sola. Soltanto nel 2014, primo anno del Programma, Malta vende passaporti per 500 milioni di euro, equivalenti a circa il 16% del bilancio dello Stato. Tra il 2014 e il 2017, il Programma di vendita della cittadinanza aveva riempito le casse di Malta: 850 milioni di euro. “Il problema - ricorda il blogger Manuel Delia - era che nessuno controllava. E che il Programma di vendita dei passaporti era costruito, in molti casi, su una frode. Diciamo pure una frode istituzionale, se vogliamo chiamarla con il suo vero nome”. Dal canto suo Daphne aveva continuato sistematicamente a scriverci su, senza che da Henley & Partners arrivasse alcun cenno di reazione. Almeno fino al 20 marzo del 2017, quando era giunta una lettera di diffida della società londinese con la richiesta di rimuovere immediatamente alcuni dei post che, in quei tre anni, aveva pubblicato sulla vicenda. A scrivere quella prima lettera (di una lunga serie) era stato il potentissimo avvocato svizzero tedesco Christian Kälin, proprietario e amministratore della Henley & Partners. Il 12 maggio 2017, in un successivo scambio di mail - regolarmente pubblicato sul suo blog - Daphne aveva smascherato la ragione di quella tardiva lettera di diffida. “Quando ci incontrammo, ti chiesi perché, dopo due, tre anni di silenzio, ti fossi deciso ad affrontarmi con i tuoi avvocati. E la tua risposta fu: ‘Perché stanno arrivando le elezioni’. Non puoi dunque sostenere che la tua reazione è per il danno che i commenti dei miei lettori arrecherebbero al tuo business. Altrimenti avresti reagito prima. Sono le elezioni il motivo”. Il legame tra Kälin e il Premier maltese Muscat appare quindi nella sua interezza. “Quando ci incontrammo il 2 aprile - scrive ancora Daphne - non compresi immediatamente quel tuo riferimento a ‘imminenti elezioni’, perché, nella mia testa, le elezioni erano lontane, nel 2018. Ora invece capisco che, quando il 20 marzo ho ricevuto del tutto inattesa la prima comunicazione di Henley & Partners, era perché tu già sapevi, al contrario di tutti noi, che le elezioni politiche erano imminenti. Forse non finanzi il partito di Joseph Muscat, ma sicuramente hai un giro d’affari tale - gli vendi i passaporti - che lui deve aver ritenuto necessario informarti che avrebbe indetto elezioni politiche anticipate a maggio o giugno”. L’affaire dei passaporti andava ad intersecarsi in un meccanismo di scatole cinesi oltre i confini maltesi, arrivando a coinvolgere il giovane banchiere iraniano, Ali Sadr Hasheminejad e la filiale maltese della sua banca: la Pilatus Bank. Una triangolazione che finiva per unire Dubai alla capitale dell’Azerbaigian, Baku e al regime corrotto del presidente Ilham Aliyev. Daphne ci scrive su senza sosta: racconta dei documenti custoditi nella cucina-cassaforte della Pilatus Bank e soprattutto ricostruisce i collegamenti tra il primo ministro Joseph Muscat e il milione di dollari del regime azero destinato a sua moglie Michelle. La notte in cui Daphne pubblica quel post succede di tutto. “Quanto quella notte doveva sparire - scrive Bonini - era dunque sparito. Nell’inerzia della polizia (il cui capo era stato sorpreso e intervistato serenamente seduto a cena in un ristorante), che pure avrebbe dovuto cercare di mettere al sicuro prove documentali che interpellavano la responsabilità del premier e del suo gabinetto, ad Ali Sadr (presidente e proprietario della Pilatus, ndr) era stato lasciato il tempo, tra le 16 e le 23 di quel giovedì, di ripulire la banca di ciò che nessuno avrebbe dovuto trovare”.

La fonte
lisola assassini“Ci eravamo incontrate come sempre nel mio appartamento - il racconto di Maria Efimova, la “fonte” di Daphne nell’inchiesta sulla Pilatus, il cui nome era stato intenzionalmente reso pubblico da qualche “talpa” del palazzo di giustizia, è alquanto profetico -. Sull’isola c’era stato l’ennesimo attentato con un’autobomba. E glielo dissi di getto. Le dissi: ‘Daphne, credimi, dovresti stare attenta’. Lei mi fissò con un’espressione ironica e insieme indagatoria: ‘Che mi vuoi dire, Maria? Che metteranno una bomba anche nella mia di macchina?’. Le risposi che sì, lo pensavo. Pensavo che sarebbe potuto accadere. Perché a Malta era già successo almeno cinque volte. E la cosa finì lì. Daphne non volle andare oltre. Era una discussione che non aveva piacere di affrontare”.

I mandanti
“Comprendere il ‘perché’ Daphne fosse stata uccisa - sottolinea Bonini - significava infatti logicamente avvicinarsi al ‘chi’ fosse o fossero i mandanti della sua esecuzione”. La pista relativa al “movente politico” dell’omicidio in un Paese come Malta è quella più pericolosa in assoluto. “Con l’aggettivo ‘politico’ - spiega l’autore - andava inteso quel grumo di interessi e soggetti che Daphne aveva colpito ed esposto con le sue inchieste. La corruzione del Palazzo e la sua significativa contiguità con il Mondo di Sotto, il Programma di vendita dei passaporti, la Pilatus Bank, il rapporto fra Joseph Muscat e il regime azero, la privatizzazione di Enemalta e le tangenti all’ombra della costruzione della nuova centrale elettrica dell’isola alimentata a gas”.
E poi c’era quella peculiarità: George Degiorgio, definito “l’orchestratore” dell’omicidio di Daphne Caruana Galizia era stato intercettato e tenuto sotto controllo dai Servizi segreti maltesi almeno fin dall’estate 2017. Tracce importanti erano emerse attraverso le telefonate registrate la mattina dell’omicidio, quando Degiorgio aveva cercato concitatamente di farsi ricaricare la scheda di uno dei suoi cellulari. “Ma il monitoraggio - si legge nel libro - non solo non aveva impedito l’omicidio di Daphne ma, inspiegabilmente, non ne aveva neppure colto le mosse preparatorie”. Con dovizia di particolari Bonini cita le “evidenze documentali certe” di cosa i Servizi maltesi avessero “visto o ascoltato prima, durante e dopo la morte di Daphne”. Poi però, incredibilmente, dal giorno 4 dicembre 2017 Fbi ed Europol “non avevano più toccato palla”. Dalla polizia maltese “non era più arrivato un pezzo di carta. Né una traccia da sviluppare”. Quella che viene definita dall’autore la “risposta della macchina comunicativa del Partito laburista” risulta del tutto “scomposta” e soprattutto “rivelatrice di quali veleni intossicassero l’inchiesta. Dell’odio partigiano che continuava a essere distillato su Daphne, anche da morta”. Sulla pagina facebook di Josef Caruana, uno degli uomini della comunicazione del primo ministro Joseph Muscat, nonché candidato del Labour alle elezioni per il Parlamento europeo del 2019, era stato pubblicato un post nel quale veniva paventata l’ipotesi che la famiglia Caruana Galizia fosse “coinvolta nell’omicidio di Daphne”. Un obbrobrio.
La sfiducia della famiglia Caruana Galizia nell’indipendenza dell’indagine sull’omicidio di Daphne era stata indubbiamente una conseguenza a seguito del grande lavoro del “Daphne Project”. E la conferma si era materializzata al Ferdinand’s Bar di Siggiewi, un comune dell’isola 10 chilometri a sudovest della Valletta. Il ministro dell’Economia Christian Cardona era un avventore abituale di quel bar, come lui stesso ammetteva. Certo è che non ci andava da solo, “almeno se era corretto il ricordo che due diversi testimoni e frequentatori della taverna avevano affidato al ‘Daphne Project’”. “Se i due testimoni non mentivano - scrive Bonini -, e non se ne sarebbe compresa peraltro la ragione, almeno uno, se non due, degli esecutori materiali dell’omicidio di Daphne aveva dunque rapporti di familiarità con Chris Cardona. “E se i due testimoni non mentivano, gli incontri fra Cardona e quantomeno uno dei due fratelli Degiorgio risalivano alle settimane immediatamente successive all’omicidio”, ma anche prima. “Cosa sapeva davvero (Cardona, ndr) dei fratelli Degiorgio? E soprattutto: per quale motivo, la notte del loro arresto, proprio i fratelli Degiorgio avevano chiesto, provando a rintracciarlo senza fortuna, che a essere nominato come loro avvocato di fiducia fosse tale David Gatt, un ex poliziotto accusato e poi assolto di complicità in rapina, prima di diventare avvocato nello studio di Cardona? La nuvola che si addensava sulla testa del ministro dell’Economia aveva un suo spessore. Non stava raccontando tutta la verità e faceva una fatica del diavolo a dissimularlo. Perché?”. Certo è che prima ancora di quegli incontri al Ferdinand’s Bar, quattro mesi prima dell’autobomba, alcuni testimoni affermavano che Chris Cardona avesse incontrato due dei killer di Daphne ad una festa di addio al celibato in una villa a est della Valletta. Dal canto suo il ministro aveva negato i primi due incontri, mentre per il terzo aveva affermato, essendo un personaggio pubblico e Malta un’isola piccola, di non poter escludere di aver incontrato persone poco per bene. Risultato: il governo di Malta ha negato un’inchiesta pubblica sull’omicidio della giornalista.

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Chris Cardona © Jason Borg/DOI


La versione di Muscat
E’ il 22 luglio 2018, al Palazzo del governo della “Castille” Muscat annuncia che le accuse verso di lui e sua moglie erano false. Da pochi minuti sono state pubblicate sul sito internet del governo, l’Attorney General Owen Bonnici quarantanove pagine di conclusioni dell’inchiesta condotta per quindici mesi dal giudice Aaron Bugeja sul caso Egrant. Muscat è trionfante, uno dopo l’altro vengono riportati i punti salienti citati dal magistrato: la società off-shore Egrant non appartiene né a lui, né a sua moglie, né alla sua famiglia. Né lui, né sua moglie, né membri della sua famiglia, né Keith Schembri, Konrad Mizzi o John Dalli risultano coinvolti in episodi di corruzione o riciclaggio con l’Azerbaigian e che questo sia avvenuto attraverso i conti della Pilatus Bank così come sostenuto dalle illazioni di Daphne Caruana Galizia. Fine della storia. Bonini sottolinea che “il cerchio era dunque chiuso. La profezia con cui Daphne, ancora viva, aveva pronosticato, nel giorno del suo interrogatorio nell’aprile del 2017, l’esito scontato dell’inchiesta condotta da Aaron Bugeja, giudice non ‘scelto’ da Muscat per condurre l’inchiesta, ma da Muscat nominato magistrato, trovava la sua conferma”. E “nell’enfasi di quella domenica mattina, nella violenza con cui Muscat chiudeva la partita con l’uomo che, dai banchi dell’opposizione, ancora rappresentava una minaccia, faceva sì che degradasse a dettaglio cosa l’inchiesta giudiziaria fosse effettivamente riuscita ad accertare o meno. Irrilevante finiva insomma per apparire ciò che pure irrilevante non era”. Ma di “irrilevante” c’è davvero poco in tutte le “circostanze” successivamente elencate nel volume.
Nemmeno un’ora dopo dal discorso pronunciato da Muscat, Adrian Delia, leader all’opposizione del Partito nazionalista (che con Daphne aveva un conto in sospeso a causa delle sue inchieste sul narcotraffico e dei collegamenti tra Andre Falzon e lo stesso Delia), aveva tolto a Simon Busuttil (ex leader del Partito nazionalista che nel luglio del 2017 aveva presentato un esposto chiedendo alla magistratura di indagare sulla Pilatus Bank) gli incarichi nel governo ombra, invitandolo espressamente a sospendersi dal gruppo parlamentare del Partito nazionalista. Un messaggio inequivocabile, Bonini scrive testualmente: “l’abbraccio tra le due tribù - i Rossi e i Blu si era compiuto. Anche questa, una profezia di Daphne”.
“All’ufficiale di polizia, che stamattina mi ha informato che il magistrato intendeva sentirmi immediatamente - aveva scritto Daphne sul suo blog dopo il 22 aprile 2017 - ho spiegato che nessuno, meglio della polizia, sa come questa inchiesta non potrà essere altro che una finzione, dal momento che è stata disposta dopo che valigie piene di documenti sono state sottratte non solo dagli uffici della Pilatus, ma anche da quelli della società ‘Nexia BT’. E che, dunque, non è mia intenzione far parte della finzione”.

La vittoria (postuma) di Daphne
Con colpevole ritardo, nel luglio 2018, l’Europa comincia a chiedere conto attraverso la EBA, European Banking Authority - l’Agenzia europea di controllo del mercato bancario nell’Eurozona - della violazione delle norme comunitarie in materia di antiriciclaggio di cui, nel tempo, si erano rese responsabili la FIAU, Financial Intelligence Analysis Unit e la Malta Financial Services Authority nel caso Pilatus. “All’esito di tale indagine, l’Eba ha concluso che la Fiau ha fallito nel suo compito di sorveglianza in ragione di numerosi errori commessi, comprese insufficienze di natura procedurale e l’assenza di qualsiasi supervisione sulla decisione di chiudere il caso Pilatus senza irrogare alcuna sanzione alla banca”. Il dato oggettivo che Bonini riporta è palese: “Era la vittoria di Daphne, che a Daphne non era stato concesso di vivere”. Ma se di una prima vittoria si può parlare, resta intatta - e inevasa - la pretesa di verità sui mandanti del suo omicidio. Mandanti che possono ben essere individuati attraverso il lavoro del “Daphne project” e che devono essere condannati in un’aula di giustizia. Le responsabilità morali del “cerchio magico” di Joseph Muscat (e non solo) sono un dato inoppugnabile, ma oltre ad un giudizio storico è necessario - e quanto mai impellente - un giudizio penale. Per ogni Daphne che muore - isolata - solo per aver fatto il proprio dovere, il mondo dell’informazione ha il dovere di rispondere compatto proseguendo l’opera che è stata interrotta col sangue. Prima di diventare complici. Ed è la sorella di Daphne, Corinne Vella, che, con grande dignità, in un recente incontro alla Camera dei Deputati, davanti al Presidente Roberto Fico, ha ricordato un pensiero di sua sorella che racchiude l’obbligo morale di non rendere vana la morte di Daphne. “Per tutto il tempo in cui sono stata tenuta isolata, nessun collega giornalista si è schierato dalla mia parte. Vorrei dire questo ai miei colleghi giornalisti: la peggiore cosa che possiate fare vedendo un collega subire gli attacchi del governo o di un’opposizione è abbassare la testa al di sotto della staccionata e sperare che a voi non succeda la stessa cosa”. Rendere giustizia a questa donna indomita è l’obiettivo dell’inchiesta pubblica chiesta dai familiari di Daphne Caruana Galizia, del “Daphne project” e del manifesto dei 60 giornalisti alla ricerca dei mandanti di cui si è fatta promotrice la collega Maria Grazia Mazzola. Il fine ultimo è ben chiaro: arrivare al più presto ad una verità definitiva su questo omicidio. Di Stato.

Foto di copertina © Reuters

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