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Omicidio di Stato? Nessuna verità definitiva nella relazione di maggioranza

"Dall’esame degli atti finora disponibili deve concludersi che, allo stato, non esistono elementi pregnanti e consistenti che possano dare spazio, ribaltando le prove acquisite, alle tesi avanzate dalla famiglia del dottor Manca per spiegare la prematura morte del giovane”. Decisamente tranciante lo stralcio della relazione finale di maggioranza della Commissione antimafia (approvata lo scorso 21 febbraio) sulla morte di Attilio Manca, pubblicato oggi sul sito di tusciaweb. “Le indagini svolte dalla procura della repubblica di Viterbo – si legge ancora – pur addivenendo a una ricostruzione aderente alle complesse risultanze investigative, furono svolte in maniera superficiale (tanto che le istanze degli inquirenti sono state oggetto di diversi rigetti e di sollecitazioni probatorie del giudice) né si conclusero, specie dopo le varie opposizioni della difesa e l’esplosione mediatica del ‘caso Manca’, con un provvedimento articolato contenente una lettura organica e ragionata di tutto il materiale probatorio sì da fugare ogni dubbio. Allo stesso modo la consulenza del medico legale, che sin dall’inizio avrebbe dovuto essere dirimente, è stata caratterizzata da gravi lacune e superficialità che hanno reso necessario richiedere integrazioni e delucidazioni e che hanno certamente contribuito ad alimentare incertezze e ipotesi alternative”. E’ questa la conclusione a cui arrivano i componenti della Commissione antimafia dopo aver esaminato le innumerevoli anomalie del caso del giovane urologo di Barcellona Pozzo di Gotto trovato morto la mattina del 12 febbraio 2004. Solo un suicidio a base di droga, quindi? Ma il mistero sulla morte assurda di un medico di 34 anni innamorato della vita resta tutt’altro che risolto.
In attesa di conoscere la relazione di minoranza della Commissione antimafia sul caso Manca vale la pena rimettere assieme alcuni tasselli ben noti all’organismo parlamentare presieduto da Rosy Bindi.

Flashback
“Tra i compiti della Commissione c’è quello di ottenere verità e giustizia ed evitare l'oblio e in alcuni casi il tentativo di diffamazione. Sul caso del medico Manca posso dire che mi sembra difficile si tratti di un suicidio”. Era il 28 ottobre 2014 quando l’on. Rosy Bindi si rivolgeva ai giornalisti con queste parole durante una conferenza stampa alla prefettura di Messina. Poco più di due mesi dopo, il 13 gennaio 2015, a parlare in Commissione antimafia era stato l’allora Procuratore di Viterbo Alberto Pazienti: “I rapporti tra il dottor Manca e Bernardo Provenzano sono inesistenti dal punto di vista processuale. Manca non è stato ucciso su mandato di Provenzano”. “Diversa – aveva ribadito il sostituto procuratore di Viterbo, Renzo Petroselli (sentito anche lui in Commissione antimafia) - è la situazione se si guarda la morte di Manca: sarebbe morto per una overdose di eroina e tranquillanti”. Della serie: chiudiamola una volta per tutte con l’ipotesi del coinvolgimento della mafia in questa morte per droga.

Claudio Fava
“Mi chiedo come poteste avere già un'opinione, un convincimento così robusto e consolidato di fronte a un atto che pensiamo dovesse essere il primo: ascoltare i genitori del morto”. A rivolgersi ai due magistrati viterbesi era stato Claudio Fava (Si-Sel), vicepresidente della Commissione che durante quella audizione aveva contestato subito l’assurdità di non aver mai voluto ascoltare i familiari di Attilio Manca. “Non mesi o anni dopo – aveva sottolineato il figlio del giornalista assassinato da Cosa Nostra, Pippo Fava –, ma nell'immediatezza del fatto, perché siamo di fronte al fatto che, a giudicare dagli atti che abbiamo letto, dalle testimonianze che abbiamo assunto, ha conservato nel corso degli anni qualche elemento di dubbio, di opacità, spero anche dal punto di vista della procura. Il fatto che, però, abbiate detto di avere un'opinione divergente rispetto a quella della famiglia e quindi non li ascoltiamo, come prima opinione e prima assunzione di decisione mi sembra abbastanza paradossale”. “Avete ascoltato e ascoltato a lungo e bene gli amici di Manca – aveva rimarcato il vicepresidente –. Ora, una persona che si dice che poteva essere un assuntore frequente di eroina, che però ha gestito questa frequenza d'assunzione in costanza di frequentazione dell'università Cattolica, di tirocinio, apprendistato, assunzione e lavoro, che lo aveva proiettato comunque come uno dei migliori specialisti del suo ramo in Italia, è difficile immaginare che possa gestirsi nell'assoluta clandestinità anche rispetto a un dubbio, uno sguardo, una preoccupazione, un sospetto, una valutazione da parte dei colleghi”. Parlando delle foto del ritrovamento del cadavere del giovane urologo, Fava aveva concluso parlando di foto “che non mostrano soltanto ecchimosi e presenza di sangue, ma il setto nasale deviato, gli esiti di un colpo che non può essere quello di un telecomando”.

Lumia, Sarti e Buemi
Dal canto suo il senatore Giuseppe Lumia (Pd), dopo un lungo excursus sul contesto barcellonese all’interno del quale Attilio Manca era morto, aveva puntato il dito sulla – falsa – assenza del dott. Manca dal “Belcolle” risultata invece nel rapporto dell’allora Capo della Mobile di Viterbo, Salvatore Gava. Una dopo l’altra erano state elencate le incongruenze più evidenti che l’on. Giulia Sarti (M5s) aveva sintetizzato a partire dal ruolo di Monica Mileti (la cinquantenne romana condannata a 5 anni e 4 mesi per aver ceduto la droga che ha ucciso Manca, sul quale non si era investigato fino in fondo, per poi arrivare alla mancata acquisizione dei tabulati del 2003 dell’inchiesta di Messina e alla lacunosa autopsia della dottoressa Dalila Ranalletta. “Uno degli elementi che, da questo punto di vista, mi fa rilevare una sottovalutazione di una problematica di rilievo – si era chiesto il senatore del Psi Enrico Buemiè perché, di fronte a una perizia autoptica insufficiente o quanto meno con lati limitati, si sia affidata allo stesso soggetto la seconda perizia, facendo venir meno anche il principio del controllore-controllato. Mi chiedo perché di fronte a una situazione inadeguata – le ragioni dell'inadeguatezza possono essere diverse, ma non possiamo neanche escludere quella del favoreggiamento – si sia affidata a soggetto identico la valutazione, avendo presente che, in questo tipo di atto, il non aver fatto determinati approfondimenti in una certa fase temporale preclude la seconda fase”. Una sfilza di domande serrate, che avevano attraversato l’intera vicenda, era arrivata infine dal senatore 5 Stelle Mario Giarrusso, Pazienti e Petroselli avevano preso nota impegnandosi a rispondere alla successiva audizione tenutasi il 9 aprile del 2015.

Il parere di un anatomopatologo
E’ proprio in quell’audizione di tre anni fa che a prendere la parola tra i primi era stato l’altro vicepresidente della Commissione antimafia, di professione anatomopatologo. “Io ho fatto 2.500 autopsie nella mia vita – aveva esordito il senatore 5 Stelle Luigi Gaetti –, ragion per cui di queste cose me ne intendo. Io, nella mia vita, ho collaborato con il procuratore di Mantova e perizie o richieste suppletive non ne ho mai avute, perché era sufficiente scrivere una perizia fatta bene, nel qual caso non c'era bisogno di tornare sui propri passi. In merito posso dire che la perizia che ha fatto la collega – dovrei chiamarla collega, ma mi fa un po’ specie chiamarla così – Ranalletta è veramente infame. Non saprei come definirla in maniera diversa. Non si fa un'ispezione cadaverica in questo modo. Non si fa una temperatura rettale senza conoscere la temperatura dell'ambiente (agli atti risulta che la temperatura in casa era molto alta, ndr). Questo è inaccettabile. Ci sono delle problematiche immense. La Ranalletta ci racconta che la rigidità è risolta. L'infermiera, invece, si presenta e sostiene che la rigidità è cadaverica. Chi si intende un po’ di tanatologia sa che la rigidità è importante per stabilire l'epoca della morte. E potrei andare avanti. Io mi domando perché una perita di questo tipo non sia stata indagata da voi. Io la indagherei, perché questa è imperizia. Questa non è neanche negligenza. È imperizia allo stato puro”. Per Gaetti tutto ciò che ruotava attorno a questa autopsia risultava quindi gravissimo in quanto colei che l’aveva eseguita “è una persona che si fregia di essere docente di diritto in due università di medicina legale”. “A me è stato spiegato che in casi di questo tipo la negligenza è molto facile da dimostrare – aveva concluso –, perché si ha quando uno non si attiene a un regolamento. La perizia, invece, è impossibile. Questa, però, è imperizia allo stato puro” in quanto “ci sono degli errori incredibili”. Sui quali paradossalmente ancora non è stata fatta piena luce.

Fonte: Suicidate Attilio Manca

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