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caruana daphne matthew by el paisdi Lorenzo Baldo
La chiave per comprendere le ragioni di chi ha voluto la morte della giornalista maltese nel libro di Carlo Bonini/1

Un lembo di terra. Poco più grande dell’Isola dell’Elba. Malta è uno “scoglio di pietra gialla” di 316 chilometri quadrati di superficie, con 450 mila abitanti, 90 chilometri a sud della Sicilia, 284 a nord della Tunisia e 333 della Libia. “Fenici, romani, arabi, normanni, spagnoli, l’Ordine dei Cavalieri di San Giovanni, la Francia di Napoleone, la Corona inglese. Tutti l’hanno avuta. Nessuno l’ha conquistata a sé”. Ma è sopratutto un presidio strategico d’Europa. Con il primo ministro Joseph Muscat che detiene nelle sue mani il potere politico, giudiziario e mediatico. E con il Pil che cresce a un doppio ritmo rispetto a quello della media dei Paesi dell’Eurozona, nonostante l’assenza di risorse naturali. “Un’isola che non aveva nulla da vendere” e che ha venduto “se stessa, la sua sovranità” consegnandosi “alle architetture della finanza nera globale, del riciclaggio, finendo per diventare, da Stato membro quale è dal 2004, il cuore corrotto dell’Europa”. Un cuore nero contro il quale la giornalista Daphne Caruana Galizia si è scontrata in tutte le sue sfumature politico-istituzionali: uomini di potere che gestivano quella “giostra” capace di fruttare montagne di soldi. “Giostra”, è così che la chiama il giornalista di Repubblica Carlo Bonini, autore del libro “L’isola assassina” (Feltrinelli ed.), nonché componente per l’Italia, assieme a Giuliano Foschini, del “Daphne project”, assieme ad altre 17 testate giornalistiche di tutto il mondo. Una vera e propria “inchiesta permanente, costruita e resa possibile dalla visione del progetto ‘Forbidden Stories’, che ha raccolto il testimone di Daphne perché fosse chiaro che chi l’aveva assassinata non aveva ucciso insieme a lei anche le sue storie”. “Absence of evidence does not mean evidence of absence”, diceva Daphne: "l’inesistenza della prova non è prova dell’inesistenza”. Seguendo questa traccia ci si immerge nella storia di chi ha pagato con la vita la scelta di fare il proprio mestiere sfidando un sistema di potere politico-criminale tra i più pericolosi e striscianti. Ed è la storia “del coraggio, della solitudine, dell’intelligenza di una donna di cinquantatré anni, madre di tre figli, che ha avuto la forza, la resilienza, la passione civile di denunciare e mostrare quello che l’Europa e una parte consistente della società maltese non volevano vedere fino alla sua condanna a morte”, il 16 ottobre 2017. La ricerca della verità per rendere giustizia a Daphne è il filo conduttore che attraversa le pagine di questo prezioso volume. “Una verità che sarà necessario non smettere di pretendere e, soprattutto, di cercare - sottolinea l’autore -. Tenendo a mente le sue ultime parole da viva: ‘There are crooks everywhere you look. The situation is desperate’. Ci sono corrotti ovunque voi volgiate lo sguardo. La situazione è disperata”.

Le parole di un figlio
E’ affidato a Matthew il racconto dell’ultimo giorno di vita di sua madre. E’ lui che ha la sua stessa passione per il giornalismo, con lei ha lavorato all’inchiesta globale vincitrice del premio Pulitzer dell’International Consortium of Investigative Journalism (Icij), sui cosiddetti “Panama Papers”, i documenti custoditi nello studio legale panamense Mossack Fonseca che hanno svelato la rete di società off-shore di uomini di potere di tutto il mondo. Tra questi il Capo di gabinetto del governo laburista maltese, Keith Schembri, e l’allora ministro dell’Energia e della Sanità, Konrad Mizzi. Ed è il “metodo” di Daphne che Matthew persegue, con la convinzione che non ce ne possa essere uno diverso. “La resiliente e feroce ricerca della verità - spiega Bonini -. L’abitudine alla ‘seconda domanda’, peculiare di chi non si accontenta della prima risposta”. Una ricerca che traspariva lettera per lettera nel suo blog, un assoluto “atto di ribellione e insieme di emancipazione. La conquista della libertà che inseguiva da quando aveva cominciato a scrivere”.

La bomba
Alle 14:35 di lunedì 16 ottobre 2017 Daphne posta l’aggiornamento del “Running Commentary”. L’ultimo. Saluta Matthew e sale in macchina. “Misi su della musica - ricorda il figlio -. E a quel punto, saranno passati tre minuti, forse cinque, accadde che… che… avvertii l’esplosione. Un boato che fece tremare tutte le finestre della casa. Compresi immediatamente che era una bomba. Quel rumore… La forza d’urto… Non poteva che essere una bomba. Fui letteralmente preso dal panico”. Su un dosso a poche centinaia di metri da casa, alle 14,58 minuti e 55 secondi, la Peugeot bianca di Daphne Caruana Galizia si trasforma in una palla infuocata, per poi sollevarsi da terra e terminare la sua corsa nei campi. “Mi sembrò di essere precipitato in una zona di guerra. Vidi rottami che bruciavano lungo la strada e le fiamme che avevano attaccato anche gli alberi alla sinistra del punto in cui era esplosa la macchina. Sull’asfalto, c’erano un tappeto di vetri e plastica e qualcosa che somigliava a brandelli di carne…”. Il racconto di Matthew si fa via via più serrato: “Continuavo a ripetere a me stesso: per favore, per favore, fa’ che sia un’altra macchina. Fa’ che non sia lei. Per favore, per favore… lisola assassinaE intanto la macchina continuava a bruciare, di un fuoco sempre più nero alimentato dal carburante del serbatoio. Finché non mi avvicinai ancora e notai prima una borchia, e poi distinsi le prime lettere della targa. Fu allora che realizzai. Pensai: mio Dio, è lei. Girai ancora una volta intorno alla carcassa che bruciava e in quel momento percepii il rumore orribile che proveniva dall’interno. Quello del fuoco che divora tutto e quello, lancinante, della sirena del clacson che continuava a suonare ininterrottamente”. In quel momento arrivano due poliziotti che dopo inutili tentativi di spegnere l’incendio cominciano a tartassare Matthew con una domanda paradossale: “Come fa a dire che sua madre è in quella macchina?”. “Cominciai a gridare che lo sapevo e basta - sottolinea il giovane -. E che sapevo che era morta. E che la ragione per cui era morta era che loro, la polizia, non erano stati in grado di fare il loro lavoro. Perché non l’avevano protetta”. Di fronte alle grida di Matthew i due poliziotti tacciono mentre il crepitio del fuoco continuava a fondersi con quel clacson assordante. Sua madre era stata uccisa. Ed era stata lasciata sola. “La solitudine era stata l’anticamera della morte di Daphne. Il suo annuncio. E la solitudine ne era stato l’epitaffio nell’attimo dell’esecuzione”, evidenzia l’autore.

Una (presunta) inchiesta
“Con quale credibilità - si chiede Bonini - il governo laburista poteva farsi garante di un’inchiesta indipendente su esecutori e mandanti di un omicidio dal movente ‘oggettivamente’ politico e che dunque, in qualche modo, quel governo chiamava in causa? Muscat ne era consapevole”. All’alba del 4 dicembre 2017 polizia e reparti speciali delle forze armate maltesi arrestano dieci uomini. Sette vengono rilasciati ventiquattro ore dopo. Agli altri tre, accusati di essere gli esecutori materiali dell’assassinio, vengono contestate prove schiaccianti: George Degiorgio, che dell’omicidio viene ritenuto l’organizzatore, suo fratello minore Alfred e Vincent Muscat. Ma sono solo “pesci piccoli” con precedenti penali per rapina, violenza, contrabbando. Nessun omicidio. Caso chiuso: nessun mandante politico dietro di loro.

La strega
“Le streghe hanno smesso di esistere quando noi abbiamo smesso di bruciarle”, scriveva Voltaire. A Malta Daphne veniva chiamata “the witch”, la strega, in una sorta di gioco al massacro dal sapore primitivo. “Le donne che non ci piacciono sono streghe - aveva scritto sul suo blog la giornalista maltese - e quelle che non si accontentano di stare nei ranghi sono pazze”. “In quell’epiteto - ‘Strega’ - sottolinea Bonini, era dunque la furia di chi non voleva guardare. Il sintomo evidente di uno stato di negazione”.
Il 3 giugno 2017 il Partito laburista di Joseph Muscat stravince le elezioni politiche anticipate spazzando via il Partito nazionalista con un margine mai registrato nella storia politica dell’isola: quasi dodici punti. Due giorni dopo Daphne analizza quel dato sul suo blog. “Quattro anni fa, scrissi un pezzo sfidando il leader del Partito nazionalista per aver esordito in un suo comizio sostenendo che ‘30mila persone non possono essere nel torto’. Ovviamente possono esserlo, scrissi. Un milione di persone può esserlo. Il torto o la ragione di un fatto, di un’azione, di un pensiero, non dipendono infatti dal numero di persone che ne sono convinte. Naturalmente, è nel torto chi vota per la corruzione. Naturalmente è nel torto chi vota in modo tale da mettere in condizione i corrotti di andare al potere. È assolutamente nel torto. E farlo poi per un interesse personale è persino peggio che farlo per sostenere la propria squadra (che in sé è già abbastanza sbagliato). La vittoria e la sconfitta non sono fattori con cui si misurano il torto e la ragione. La vittoria e la sconfitta hanno a che fare con il potere di prevenire la malversazione, il cattivo governo della cosa pubblica, o il potere di perpetuarle”. Per poi lasciarsi andare ad una ulteriore riflessione: “Come fa tutto questo a non buttarti giù?, mi è stato chiesto. La mia risposta è e sarà sempre una sola: il Partito laburista mi dà la caccia da quando avevo vent’anni. Sì. Da oltre un quarto di secolo. E la misura di tutto questo si è percepita solo recentemente grazie a internet. Ma va avanti da ben prima. Resisto perché ho avuto l’esempio dei miei genitori, che hanno dovuto difendersi in circostanze ben peggiori tra il 1971 e il 1987, facendolo con grande dignità, correttezza e senza compromessi morali. Ma anche perché sono una persona che legge e sa che questo è un metodo di scuola fascista che i potenti utilizzano per distruggere i loro critici, soprattutto quando li fronteggiano in solitudine”.

degiorgio fratelli

I fratelli George e Alfred Degiorgio


La rete
“Mia madre si era convinta - continua a raccontare Matthew - al di là di ogni ragionevole dubbio, di avere contro di sé una rete. E che fosse dunque questa la ragione della difficoltà di incidere su ciò che la circondava e che denunciava con il suo lavoro. Perché non puoi combattere da solo contro una rete. Hai bisogno di aiuto. Hai bisogno che qualcuno, da fuori, ti aiuti a non rimanerne soffocato. Una rete che a Malta teneva e tiene insieme la politica, gli affari, le professioni liberali. In quell’ultima frase con cui aveva chiuso il suo ultimo post, prima di essere uccisa - “There are crooks everywhere you look”, ci sono corrotti ovunque voi volgiate lo sguardo - c’era la sua consapevolezza di come nessuno possa dirsi al sicuro in questo Paese. Di come non esistano più zone franche o comunque integre nella società maltese”.

Blogger minacciati
“Ero in stato di shock. Perché quel giorno di ottobre è stato il nostro 11 settembre”. Manuel Delia è un ex “professional political operative” che scrive sul suo blog “Truth be told”, la “Verità dovuta”, e che per questo è stato oggetto di minacce e ritorsioni così come la collega Caroline Muscat che scrive sul blog “The shift news”. Caroline e Manuel (nei confronti dei quali è stata aperta una raccolta fondi per sostenere il loro prezioso lavoro) sono stati amici della giornalista maltese, ed è quest’ultimo a ricordare la decisione presa subito dopo l’omicidio. “Istintivamente, decisi di reagire scrivendo - racconta Manuel -. Anche se il giornalismo non era il mio mestiere. Postai un primo commento in rete un’ora dopo l’esplosione a Bidnija. Poi un secondo, e un altro ancora. Continuai a pubblicare per giorni. Un post dietro l’altro, fino a quando non cominciai a riflettere su quello che stavo facendo e soprattutto sul perché lo stavo facendo. E capii che non si trattava soltanto di raccogliere il testimone di Daphne. Ma di dare un significato profondo a quell’omicidio”. Manuel intende quindi “provare a scoprire non solo e non tanto il ‘chi’. Ma il ‘perché’. Nel ‘perché’ di quella morte c’era e c’è infatti la chiave di quello che Malta è diventata. Di cosa ci è successo. Ci si può girare intorno, se si vuole, ma la cosa è semplice: c’è una lunga lista di persone che, dal pomeriggio del 16 ottobre 2017, vive meglio”.
(segue)

Foto di copertina by El Pais

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