di Savino Percocco - Video e Foto
A Polignano a Mare interventi anche di Scarpinato e Spinosa
Un’onda forte di legalità e giustizia è sopraggiunta nella città di Polignano a mare la sera del 6 luglio in occasione del festival del libro possibile. Tra le tante manifestazioni si è dato omaggio al libro “La Repubblica delle stragi - 1978/1994, Il patto di sangue tra Stato, mafia, P2 ed eversione nera”, curato da Salvatore Borsellino, con prefazione di Marco Travaglio, scritto a sette penne da Nunzia e Stefano Mormile, Giovanni Spinosa, Federica Fabbretti, Fabio Repici, Antonella Beccaria, Giuseppe Lo Bianco e con la collaborazione di Marco Bertelli.
In un’affollatissima piazza della città natale di Domenico Modugno, che vedeva tra i presenti anche moltissimi membri delle Agende Rosse territoriali e della scuola Caporizzi-Lucarelli di Acquaviva delle Fonti, nota per il grande successo del progetto sulla legalità.
Sono intervenuti Giovanni Spinosa, Presidente del Tribunale di Ancona, componente in passato della DDA di Bologna che ha indagato sul caso della “uno bianca”, Roberto Scarpinato, Procuratore generale a Palermo e Salvatore Borsellino, presidente delle Agende Rosse e fratello del magistrato Paolo.
A moderare l’incontro, il giornalista e scrittore Marco Lillo.
Giovanni Spinosa, relaziona il suo discorso, riportando alcuni dettagli di collegamento tra le varie stragi italiane, raccontando gli episodi storici introdotti da una brillante analisi sull’evoluzione dello stragismo. Spiega che dal 1978, le stragi non pongono più l’obiettivo di una presa di potere golpista legata prevalentemente ai “colonnelli” ma orientano alla destabilizzazione e al controllo degli equilibri istituzionali.
Massacri quindi, che necessitano collaborazioni sinergiche tra poteri di entità differenti che il togato definisce “espressione antropomorfica” tra neo fascismo, eversione di destra e mafia o logge massoniche e apparati mafiosi per il fenomeno siciliano fino agli anni '90.
Nel merito, racconta di Schaudinn, un terrorista tedesco di matrice slovena, arruolato da Pippo Calò (capo della famiglia mafiosa di “Portanuova” a Palermo, la stessa a cui apparteneva Vittorio Mangano, lo stalliere di Berlusconi alla villa di Arcore), per confezionare gli ordigni utilizzati per la strage del rapido 904 e di cui affine tecnologia e stata riscontrata nella strage di via D’Amelio.
Soffermandosi sulla complicità dei vari apparati di potere e ricordando la Strage di Bologna, descrive una sintesi biografica del politico e insegnante Ciccio Mangiameli, da quando affitta l’appartamento tarantino per nascondere gli esecutori materiali, Mambro e Fioravanti, fino al suo omicidio.
Spinosa richiama l’attenzione sulla morte avvenuta poco dopo l’intervista ad un “colonnello legato a doppi fini ai servizi segreti”, dove accennava di un tale di nome “Ciccio” coinvolto nella strage del 2 agosto 1980 con 2 giovani neofascisti e che avrebbe strumentalizzato gli accaduti chiamando in causa i servizi segreti, aspetto che si riscontra spesso nell’ambito di tutte le stragi.
Mangiameli dunque, sarebbe stato assassinato perché avrebbe potuto svelare dettagli compromettenti nonché i legami tra neofascisti, servizi segreti e mafia.
Roberto Scarpinato evidenzia come nessun Paese al Mondo rispetto all’Italia, sia caratterizzato da una storia stragista sin dalla nascita della Repubblica a cominciare da Portella delle Ginestre che definisce una strage politica, finalizzata a troncare l’ascesa delle sinistre dopo il successo elettorale di quell’anno.
Citando le varie stragi rileva come tutte abbiano un unico comune denominatore “non è stato mai possibile accertare la verità dei mandanti politici”.
Infine il Procuratore sottolinea che le stragi di Capaci e via D’Amelio, sono una somma di tutte le tecniche di depistaggio strumentate dagli inizi del dopo guerra, ed elenca la sparizione dei documenti essenziali dal covo di Riina, l’agenda Rossa di Paolo Borsellino (descrivendo le azioni di Arcangioli quando acquisisce e ripone nuovamente nell’auto in fiamme la borsa del magistrato), le agende di Giovanni Falcone, le false testimonianze, l’uccisione dei collaboratori di giustizia (ricorda Ilardo), ecc.
Chiude Salvatore Borsellino che introduce con un omaggio al gruppo Agende Rosse pugliese, specificando l’importanza di formare nuovi giovani capaci di proseguire l’opera da lui avviata e che nell’occasione ha permesso la realizzazione del libro protagonista di serata. Difatti, la battaglia di verità e giustizia ha avvicinato a lui tante persone che poi hanno unito le competenze e dato vita al capolavoro scritto.
Prosegue ricordando la scomparsa della madre di Ilaria Alpi, sottolineando la tristezza di una donna morta senza aver ottenuto giustizia sulla tragedia di sua figlia.
Non manca la solidarietà al Procuratore Nazionale aggiunto, Antonino Di Matteo, rimarcando le sofferenze che il magistrato subisce in particolar modo dalle aree interne e che più di tutti dovrebbe proteggerlo. Specifica inoltre gli episodi che lo rendono vittima di alcune forme di vilipendio che gli hanno bloccato o rallentato in qualche modo la carriera, ostacolato persino dalla Presidenza della Repubblica (Alias Napolitano) sul “Processo Trattativa” e afferma poi Borsellino “questa è la tragica realtà, gli ostacoli più grossi sono posti da uomini delle istituzioni”.
Continua descrivendo l’assenza dei pubblici ministeri al processo Borsellino Quarter durante l’esposizione finale presentata dall’avv. Fabio Repici, integrata anche da materiale videografico attinente alle immagini più importanti dei momenti successivi all’esplosione del 19 Luglio 1992 e mirata agli spostamenti di alcune persone.
Denunciando il depistaggio riscontrato fino al Borsellino bis, evidenzia la gravità non solo dell’azione criminale fornita da alcuni uomini dello Stato, ma anche il dato che emerge dai racconti su fatti realmente accaduti, incolpati però a innocenti. Domanda infatti Borsellino, se gli autori del depistaggio siano protagonisti diretti della strage o in contatto con essi.
Inoltre evidenzia che il depistaggio sia anche stato avallato dai magistrati riferendosi a Palma e Tinebra, e chiede perché non vengano deferiti al CSM e perché non mai stato istituito un processo sulla scomparsa dell’agenda rossa e tutto si sia sempre concluso alla fase preliminare, nonostante le molteplici versioni tra cui quelle relative all’ex pm Ayala.
Con dolore poi afferma, che suo fratello è stato ucciso perché chiedeva a gran voce di essere ricevuto dall’autorità giudiziaria per rendere a verbale le conoscenze sulla strage di Capaci, impedendogli così, di testimoniare a Caltanissetta.
Chiude in grande commozione tra gli appalusi del pubblico in piedi, sottolineando a forte voce che “Paolo non è morto, è vivo nei vostri cuori … E quando io non ci sarò più ci sarete voi, ci saranno i vostri figli e un giorno in questo Paese non ci sarà più questo peccato originale alla base di una Repubblica fondata sulle stragi”.
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