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di Lorenzo Baldo
Non si placano le polemiche dopo le condanne al processo sul patto Stato-mafia

“La sentenza dice che Dell’Utri ha fatto da cinghia di trasmissione tra le richieste di cosa nostra e l’allora governo Berlusconi che si era da poco insediato. La corte ritiene provato questo”. A distanza di pochi giorni dalla sentenza che ha condannato, tra gli altri, Marcello Dell’Utri per minaccia a Corpo politico dello Stato, le parole del pm Nino Di Matteo continuano a infiammare un Paese allo sbando. Che si straccia le vesti in maniera plateale attraverso padroni, servi, ominicchi, quaquaraquà e tanti altri insipidi personaggi in cerca di autore. Ma è pur sempre l’immagine di una “belva ferita” quella che appare davanti ai nostri occhi. Della serie: muoia Sansone con tutti i Filistei. Con tutti i rischi che la cosa comporta. Nel frattempo si va in scena. Per il leader di Forza Italia Silvio Berlusconi (in foto a destra): “Ѐ ridicolo accostarmi alla sentenza”. Ecco quindi che viene recitato il solito mantra delle strabilianti azioni antimafiose intraprese dai suoi governi. Ma l’elenco dei disastri organizzati compiuti dai governi Berlusconi è davvero lungo. E può essere riassunto in un paio di “chicche” che meritano di essere ricordate. Decreto Biondi (1994), soprannominato “Salvaladri”: vietava la custodia cautelare in carcere (trasformata al massimo in arresti domiciliari) per i reati contro la Pubblica Amministrazione e quelli finanziari, comprese corruzione e concussione. berlusconi silvio c ansa 3Tutto questo accadeva mentre alcuni ufficiali della Guardia di Finanza confessavano di essere stati corrotti da quattro società Fininvest e si stava procedendo con le richieste di arresto per i dirigenti che avevano pagato le tangenti. Il decreto, oltre a impedire i nuovi arresti, aveva provocato la scarcerazione immediata di 2764 detenuti, dei quali 350 colletti bianchi coinvolti in Tangentopoli. All’udienza del 15 dicembre 2016 la questione del Decreto Biondi, quale possibile “concessione” alla mafia da parte dello Stato, era tornata sotto i riflettori attraverso la deposizione dell’ex ministro dell’Interno Roberto Maroni.
E che dire della tanto decantata “stabilizzazione del 41bis” sbandierata ai quattro venti da tutta la corte di Berlusconi? Non dimentichiamo che uno dei punti principali del “papello” di Riina era proprio l’annullamento del regime di carcere duro. Nel 2002 il governo Berlusconi aveva approvato la legge 279 che trasformava il 41bis per i mafiosi da provvedimento amministrativo straordinario, rinnovato di semestre in semestre dal ministro della Giustizia, in una misura stabile dell’ordinamento penitenziario. Dove apparire come un durissimo attacco a Cosa Nostra. Invece la legge aveva sortito l’effetto opposto: centinaia di boss avevano ottenuto la revoca del 41-bis dai Tribunali di sorveglianza. Per una serie di “difficoltà interpretative” della nuova legge e perché la riforma agevolava proprio le richieste di annullamento.

Lo scempio continua
Forza Italia respinge con sdegno ogni tentativo di accostare, contro la logica e l’evidenza, il nome di Berlusconi alla vicenda della trattativa stato-mafia”, dichiarano i tanti “pasdaran” forzisti mentre vengono annunciate querele nei confronti del pm Di Matteo.
Ma lo scempio non si ferma qui. Non passa giorno che il tema scabroso della trattativa tra Stato e mafia sul sangue di tante vittime innocenti non venga affrontato in tv nei peggiori modi possibili. Tra questi una menzione speciale la merita Fabio Fazio (come dimenticare le sue interviste-scendiletto ad Andreotti o a Berlusconi?). mancino nicola rai 3Durante la scorsa puntata di “Che tempo che fa” il conduttore televisivo ha intervistato l’ex presidente della Repubblica Giorgio Napolitano senza mai ricordare le sue note intercettazioni con l’ex imputato (ora assolto) Nicola Mancino (in foto a sinistra). Ed è proprio nei confronti della sentenza trattativa che Re Giorgio si è lasciato andare ad un affettuoso commento rivolto al suo amico: “Il punto che ho apprezzato di più è stata l’assoluzione del senatore Mancino per non aver commesso il fatto”, per poi sottolineare come le accuse dei pm verso quest’ultimo sarebbero state avanzate “grossolanamente”. Una vera e propria “vergogna” ha commentato a caldo l’ex pm Antonio Ingroia, a cui va il merito di aver avviato l’indagine sulla trattativa.
Le gravissime dichiarazioni di Napolitano giungono dalla stessa persona che, interrogata al Quirinale, aveva fatto l’imbarazzante figura di un uomo evidentemente timoroso di dire tutto quello che sapeva in merito al patto tra mafia e Stato
A riportare un po’ di equilibrio in trasmissione era stato poi il direttore del Fatto Quotidiano, Marco Travaglio, che aveva spiegato a Fazio un dato oggettivo: “Se lo Stato dichiara guerra alla Mafia, mentre la Mafia dichiara guerra allo Stato, e poi in segreto alcuni pezzi dello Stato, dell’arma dei Carabinieri, dei Servizi e della politica colludono con la mafia e si mettono d’accordo con i mafiosi, vanno a trattare con Vito Ciancimino perché faccia da intermediario con colui che ha le mani insanguinate dalla strage di Capaci è chiaro che agli occhi dei mafiosi Borsellino diventa un ostacolo vivente, così come tutti i pezzi dello Stato che contrastavano la mafia”. Per poi sottolineare la terribile conseguenza di quell’accordo: “Così Paolo Borsellino fu sacrificato sull’altare di quella trattativa”.

Chi tace acconsente
“Quello che mi ha fatto più male - aveva spiegato il pm Di Matteo alla giornalista Lucia Annunziata - è che rispetto alle accuse di usare strumentalmente il lavoro abbiamo avvertito un silenzio assordante di chi speravamo ci dovesse difendere, che invece è stato zitto, come l’Associazione nazionale magistrati e il Consiglio superiore della magistratura”. Secca replica del presidente dell’Anm Francesco Minisci: “L’Associazione ha sempre difeso dagli attacchi l’autonomia e l’indipendenza dei magistrati”. “Lo ha fatto - ha sottolineato Minisci - a favore dei colleghi di Palermo e continuerà sempre a difendere tutti i magistrati attaccati, pur non entrando mai nel merito delle vicende giudiziarie”. Da parte del Csm invece le agenzie riportano che non c’è stata “nessuna intenzione di commentare le dichiarazioni di Nino Di Matteo non solo “perchè non rientra nelle sue prerogative”, ma soprattutto in quanto “non è chiaro l'oggetto della accuse di Di Matteo”. Stendiamo un velo pietoso sull’Anm che nel 2012, portò alle dimissioni dello stesso Di Matteo e del collega Teresi per protesta alla gravissima posizione dell’associazione nazionale magistrati dopo il conflitto di attribuzione sollevato da Napolitano. Al (codardo) silenzio del Csm basta contrapporre i fiumi di parole che lo stesso “organo di rilievo costituzionale dell’ordinamento politico italiano, di governo autonomo della magistratura italiana ordinaria” ha riversato in questi anni nei confronti di Antonino Di Matteo attraverso disdicevoli azioni disciplinari, con tanto di sonore bocciature a livello di carriera.

“Tutelati da una masnada di banditi”
In mezzo agli schiamazzi degli ultimi giorni, una citazione a parte la merita l’editoriale pubblicato sul Messaggero a firma dell’ex pm Carlo Nordio (in foto a destra). L’editoriale in sé è un concentrato di “perplessità” nei confronti del processo trattativa. Si commenta da solo. C’è però un interrogativo finale che vale la pena riprendere. “E’ possibile - si domanda Nordio - che per anni siamo stati ‘tutelati’ (si fa per dire) da una masnada di banditi? E in caso affermativo, dov’era la politica che li aveva piazzati in quei posti? Oppure è nella nostra giustizia che qualcosa non ha funzionato, e forse continua a non funzionare?”. La risposta è scontata: sì. Oggi c’è una sentenza che sancisce esattamente questo: per anni siamo stati “tutelati” da “una masnada di banditi” che, sotto le mentite spoglie di uomini delle istituzioni, così come ha spiegato il procuratore nazionale antimafia De Raho, “ha legittimato la mafia” a compiere altre stragi. Dov’è la politica che li ha piazzati?, si chiede l’ex pm trevigiano. Nel nordio carlo c ansadibattimento celebrato a Palermo molti ex potenti dell’epoca hanno testimoniato in evidente stato di profondo imbarazzo: in un mix di reticenza al limite della falsa testimonianza. Troppo rischioso dire tutta la verità. Il “pentito di Stato” auspicato dal pm Di Matteo è esattamente l’anello mancante per ricomporre definitivamente questa catena politico-criminale. Le prossime indagini dovranno quindi alzare ulteriormente l’asticella per arrivare a quel livello. Ma questo bellissimo e disgraziato Paese è pronto ad affrontarlo? Dalle reazioni scomposte delle tante “belve ferite” non si direbbe. Come ipotizza Nordio, nella nostra giustizia qualcosa non ha funzionato, e forse continua a non funzionare. Sì, sono decisamente troppo pochi i magistrati che hanno avuto - e hanno - il coraggio di mettere sul banco degli imputati lo Stato. Dall’altra parte della barricata una miriade di pavidi e collusi - ognuno nel proprio ruolo politico, istituzionale, giudiziario, o mediatico - continua a ostacolare la ricerca della verità. Ma è solo una questione di tempo.

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