di Lorenzo Baldo
Nella relazione approvata lo scorso 21 febbraio l’evidenza di una malagiustizia
“È evidente come la vicenda della morte di Attilio Manca segni un vero e proprio fallimento nell’accertamento della verità dato che, dopo 14 anni, vi sono ancora troppi interrogativi aperti”. Decisamente tranciante la conclusione della relazione di minoranza della Commissione antimafia (a firma: Sarti, Gaetti, D’Uva, Dadone e Giarrusso). E soprattutto totalmente in antitesi a quella di maggioranza. Nella quale, al di là delle dichiarazioni a latere, dal sapore democristiano, della Presidente Rosy Bindi (“non ci sono elementi per accertare la presenza della mafia, quindi non si può affermare, ma nemmeno escludere”), si è trasformata a tutti gli effetti nella goccia che ha fatto traboccare il vaso della malagiustizia nel caso Manca.
“Questa situazione non si sarebbe creata - si legge nella parte conclusiva della relazione di minoranza - se tutti gli uffici giurisdizionali e i soggetti coinvolti a vario titolo, proprio in veste delle loro professionalità, avessero fatto fino in fondo il loro dovere, svolgendo sin da subito gli accertamenti necessari. Invece, purtroppo, la serie di omissioni davvero ingiustificabili per quantità e per qualità, le negligenze compiute anche negli accertamenti medico-legali dai professionisti che se ne sono resi responsabili e il fatto che la locale procura della Repubblica (di Viterbo, ndr) li abbia fiduciariamente scelti e non abbia mai contestato nulla rispetto al loro gravemente inappropriato operato, hanno di fatto prodotto un quadro frammentario che sarà sempre più difficile ricostruire”.
Gli estensori del documento affrontano quindi il “contesto mafioso di Barcellona Pozzo di Gotto, intessuto di legami con l’asse Provenzano-Santapaola (è nota, peraltro, la scelta di Terme Vigliatore, comune in provincia di Messina, come luogo di latitanza da parte di Benedetto Santapaola)”. “Questa Commissione ha avuto il merito di essersi occupata per la prima volta del caso della morte di Attilio Manca - si legge ancora - e di aver provveduto ad analizzare da un ulteriore punto di vista i fascicoli e le risultanze fornite dagli uffici giurisdizionali investiti del caso, in particolare grazie alla trasmissione degli atti da parte dalla procura della Repubblica di Viterbo. Tuttavia l’operato di codesta Commissione ben poteva continuare con l’espletamento di ulteriori audizioni e con l’acquisizione di documenti utili all’approfondimento del caso, che si auspica verranno portati avanti nella prossima legislatura”. Lungo e articolato è l’elenco degli approfondimenti che non sono stati fatti e che invece dovrebbero immancabilmente far parte di una nuova inchiesta sul caso Manca. Si parte dall’audizione della dottoressa Dalila Ranalletta e del dottor Fabio Centini, fino all’acquisizione di tutte le testimonianze dibattimentali rese nel procedimento penale a carico di Monica Mileti. Dall’audizione dei soggetti protagonisti dell’intercettazione ambientale del 13 gennaio 2007, Vincenza Bisognano, Sebastiano Genovese e Massimo Biondo, riferita alla latitanza di Bernardo Provenzano e collegata con l’omicidio di Attilio Manca, fino all’audizione di Ugo Manca, Angelo Porcino, Renzo Mondello, Salvatore Fugazzotto, Andrea Pirri “per riferire quanto a loro conoscenza sui fatti e sulle persone a vario titolo coinvolte”. E servirebbe ugualmente l’acquisizione dei tabulati del secondo cellulare di Attilio Manca, del cellulare di Gioacchino e di Gianluca Manca nel periodo compreso tra ottobre 2003 e il 12 febbraio 2004. Così come sarebbe necessario l’accertamento, mediante audizione del dottor Antonio Rizzotto, “sulle modalità con cui questi ebbe notizia che la causa della morte di Attilio Manca fosse riconducibile ad un aneurisma cerebrale e informò lo zio del defunto, Gaetano Manca, della suddetta causa”. Per gli estensori del documento è fondamentale l’accertamento “dell’identità del personale ''non autorizzato'' presente all’autopsia di Attilio Manca eseguita dalla dottoressa Dalila Ranalletta e audizione di questo”. Allo stesso modo bisogna audire il personale appartenente alle forze di Polizia “presente sulla scena del crimine il 12 febbraio 2004 e del medico del 118 intervenuto per primo sul posto, dottor Giovan Battista Gliozzi”. Un altro punto sul quale è necessario investigare riguarda l’accertamento “mediante quesito a un consulente tecnico, sulla durata delle impronte rinvenute nella casa di Attilio Manca, con particolare riferimento a quella di Ugo Manca rinvenuta ne l bagno”; un accertamento finalizzato a conoscere “se le impronte possano essere svanite sui reperti pur sigillati con il trascorrere del tempo o se il risultato delle analisi svolte al riguardo è significativo del fatto che mai altra impronta su quei reperti sia mai stata apposta”. L’ultimo punto relativo alle indagini che andrebbero fatte riguarda l’importanza di una vera e propria “individuazione e audizione di quei collaboratori di giustizia vicini a Bernardo Provenzano e arrestati dopo il 12 febbraio 2004 (per esempio Francesco Campanella)”, così come l’audizione “di quei collaboratori di giustizia che hanno contribuito a gestire la latitanza di Bernardo Provenzano, arrestati prima del 12 febbraio 2004”. Fine dell’elenco. E probabilmente fine dell’utopia di un’inchiesta sulla quale (al momento) si registrano tante resistenze.
“Quel che rimane come giudizio politico - concludono i deputati e i senatori nella loro relazione di minoranza -, oltre alla stigmatizzazione degli apparati istituzionali che si sono macchiati delle omissioni di cui si è detto, è dover per l’ennesima volta prendere atto della condizione di solitudine e di abbandono in cui troppo spesso lo Stato ha lasciato i familiari delle vittime di mafia”. In questo caso restano due anziani genitori che, assieme al fratello di Attilio Manca, temono più di ogni altra cosa il nemico principale della verità: il fattore tempo.
Parte 1/3 (segue)
Foto originale © Emanuele Di Stefano
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