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repici fabio c emanuele di stefano 774di Lorenzo Baldo - Intervista
L’analisi e il commento del legale della famiglia del giovane urologo Fabio Repici

La mafia dietro la morte del giovane medico siciliano? Macchè. Nella relazione di maggioranza della Commissione presieduta da Rosy Bindi è scritto chiaro: “Non è mai emerso alcun rapporto tra le cure approntate a Bernardo Provenzano per il suo tumore alla prostata e il dottor Attilio Manca”. Come dissero i giudici di Viterbo: solo una “tragedia di droga”. In una sorta di contagocce al veleno sul sito di tusciaweb continuano ad uscire gli ulteriori stralci del documento finale approvato lo scorso 21 febbraio. Ad analizzare e commentare le evidenti incongruenze rimbalzate agli onori delle cronache è l’avv. Fabio Repici (in foto) che, assieme ad Antonio Ingroia, difende i familiari di Attilio Manca.

Avvocato Repici, per la Commissione antimafia non c’è nessun rapporto tra Provenzano e Manca.
Questa affermazione si fonda solo sugli accertamenti fatti nel 2005 dalla Procura di Palermo presso le due cliniche private francesi nelle quali fu ricoverato e operato Bernardo Provenzano fra l’estate e l’autunno del 2003. Tuttavia, da un lato, mi permetto di osservare che è difficile dare crisma di fidefacienza alle strutture sanitarie private scelte da Provenzano. Dall’altro, segnalo che nella ricostruzione della Procura di Palermo c’è un buco, proprio a inizio 2004, cioè in coincidenza con l’uccisione di Attilio Manca,  in relazione al medico che avrebbe visitato Provenzano e che gli avrebbe somministrato il farmaco del quale nei mesi successivi si occuparono personaggi identificati dai magistrati palermitani. Già questo avrebbe dovuto indurre la maggioranza della Commissione antimafia a essere meno tetragona sul punto. Tanto più che quell’affermazione ha trovato non una ma plurime clamorose smentite nelle parole dei collaboratori di giustizia che hanno parlato dell’omicidio Manca.

L’omicidio per mano di Cosa Nostra, secondo la Commissione antimafia, è un “movente che si è rivelato durante le indagini svolte dalla procura di Viterbo privo di concreti riscontri. L’intervento chirurgico subito dal latitante a Marsiglia è stato ricostruito minuziosamente, quasi al minuto, con l’individuazione di tutti coloro che vi svolsero un ruolo (accompagnatori, soggetti che avevano prenotato le visite, personale medico e paramedico)”. Ma tra questi “non c’è l’urologo barcellonese – ribadisce la Commissione -. Ammesso che Manca si trovasse in Francia nei periodi in cui il latitante era a Marsiglia, tale coincidenza (di cui non vi è prova certa) è da sola inidonea a dimostrare l’esistenza di rapporti diretti o indiretti tra Manca e Provenzano”.
Vale quanto ho già detto. Mi lasci dire, poi, che parlare di "indagini svolte dalla Procura di Viterbo" è un non-sense, visto che quella Procura ha fatto un processo sulla morte di Attilio Manca omettendo di far deporre i numerosi pentiti che hanno parlato della morte del dott. Manca. E non si dica che la Procura di Viterbo non sapeva che molti pentiti avevano parlato, giacché personalmente il dr. Renzo Petroselli ricevette quelle dichiarazioni dalle Procure di Palermo e di Messina.

Dal canto suo la Commissione evidenzia che “nemmeno risulta, dalle complesse indagini svolte sul latitante, che Manca abbia comunque prestato, anche solo attraverso un consulto, la sua opera in favore di Provenzano. Né risulta che per curare il corleonese la mafia palermitana abbia chiesto ausilio a quella barcellonese. Né risulta che Provenzano abbia fatto mai ammazzare chi lo aveva riconosciuto, posto che nessuno sapeva dove si rifugiava. Né risulta accertata la presenza di Provenzano a Barcellona Pozzo di Gotto”.
Purtroppo la maggioranza della Commissione antimafia ha guardato con occhi distratti e con predisposizione d’animo volta a insabbiare la vicenda. Il personaggio centrale nell’assistenza a Provenzano per l’anno 2004 fu il mafioso bagherese Onofrio Morreale. Sarà un caso, allora, che nel 2005 i militari del Ros individuarono a Barcellona Pozzo di Gotto un uomo legato a Onofrio Morreale, proprio presso il convento frequentato da frate Salvatore Massimo Ferro, figlio dell’ex capomandamento di Cosa Nostra a Canicattì, il cui zio e i cui fratelli furono processati per favoreggiamento della latitanza di Bernardo Provenzano? È vero che non risulta accertata la presenza di Bernardo Provenzano in quel convento. Ma devo ricordare che fummo solo io e la mamma di Attilio Manca a denunciare pubblicamente lo stop che quegli accertamenti del Ros subirono, in modo parecchio oscuro? Sono ancora in attesa che qualcuno voglia fare luce sul punto ma temo che le mie domande rimarranno senza risposte.

Secondo la ricostruzione della Commissione “Il camorrista Giuseppe Setola, il 4 luglio 2014, aveva riferito che nel 2007, durante un periodo di comune detenzione, un mafioso di Barcellona Pozzo di Gotto, Giuseppe Gullotti, gli avrebbe raccontato che un uomo della propria cosca avrebbe ammazzato un giovane ‘oncologo’ di Barcellona che aveva visitato Provenzano in ‘Svizzera’ per problemi alla prostata. Tali dichiarazioni, valutate dalla commissione, suscitano qualche perplessità non solo per l’imprecisione del racconto (per i riferimenti all”oncologo’ e alla ‘Svizzera’) ma anche perché Gullotti, sia all’epoca dei viaggi di Provenzano a Marsiglia sia all’epoca della morte di Manca, era detenuto”.
A me viene da pensare che uno che racconta un discorso sentito in carcere difficilmente si mantenga esente da imprecisioni ed errori. Mi sembra un sintomo di genuinità del racconto e che esso non è stato preparato a tavolino. Ma quanto a Setola forse la maggioranza della commissione antimafia si sarebbe dovuta allarmare per il fatto che egli, una volta intrapresa una fattiva collaborazione con la giustizia con i magistrati della Direzione distrettuale di Napoli e dopo aver reso dichiarazioni sull’omicidio Manca ai pubblici ministeri di Palermo, ha troncato all’improvviso la propria collaborazione giusto il giorno in cui sarebbe stato interrogato dalla Procura di Roma sull’omicidio Manca.

Alquanto scontato è un successivo passaggio della relazione di maggioranza: “Sarà dunque il giudice per le indagini preliminari del tribunale di Roma a chiarire se siano stati acquisiti elementi che permettano una ricostruzione dei fatti in termini di omicidio di matrice mafiosa”.

Ma allora la Commissione antimafia a che serve? Ovvio che in sede giudiziaria sarà il Gip di Roma a valutare la richiesta di archiviazione formulata dalla Procura della Repubblica e l’opposizione avanzata da Antonio Ingroia e da me nell’interesse dei familiari di Attilio Manca. Ma il giudizio storico-politico della maggioranza della Commissione antimafia qual è? Non si sa. È rimasto inespresso. Mi sembra evidente come, probabilmente anche in ragione della presenza di certi consulenti della Commissione, il parere di molti esponenti di rilievo, a partire dalla Presidente Rosy Bindi (che aveva espressamente detto come la tesi della Procura di Viterbo sulla morte di Attilio Manca fosse del tutto inverosimile), sia stato "diplomaticamente" ritrattato per non disturbare il manovratore.

La parte prettamente medica è quella che viene affrontata successivamente dalla Commissione: “I segni delle punture rinvenute nel braccio sinistro non sono in assoluto incompatibili con il mancinismo di Manca. Non stupisce che un medico possa egualmente, data la manualità acquisita, effettuarsi un’iniezione con qualunque mano indifferentemente. Soprattutto se sorretto dall’uso di uno specchio, come sembra accaduto nel caso di Manca (l’iniezione cadutagli dalle mani è stata ritrovata quasi in corrispondenza con lo specchio del bagno), e se si considera anche la non remota possibilità che il dottor Manca abbia inteso deliberatamente inocularsi al polso sinistro, cioè proprio dove portava l’orologio al fine di celare facilmente i segni di agopuntura”.
Queste parole sono, a essere buoni, davvero vergognose e spudoratamente false. Sono proprio una bestemmia rispetto alla realtà. Tutti i colleghi di Attilio Manca (non dico i familiari, che potrebbero essere tacciati di faziosità; dico tutti i colleghi) hanno dichiarato a verbale come l’urologo barcellonese fosse del tutto incapace a compiere anche gesti minimi con la mano destra, essendo un mancino puro. E tutti hanno escluso che potesse addirittura farsi un’iniezione di eroina con la mano sbagliata. Questa è la realtà. Poi ci sono le imposture di certi magistrati di Viterbo e della maggioranza della Commissione antimafia, scandalosamente in sintonia con personaggi vicini alla mafia barcellonese e personalmente interessati a imporre la tesi secondo cui Manca era un eroinomane ed è morto per un’overdose autoprocurata.

Per quanto riguarda le siringhe trovate chiuse con il tappo di protezione, la Commissione sostiene che “possono deporre proprio per l’autoinoculazione. Si potrebbe sostenere che Manca non solo era portato per mestiere con un gesto quasi automatico a chiuderle prima di gettarle, ma aveva tutto l’interesse a non lasciare tracce nella sua abitazione frequentata da più persone. Anzi, potrebbe apparire inverosimile che l’eventuale aggressore avesse chiuso le siringhe e per di più diversificandone il luogo di ritrovamento, così rendendo meno spettacolare e meno evidente l’uso di ben due iniezioni di eroina e dunque l’overdose. La mancanza di laccio emostatico, inoltre, potrebbe ben giustificarsi con la manualità del medico o eventualmente con l’esperienza dell’abituale assuntore di stupefacenti”.
Guardi, commentare simili idiozie è davvero complicato. Secondo quella ricostruzione, Attilio Manca, dopo essersi fatto due iniezioni di eroina e prima di accasciarsi sul letto e lì morire fiottando un lago di sangue dalla bocca, avrebbe avuto il tempo e la comodità di inserire nelle siringhe i tappi salva-ago e in una pure quello salva-stantuffo. E naturalmente, visto che non sono state trovate impronte digitali utili, avrebbe fatto ciò con dei guanti che poi sono svaniti nel nulla. Lasciamo perdere, è meglio.

La capacità di Attilio Manca di saper dosare l’eroina così da evitare l’overdose, è per la Commissione antimafia un argomento “privo di portata probatoria. La dose mortale dipende non tanto da una quantità letale in assoluto ma da una quantità letale in relazione al singolo, nonché alla qualità dello stupefacente. Dato lo stato di overdose, può anche ritenersi verosimile che Manca abbia fatto uso della seconda dose di eroina proprio nella fase di obnubilamento o di euforia dovuta alla prima somministrazione”.

Ecco, e poi in piena fase di obnubilamento avrebbe centrato le siringhe con i tappi e le avrebbe lasciate in mostra, una sul pavimento del corridoio e una in cucina, in modo da consentire subito ai sagaci inquirenti che si sarebbero occupati della sua morte di dire che, con tutta evidenza, si trattava della morte di un tossico. Gli altrettanto sagaci esponenti della maggioranza della Commissione antimafia e soprattutto i loro consulenti non sono riusciti a spiegare, però, come Attilio Manca avesse sciolto l’eroina per inserirla nelle due siringhe, visto che in casa non c’era traccia di strumento alcuno. Forse l’aveva comprata pret-a-porter? Ci sarebbe da ridere, se non fosse una vicenda drammatica.

Per la Commissione antimafia “un’analisi attenta della fotografia, anche attraverso il posizionamento delle narici, che la piramide nasale è perfettamente in asse”. La deviazione quindi “è soltanto un effetto ottico causato dalle macchie di sangue e dal loro coagulo – sangue collegato a edema polmonare –. Fermo restando che l’eventuale deformità della piramide potrebbe, in ipotesi, essere giustificata con la compressione del naso per diverse ore sul materasso (Manca, infatti, è stato trovato, riverso sul materasso). Se si guardano le altre fotografie scattate sia nell’appartamento sia l’indomani, durante l’esame autoptico quando il cadavere era stato ripulito dal sangue, si può osservare nitidamente che il naso è assolutamente integro”.
Mi verrebbe da consigliare una visita oculistica. Ci sono le foto che chiunque può vedere online. Mi si dica se quelle sono le condizioni normali del corpo di una persona morta per overdose.

Secondo gli estensori della relazione l’autopsia “constatava la presenza di due segni di agopuntura e un evidente edema polmonare acuto con emorragie alveolari”. Il medico legale, la dottoressa Dalila Ranalletta, integrando la prima relazione, aveva specificato che “la fuoriuscita di sangue dalla bocca e dal naso dell’urologo era dovuta all’edema polmonare. Edema a sua volta tipico delle morti da overdose di eroina”. “Si concludeva – evidenzia la Commissione -, anche in base alle analisi tossicologiche, che Manca era morto in seguito ad assunzione per via endovenosa di un elevato quantitativo di eroina”.
Sull’autopsia della dr.ssa Ranalletta è meglio stendere un velo pietoso. O ricordare le parole che le sono sfuggite nel fuorionda della trasmissione Le Iene, dove fu proprio lei a parlare sulle stranezze della morte di Attilio Manca. Quanto alla maggioranza della Commissione parlamentare, vale aggiungere solo due dati dimostrativi del fatto che dovevano essere raggiunto conclusioni prestabilite. Il primo è sul momento della morte. Esattamente al contrario di quanto falsamente riportato in quella relazione, il medico del 118 ha attestato che Attilio Manca morì a cavallo della mezzanotte fra l’11 e il 12 febbraio 2004. E allora ci sarebbe da chiedere agli estensori di quella relazione: cosa ha fatto e dove è stato Attilio Manca fra la tarda sera del 10 febbraio e la tarda sera dell’11 febbraio 2004? Il secondo dato è quello fornito dall’unica testimone diretta dei fatti. La vicina di casa di Attilio Manca, fin dal giorno del rinvenimento del cadavere disse alla Polizia che dopo le 22 dell’11 febbraio 2004 qualcuno chiuse la porta dell’appartamento di Attilio Manca. Chi? Se fosse stato Attilio Manca di rientro a casa, ci si dovrebbe chiedere dove fosse stato fino a quel momento. Se, invece, come io penso, siano state persone diverse dal medico morto, si tratta delle persone che si sono occupate della sua uccisione. Così si spiegherebbero l’assenza di impronte utili sulle siringhe e le tante altre anomalie. E, guarda caso, quest’ipotesi, fondata sulle parole dell’unica testimone diretta, coincide in pieno con le dichiarazioni dei pentiti.

Foto © Emanuele Di Stefano

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