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La nuova edizione del libro di Anna Vinci, biografa dell’ex staffetta partigiana

“Che cosa resta, a trent’anni da quell’inizio degli anni Ottanta, delle parole del potere che emergono dai preziosi foglietti di Tina, questo segreto diario, che ci proietta sul palcoscenico dell’Italia di ieri e che ci spinge a riflettere sull’Italia di oggi? Una testimonianza di persona onesta che si trova davanti alle menzogne, ai sotterfugi, alle compromissioni di un potere segreto e maligno che s’insinua nelle istituzioni e riesce troppo spesso a corrompere quello che c’è ancora di sano nel paese. Le armi per combattere questi orrori stanno in altre mani. A lei non resta che il racconto dei fatti, con il rischio sempre di non essere creduta”. E’ un rischio concreto quello paventato dalla scrittrice Dacia Maraini nell’introduzione della nuova edizione dello splendido libro di Anna Vinci "La P2 nei diari segreti di Tina Anselmi" (Chiarelettere). E alla effettiva possibilità di non essere creduti si aggiunge una consapevolezza oggettiva, lacerante, cruda: la P2 ha saputo cambiare pelle ed è ancora viva e operante sotto altre forme. “L’uso distorto delle parole – scrive nel capitolo “A volte ritornano” Giovanni Di Ciommo, ex segretario della Commissione parlamentare sulla P2 –, che Gianrico Carofiglio chiama la «manomissione delle parole», è la prima e la più perniciosa fra tutte: la corruzione delle menti. Chi ne vuole un esempio, legga la lettera di Licio Gelli indirizzata al presidente della Repubblica Francesco Cossiga, e mentre la legge ponga mente alla discrasia tra le parole altisonanti del testo e la realtà, ben meno nobile, a esse sottostante”. “Come ha potuto permettersi di scrivere una tale lettera? – si chiede sgomenta Anna VinciIl fatto che Gelli avesse la spudoratezza di scrivere, di tirare fuori la testa, significava che i tempi erano veramente cambiati e quella lettera non era una delle tante, faceva temere che una pietra tombale fosse stata messa sui lavori della Commissione”.

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Il «Maestro venerabile» della loggia massonica P2, Licio Gelli © Imagoeconomica



Lo svuotamento delle parole e la loro strumentalizzazione sono ormai i lacci che attanagliano la nostra fragile democrazia. Ma è solo il risultato di anni e anni di un lavoro scientificamente mirato. “Mentre lavoravamo alla redazione del testo – conclude Di Ciommo –, Tina Anselmi diceva che noi non dovevamo lavorare per la Storia. Questo perché evidentemente sperava che la sua attività incidesse più sensibilmente nella realtà politica del paese. Un pessimista sarebbe portato a dire che così non fu. Ma se pensiamo a un paese nel quale, se ritieni che le azioni umane vadano valutate eticamente ti si dà, con intonazione dispregiativa, del «moralista» (chi sa mai perché?), e se credi che le norme di legge vadano rispettate e fatte applicare, vieni tacciato di «giustizialismo» (cosa vorrà mai dire?), allora anche scrivere soltanto per la Storia può essere di qualche utilità se serve a ridare a ogni cosa il suo giusto nome, al fine di poter non solo giudicare il passato, ma per dotarsi di una bussola con la quale orientarsi nel presente, perché, come è stato detto, la Storia non si ripete mai, ma spesso fa rima”. E sono proprio le parole di Tina Anselmi a ricordarci l’essenza del suo immane lavoro: “Basta una sola persona che ci governa ricattata o ricattabile, perché la democrazia sia a rischio”. Una frase autentica, con la quale Anna Vinci racconta di aver “convissuto a lungo” prima di decidersi a riprendere in mano il diario della Anselmi tenuto durante la sua presidenza della Commissione bicamerale inquirente sulla Loggia massonica P2 di Licio Gelli, dal dicembre 1981 al luglio del 1984. Quei “foglietti” – 773 appunti custoditi per anni nella sua casa di Castelfranco Veneto prima che decidesse di affidarli ad Anna VinciTina Anselmi “li scriveva per sé, per meglio muoversi in quel circo di verità e menzogne, mezze ammissioni, linguaggio omertoso, omissioni, e perché, come poi, più volte, avrebbe dichiarato, voleva che restassero, quale documento, per invogliare a conoscere, capire, far emergere, la rete di complicità, di connivenze, d’illegalità piduiste, che stava tanto profondamente intaccando il corretto funzionamento dello Stato”. Uno dopo l’altro è come se prendessero forma in una serie di fotogrammi proiettati su uno schermo immaginario pezzi di storia del potere. Che – anche dopo la scoperta dell’elenco degli iscritti alla P2 – rivela il volto squallido dell’impunità attraverso le parole dell’ex comandante generale della Guardia di Finanza Orazio Giannini (il cui nome risultava tra i piduisti) che al tenente colonnello della Gdf Vincenzo Bianchi risponde con un solenne “Non me ne frega niente”.

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La giornalista e scrittrice Anna Vinci


“Il mio rammarico
– confida Tina Anselmi ad Anna Vinciè che non si è voluto continuare a indagare, a studiare il nostro lavoro, ad andare in fondo, a leggere, soppesare i 120 volumi degli atti della Commissione, che tutti potrebbero consultare, che si trovano nella biblioteca della Camera”. E’ questo il debito morale che il nostro Stato ha nei confronti di Tina Anselmi. Uno Stato che ha commesso (anche) il peccato di omissione: non aver proseguito – salvo rarissime eccezioni – sul sentiero che aveva tracciato la Anselmi, lasciandola completamente sola. Una solitudine figlia del più becero isolamento istituzionale. Che emerge con forza nell’appunto del 20 settembre 1983 relativo alle dichiarazioni del generale dei Carabinieri Arnaldo Ferrara. “Con Pertini – scrive la Anselmi – parlano spesso del mio coraggio. Sanno che sono sola in questo compito”.
“Dall’esplorazione di questo mondo – aveva evidenziato la Presidente della Commissione sulla P2 durante la seduta alla Camera del 9 gennaio 1986 – da questa ricognizione, invero poco edificante, dell’altra faccia della luna, possiamo trarre una conclusione principale di significato politico rilevante: che la politica sommersa vive e prospera contro la politica ufficiale; che una democrazia manipolata è in realtà una non democrazia; che ogni tentativo di correggere surrettiziamente e per vie traverse il sistema democratico significa in realtà negarlo alla radice dei suoi valori costitutivi”.
A raccontare la gravità di quella seduta “semivuota” era stata la giornalista Sandra Bonsanti, le cui parole vengono riportate fedelmente. “Quando Tina Anselmi pronuncia il suo discorso politico sulla democrazia «controllata» e «condizionata», l’aula è di nuovo semideserta e le ultime parole della presidente, una sorta di accorato appello alle forze politiche per non uscire «tutti perdenti» da questa vicenda, sono accolte dagli applausi di otto compagni di partito, di sei comunisti, di qualche indipendente di sinistra. Eppure, al di là della disattenzione imperante, nel dibattito vengono dette da più parti cose importanti. E Tina Anselmi, in particolare, riprendendo le considerazioni finali e le proposte contenute nell’ultima parte della relazione, spiega lucidamente come la P2 abbia in realtà costituito, per sua stessa definizione, un vero e proprio «organigramma» con un progetto politico
portatore di un messaggio eversivo: un progetto concorrenziale rispetto alla politica ufficiale e portatore di una politica sommersa, nemica del sistema democratico, nel quale «non vi è e non vi può essere posto per nicchie nascoste o burattinai di sorta»”.

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Silvio Berlusconi © Imagoeconomica


Osservando “l’altra faccia della luna” Anna Vinci chiude un cerchio dentro il quale si intravede plasticamente quel sistema capace di sopravvivere indenne alle inchieste giudiziarie. Il germe del potere politico-criminale continua a infettare i palazzi delle istituzioni: cambiano i volti, o a volte sono gli stessi che tornano come nel caso di Silvio Berlusconi (tessera P2 - n° 1816) e di altri suoi accoliti. Le linee guida restano sempre quelle dettate dal Venerabile, magari con ulteriori sfumature. Nell’Italia di ieri e di oggi una “Tina vagante”, come veniva definita la Anselmi, è sempre più un corpo estraneo. “Le parole vanno usate non per coprire, ma per scoprire, mettere insieme i tasselli del puzzle, tirando su il sommerso, per trovare il filo che tutto lega”, aveva confidato l’ex staffetta alla sua biografa. Ed è la stessa Anna Vinci a evidenziare come l’ex Presidente della Commissione sulla P2 fosse innanzitutto una donna “che usa le parole per togliere il velo delle ambiguità”. “Penso a Tina – scrive la Vinci – sviluppo la sua idea e li vedo questi eroi borghesi che hanno fatto la Storia, dai modi rassicuranti, quali erano i suoi, uno stile sobrio, buonsenso, dotati di un carisma che nasce dalla forza interiore, dall’adesione alla concretezza della vita, senza abbandonare tuttavia la propria utopia. Lavoratori instancabili più che «aizza popolo». Non cercano di sovvertire il sistema, ne fanno parte e quando incontrano la Storia, quella con la «S» maiuscola, cercano di cambiarla. Penso, appunto, ad Ambrosoli e Sindona, a Carlo Alberto dalla Chiesa, a Giovanni Falcone, a Paolo Borsellino, a tanti altri e alla mafia. Penso a Tina Anselmi e la P2. Donne e uomini che finiscono sempre «fatti fuori», in un modo o nell’altro”. La scrittrice ci tiene molto a evidenziare un dato oggettivo: gli eroi borghesi che ha appena citato “se vanno là dove essi non dovevano, ritrovano una parte dello Stato «contro», in maniera subdola perché, non arretrando, scoprono «l’altra faccia della luna»”. Si tratta di un “profondo segreto che non bisogna conoscere, perché tutto cambi affinché nulla cambi, come ci ricorda Tomasi di Lampedusa nel suo Gattopardo”. E sono donne e uomini che “quando il paese «chiama» rispondono, perché «non si può girare lo sguardo dall’altra parte, quando ci si trova davanti la vittima e il carnefice; volgendo lo sguardo altrove, si sceglie di stare di fatto dalla parte del carnefice»”.

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Vincenzo Parisi, al centro, ai funerali del giudice Paolo Borsellino © Imagoeconomica


Ma questa è una storia che si ripete giorno dopo giorno in uno Stato che non intende processare se stesso, né tanto meno ammettere l’esistenza di una o più trattative con la mafia. L’ultimo “foglietto” di Tina Anselmi riportato nel prezioso volume di Anna Vinci è del 5 Ottobre 1990, riguarda gli appunti su Vincenzo Parisi (capo della Polizia dal 1987 al 1994 che, se fosse rimasto in vita, sarebbe stato indagato nell’inchiesta sulla trattativa Stato-mafia). Il suo contenuto è quanto meno interessante: “C’è stata in tutti questi anni un’azione dei servizi segreti stranieri (non dell’Est) per mantenere debole e perciò controllabile il sistema politico italiano. Bologna, Ustica, Emanuela Orlandi, l’attentato al papa sono interpretabili così. Pazienza (lo consideravano) servizi francesi e americani più intelligente di Gelli, alla fine degli anni Ottanta in Usa si decise di inviarlo in Italia per sostituire Gelli. La chiave di lettura della Commissione sulla P2 è giusta e ancora attuale. Gelli oggi non è operativo ed è sotto controllo, dovrebbe essere in carcere e i beni confiscati. È una vergogna che così non sia”.
Si affida infine agli “eroici studiosi” Giuliano Turone (il giudice di Milano che insieme a Gherardo Colombo, nel marzo del 1981 ordinò alla Guardia di Finanza di perquisire Castiglion Fibocchi, dove venne trovata la lista della P2) mentre nella sua postfazione auspica che “possano un domani finalmente spiegarci come mai, nonostante l’autorevole ed esaustiva relazione finale della Commissione parlamentare d’inchiesta, e nonostante l’importantissima e rigorosa Risoluzione 6 marzo 1986 della Camera dei Deputati, l’Italia non abbia ancora saputo mettersi decisamente alle spalle la filosofia di fondo «predemocratica» ed «eversiva» del sistema P2: quella «visione politica che tende a situare il potere negli apparati e non nella comunità dei cittadini politicamente intesa», quale emerge dal cosiddetto «Piano di rinascita democratica»”. Turone confida che quegli studiosi possano spiegare una volta per tutte come sia stato possibile avere avuto fino a pochi anni fa “un presidente del Consiglio titolare della tessera P2 numero 1816”. Domande che rimbalzano prepotenti nelle pagine di questo libro. Che restituisce vere e proprie risposte di verità, o quanto meno ci indica la via da seguire per poterci arrivare, nonostante “l’altra parte della luna” continui a gettare le sue ombre sul nostro presente e sul nostro futuro.

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