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bologna05di Aaron Pettinari
Emersi nuovi elementi sul coinvolgimento di P2 e Servizi segreti

Fatti nascosti, taciuti, misteri, anomalie, depistaggi e mezze verità. Sono questi, purtroppo, gli "ingredienti" che hanno caratterizzato diversi episodi della storia del nostro Paese. Oggi sono passati esattamente 38 anni dall'attentato alla stazione di Bologna quando, nel 1980 alle ore 10.25, una bomba esplose uccidendo 85 persone e ferendone oltre 200. Oggi si torna a fare memoria, a riflettere ma la certezza è che si debba andare oltre il semplice ricordo, oltre quel minuto di silenzio che unirà non solo i bolognesi ma tutti gli italiani. Si sono celebrati processi e pur conoscendo i nomi degli esecutori, (per la strage sono già stati condannati i terroristi Francesca Mambro, Valerio Fioravanti e Luigi Ciavardini, ndr) e tutt'ora è in corso davanti la Corte d'Assise il processo per concorso in strage all'ex Nar, Gilberto Cavallini, non conosciamo chi ha voluto che si perpetrasse quell'efferato delitto (sui mandanti occulti c’è l'indagine, ancora aperta, della Procura generale di Bologna). Manca, dunque, una verità completa su quel massacro, anche se oggi qualche elemento nuovo sta emergendo con ulteriori particolari sui rapporti fra terroristi, Servizi segreti e P2 nei giorni dell’attentato, nel nome di Gladio (la nota rete militare segreta anticomunista la cui esistenza fu rivelata da Giulio Andreotti alla Camera, il 24 ottobre 1990).
Nei giorni scorsi l'Espresso ha parlato dei nuovi documenti di cui è stata chiesta l'acquisizione nel procedimento in corso contro Cavallini. Questi, secondo il settimanale, avrebbe avuto dei legami proprio con Gladio, e verrebbe dimostrato da alcune banconote usate al tempo dall'ex Nar. Dalle carte emerge che il 12 settembre 1983, i carabinieri perquisirono a Milano un covo di Cavallini, e tra le sue cose venne trovato il reperto numero 2/25, una mezza banconota da 1.000 lire, con il numero di serie che termina con la cifra 63.
Spulciando gli archivi di Gladio, è emersa l'esistenza di un documento sconcertante che l'Espresso è riuscito a recuperare, ovvero una foto di banconote da 1.000 lire, tagliate a metà, e i fogli protocollati in cui si spiega che erano il segnale da usare per accedere agli arsenali e prelevare armi o esplosivi, in particolare dalle caserme in Friuli.
Non solo. In una foto si legge anche il dettaglio che le ultime due cifre di una mezza banconota sono proprio 63, ovvero le medesime della "mezza banconota" trovata da Cavallini.
Ciò significherebbe che l'ex Nar aveva il modo di prelevare direttamente qualsiasi tipo di materiale dagli arsenali di Gladio.
Ma nuovi spunti sono dati anche dalle parole di Vito Zincani, il giudice istruttore della maxi-inchiesta sulla strage, il quale, vedendo le carte ritrovate dall'Espresso, ricorda che anche "Fioravanti aveva rubato un’intera cassa di bombe a mano, modello Srcm, quando faceva il servizio militare a Pordenone. Era stato ammesso alla scuola ufficiali quando risultava già denunciato e implicato in gravi reati. Per capire come avesse fatto, abbiamo acquisito i suoi fascicoli". In quegli archivi della divisione Ariete fu trovato un documento dell'Ufficio I (quello dei servizi militari). "Si indicava proprio Fioravanti e Alessandro Alibrandi come responsabili del furto delle Srcm - ha aggiunto Zincani - Quelle bombe sono state poi utilizzate per commettere numerosi attentati. Sono fatti accertati, mai smentiti".
Un elemento che dimostra come Fioravanti, prima della nascita dei Nar, già godesse di coperture militari e dei servizi.
Sullo sfondo della strage di Bologna resta poi l'ombra immensa del Gran Maestro della P2, Licio Gelli. Lui è morto nel 2015 ma è stato accertato il suo ruolo nel depistaggio ordito dopo l'attentato. A suo carico, oggi, emergono nuovi fatti, su cui indaga la Procura generale nel filone sui mandanti.
L'Espresso ha pubblicato anche questi elementi evidenziando come tra le carte dell’epoca sequestrate a Gelli vi è un documento classificato come "piano di distribuzione di somme di denaro". Riguarda milioni di dollari usciti dalla Svizzera proprio nel periodo della strage e dei depistaggi, tra luglio 1980 e febbraio 1981. Un documento che ha nell'intestazione proprio il riferimento alla città: "Bologna - 525779 XS". Secondo quanto approfondito dagli inquirenti il numero e la sigla corrispondono a un conto svizzero di Gelli. Ci sono poi anche delle note, scritte di pugno da Gelli, in riferimento a pacchi di contanti da portare in Italia. Denaro che, solo nel mese che precede la strage, tocca la cifra di quattro milioni di dollari.

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Paolo Bolognesi, presidente dell'associazione tra i familiari delle vittime della strage di Bologna (© Imagoeconomica)


Numeri, documenti, indagini. Oggi Bologna torna a ricordare stringendosi attorno ai familiari delle vittime che chiedono verità e giustizia.
Il presidente dell’associazione dei familiari delle vittime, Paolo Bolognesi, ha già spiegato che ai componenti del Governo è stato chiesto l’impegno dell’esecutivo su due questioni chiave come il risarcimento dei danni ma, soprattutto, sulla desecretazione dei documenti relativi agli anni dell’attentato.
Intervistato da "La Repubblica" Bolognesi ha lanciato un grido d'allarme: "C’è ancora chi non vuole la verità sulla strage di Bologna. Ed oggi il rischio di depistaggi è paradossalmente più alto che in passato. E lo è perché la posta in gioco è più alta. I processi del passato, che hanno portato alla condanna di Giusva Fioravanti, Francesca Mambro e Luigi Ciavardini, hanno certificato le responsabilità di tre esecutori materiali; il processo in corso e l’inchiesta che sta svolgendo la procura generale sui finanziatori e sui mandanti della strage alzano di molto il tiro andando sulle possibili responsabilità di livelli superiori. È chiaro che più si sale di livello, maggiore è la possibilità di toccare trame fino a ora sconosciute, o solo intuite. Ovvio ritenere che certi poteri proveranno a difendersi occultando la verità".
Sulla strage, secondo Bolognesi, "si può scoprire ancora molto. Le tecnologie e gli strumenti investigativi moderni offrono molte possibilità in più rispetto al passato. Poi resto convinto che anche sul fronte documentale non tutto sia già saltato fuori. L’Italia è un paese nel quale i documenti vengono fatti sparire, ma quasi mai vengono distrutti. Perché certe carte consentono il ricatto e il controllo di alcuni apparati. Sono spariti alcuni archivi, ma c’è chi sa dove sono e conosce la verità". Se da una parte si può avere fiducia del lavoro della magistratura ("Stanno lavorando, credo che sia necessario essere attenti e prudenti. Siamo in una fase delicata e insidiosa, ma ho grande fiducia nel lavoro che si sta facendo, vedremo i risultati a tempo dovuto, è giusto così") secondo Bolognesi è necessario che anche la politica faccia la sua parte. E la desecretazione di tutti i documenti è un punto fondamentale nella ricerca della verità.

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