di Davide de Bari
Il ricordo più che mai vivo 32 anni dopo
Claudio Domino aveva undici anni. Era un bambino gioioso e pieno di vita che, come tutti i bambini, gli piaceva giocare e magari corriere dietro un pallone. Il 7 ottobre 1986, Claudio si trovava assieme a due amici, nel quartiere San Lorenzo di Palermo, vicino dove lavorava sua madre in una cartolibreria. Un giorno come tanti finché un uomo, su un motorino, attirò la sua attenzione chiamandolo a sé. Una questione di secondi e il killer aprì il fuoco contro di lui. Un colpo di pistola in fronte. Uno, sparato a bruciapelo. Il corpo senza vita di Claudio cadde a terra. Un delitto efferato, atroce, improvviso.
Erano gli anni del maxi-processo in cui i boss di Cosa nostra furono portati alla sbarra dai giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. La mafia era alla finestra ad aspettare l’esito di quel processo e in quel periodo non vi erano stati omicidi di mafia. Il delitto Domino ruppe quel silenzio, sconvolgendo tutti, anche alcuni boss che ne presero pubblicamente le distanze. Infatti durante il dibattimento del maxi-processo, Giovanni Bontade, fratello di Stefano, capomafia di Villagrazie di Carini, prese la parola e disse: “Siamo uomini, abbiamo figli, comprendiamo il dolore della famiglia Domino. Rifiutiamo l’ipotesi che un atto di simile barbarie ci possa sfiorare”. Parole che implicitamente ammisero l’esistenza e quindi l’associazione a un’organizzazione mafiosa.
Per l’omicidio Domino ci furono diverse ipotesi sul movente. Inizialmente si seguì la pista che il bambino fosse stato testimone involontario di un sequestro. E tra "mascariamenti" ci fu anche chi disse che il suo assassinio fosse stata una vendetta della mafia, contro quella famiglia che aveva ricevuto in appalto il servizio di pulizia all’interno dell’aula bunker. Una famiglia che con la mafia non aveva nulla a che fare. Successivamente, grazie alle rivelazioni del collaboratore di giustizia Giovanbattista Ferrante, emerse che Claudio fu ucciso perché avrebbe visto confezionare delle dosi di droga in un magazzino. Per questo motivo era un testimone scomodo, da eliminare.
Un altro collaboratore di giustizia, Salvatore Cancemi, raccontò che Totò Riina avrebbe ordinato la ricerca e l’eliminazione dei responsabili dell’eccidio. Infatti, Ferrante nelle sue dichiarazioni riferì di essere stato lui stesso il killer, che su ordine di Giovanni Brusca, assassinò Salvatore Graffagnino, proprietario del bari vicino al luogo dell’omicidio di Claudio; il quale, sotto tortura, avrebbe ammesso di essere stato il mandante, incaricando un tossicodipendente di eseguire l’omicidio.
Tuttavia, la verità completa sul delitto non si è mai saputa veramente e ancora non si conosce il volto del killer che spezzò la vita di un bambino.
Il confidente Luigi Ilardo, che sarebbe poi stato ucciso nel 1996 prima di diventare collaboratore di giustizia, disse al colonnello Riccio che il giorno dell’assassinio di Claudio, nel quartiere di San Lorenzo, vi sarebbe stato anche un soggetto con la "faccia da mostro".
Riccio ne ha parlato al processo sulla morte di Ilardo: "Ilardo forse è stato il primo a parlare di faccia di mostro. Ilardo me ne parlò a proposito di alcuni attentati che erano stati addebitati alla mafia e i cui esecutori erano affiliati a Cosa Nostra ma che però avevano visto una partecipazione diretta o indiretta di apparati deviati dello Stato". Ilardo avrebbe anticipato a Riccio quale sarebbe stato il suo contributo una volta diventato collaboratore di giustiza. "Ilardo mi disse: - ricorda l'ex militare - parlerò di determinati episodi come la morte di Pio La Torre, del presidente Mattarella, di Claudio Domino, del poliziotto ucciso insieme alla moglie, perchè dietro ci sono le Istituzioni. E mi fece riferimento - aveva detto Riccio - che proprio per la morte di Domino i suoi contatti di Cosa Nostra palermitana gli avevano riferito che ci fu la ricerca di un personaggio che doveva appartenere alle istituzioni italiane, il quale aveva fatto un po' da supervisore e, forse aveva anche avuto qualche parte attiva in questi attentati, specialmente in quello di Domino che aveva colpito molti esponenti di cosa Nostra che non erano concordi con questi omicidi. Per cui - aggiunse il colonnello - si sarebbero mossi alla ricerca di questo personaggio, che Ilardo allora mi descrisse come alto, magro e con in viso una voglia che lo deturpava. Sinteticamente mi disse 'faccia da mostro'". Secondo gli inquirenti "Faccia da mostro" altri non era che Giovanni Aiello, ex agente di polizia oggi deceduto. Diversi collaboratori di giustizia lo avrebbero riconosciuto e ne hanno riferito alle procure di Palermo, Caltanissetta, Catania e Reggio Calabria. Cosa c'era davvero, dunque, dietro all'omicidio Domino? Un caso che a trentadue anni di stanza rimane ancora irrisolto, senza alcuna sentenza che riconosca gli assassini del bambino.
I genitori di Claudio, Antonio e Graziella Accetta, dopo anni di silenzio, hanno deciso di portare avanti un progetto di crescita e tutela dei minori, iniziato proprio nel giorno del trentesimo anniversario della morte. I coniugi Domino varcano le porte delle scuole non solo per raccontare la storia di Claudio, ma anche per ricordare gli oltre 108 bambini assassinati dalle mafie.
E’ doveroso ricordare Claudio, ma anche tutti i bambini innocenti a cui la mafia non ha permesso di poter crescere e vivere la propria vita in questo Paese. Anche quest’anno, il piccolo Claudio sarà ricordato a Palermo in varie iniziate promosse in ricordo del suo trentaduesimo anniversario dalla morte. "La vita negata" è il tema scelto scelto per l'occasione. Quella vita negata al piccolo Claudio ed a tanti altri bambini che oggi più che mai non possono essere dimenticati.
Claudio Domino, essere vittima di mafia a soli 11 anni
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