di Francesca Mondin
Accolte le segnalazioni della tdg Valeria Grasso sui rischi
Secondo il Ministero dell'Interno una macchina non blindata per Ignazio Cutrò e la revoca della tutela ai famigliari è la misura di protezione ritenuta opportuna per la situazione attuale. Nonostante le intercettazioni del 2014 che svelano l'odio della mafia bivonese e dintorni contro Cutrò. A renderlo noto è la testimone di giustizia Valeria Grasso che ieri si è recata dal capo segreteria del ministro Marco Minniti proprio per chiedere di rivedere questa scelta nei confronti del presidente dell'Associazione testimoni di giustizia. A chiedere una revisione di questa decisione sono state diverse forze politiche e pubbliche, a partire dal testimone di giustizia Giuseppe Carini, alla stessa Valeria Grasso, al politico Giuseppe Lumia, ad una delegazione di deputati del M5S, fino a comuni cittadini come il blogger Gaetano Montalbano. Ma ancora sembra non esserci intenzione di rivalutare la decisione presa. “Nessuno mette in dubbio la relazione della DDA - ha detto Valeria Grasso - ma ho chiesto comunque di rivalutare la scelta, esprimendo la mia grande preoccupazione per la famiglia di Ignazio Cutrò”. Dopo il depotenziamento della tutela il testimone di giustizia si è visto smantellare il sistema di videosorveglianza, l'eliminazione della protezione per i figli e la sostituzione di una blindata con una non blindata per il suo trasporto. Perché questo è il 4° livello di protezione che anni fa è stato scelto anche per Valeria Grasso. Un livello di protezione che la testimone di giustizia ha fatto notare, ieri al Ministero, dovrebbe essere: “Eliminato dal dispositivo di sicurezza perchè chi è sotto tutela è rischio di vita e non può viaggiare in un mezzo non blindato perchémette a rischio anche la vita dei militari che lo accompagnano”. Segnalazione che sembrerebbe essere stata accolta dal capo segreteria di Minniti: “Mi ha ribadito che la sottoporrà al ministro e si è resa molto disponibile” ha detto la testimone di giustizia.
Nel mentre che la questione viene sottoposta al Ministero dell'Interno Cutrò ha già deciso di rinunciare a quel poco di scorta che gli rimaneva come ultimo tentativo per difendere la sua famiglia. “La mia paura è che se io ho al seguito dei carabinieri poi il punto più facile da colpire è la mia famiglia che non ha nessuna tutela - ha detto Cutrò - se vogliono attaccarmi lo fanno sulla preda più facile: la mia famiglia, per questo mi tolgo la tutela così divento io il bersaglio più facile e proteggo loro”.
A confermare le profonde preoccupazioni di Cutrò ci sono le intercettazioni emerse a gennaio di quest'anno in seguito alla maxi operazione Montagna.
“Appena lo Stato si stanca... che gli toglie la scorta poi vedi che poi” diceva il presunto boss di San Biagio Platani nel 2014, aggiungendo che coloro i quali “lo avessero voluto punire (lett. calliare) dovevano aspettare”.
Parole che fanno gelare il sangue se si pensa che ora Cutrò cammina per le strade di Bivona da solo, eppure secondo il ministero dell'Interno le intercettazioni non sono da considerare recenti essendo passati 4 anni. In realtà il testimone di giustizia ha evidenziato come “la decisione di farmi uscire dal programma risale al 2016 e all'epoca scrivevano che non si erano verificati episodi contro di me e la mafia qui nella zona è meno forte”. “Quando le intercettazioni erano recenti mi viene detto che non c'erano pericoli per me, ora che sono uscite mi viene detto che sono vecchie” ha detto incredulo Cutrò.
Nell'augurarci che il ministero dell'Interno così come il Prefetto di Agrigento prendano in considerazione le richieste sollevate da Giuseppe Lumia e dal Movimento5S, non possiamo che appurare che la sicurezza e la fermezza manifestate dalle Istituzioni comportano una presa di responsabilità altrettanto ferma nel garantire quindi a Cutrò e famiglia che non corrono alcun rischio con questa tutela.
Foto © Giuseppe Cutrò