di Miriam Cuccu - Foto
La manifestazione dopo la sparatoria: un segnale di svolta per ripartire
La città blindata, le vetrine dei negozi difese da pannelli di compensato e il centro storico, deserto, presidiato dalle forze dell’ordine. Così si presentava Macerata, dove invece è un pacifico fiume di trentamila manifestanti, secondo le stime degli organizzatori, a circondarne le mura. Qui, dopo l’omicidio di Pamela Mastropietro e la successiva sparatoria contro sei migranti per mano di Luca Traini, si sono radunati movimenti, associazioni, centri sociali e cittadini maceratesi e di tutta Italia per urlare il proprio “no” contro il razzismo e il fascismo. “Siamo tantissimi, questa è una vera e propria boccata di ossigeno” dicono gli organizzatori in testa al corteo, al termine di una settimana di fuoco in cui solo ieri il sindaco, Romano Carancini, ha dato l’effettiva autorizzazione all’evento.
Tra i manifestanti anche Cècile Kyenge, ex ministro dell’integrazione con il governo Letta: “Ogni persona deve avere libertà di camminare in tutta libertà e nel rispetto dei valori di uguaglianza” dichiara, mentre il corteo comincia a prendere forma. Giunti a Macerata anche il vignettista Sergio Staino, il giornalista Adriano Sofri e Pippo Civati di Leu. Sofri afferma di essere qui “per testimoniare solidarietà a chi è stato colpito da questa rinascita del fascismo”, la punta “di un iceberg molto più grosso che sta crescendo in Italia” e per questo “bisogna essere presenti”. “Non bisogna avere paura” sono state invece le parole di Gino Strada, presidente di Emergency, ugualmente presente al corteo. “Le istituzioni che mettono sullo stesso piano questa manifestazione con gli assassini, chi ha cercato di stoppare questa manifestazione è ideologicamente corrotto e colluso”.
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Tante le bandiere che colorano le strade, tra cui quelle di Legambiente, Libera, Arci, Fiom, No Tav, Potere al popolo, Anpi, mentre la folla urla “siamo tutti antifascisti” e gli elicotteri sorvolano Macerata. Nonostante i nervi tesi dopo giorni di sgomento e tensione, con cui anche domani bisognerà fare i conti per pensare a come ricominciare, questa città ha saputo dare un nuovo segnale di svolta. Né è convinto anche Alessandro Fulimeni, responsabile del servizio rifugiati Sprar: “Oggi da Macerata parte una risposta forte, dalla valenza nazionale. Da qui può ripartire un percorso consapevole dei rischi di fascistizzazione strisciante che sta vivendo la nostra società, e la necessità di porre un argine al fenomeno del razzismo, oramai dirompente, che da alcuni anni vede le Marche come uno degli avamposti”. Solo un anno e mezzo prima Emmanuel Chidi Nnamdi, di origini nigeriane, era stato picchiato e ucciso a Fermo dopo una lite per strada. “Oggi occorre un lavoro capillare di ricostruzione del tessuto sociale” prosegue Fulimeni, che mette al primo posto il fatto che i diritti dei migranti “sono violati in maniera drammatica” mentre “l’Italia continua a stipulare accordi per esternalizzare le frontiere con regimi genocidiari”. Per questo, afferma, “occorre una forte versione di tendenza. E occorre bloccare la legge Minniti”. Nei giorni scorsi il ministro dell’Interno aveva fatto eco alla posizione del sindaco di Macerata di stoppare tutte le manifestazioni. Invece, ribadisce Fulimeni, “questa manifestazione è stata importante. È l’esserci che sconfigge la paura e che dà una risposta democratica. Il non esserci, oggi, avrebbe rafforzato la pericolosa tesi dell’equidistanza tra fascismo e antifascismo”.
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Arrivano anche le parole di don Luigi Ciotti, presidente di Libera: “Noi ci siamo. È un segnale da tante realtà da che parte si sta” dice, sottolineando che “la prima attenzione è verso Pamela che dobbiamo portare nel cuore, verso i feriti. Il resto diventano momenti per manifestare che però non devono essere parole ma impegni”. Appello al quale fa eco una ragazza in testa al corteo, mentre la folla rientra ai Giardini Diaz: “Siamo qui innanzitutto per Pamela. E per tutte le donne che subiscono violenza”. Tra gli striscioni che campeggiano sulle migliaia di presenti uno recita: “Un abbraccio collettivo a Jennifer, Omar, Gideon, Mahamadou, Wilson, Festus”. Sono i nomi di chi è rimasto ferito durante la sparatoria. Come a voler dire che tra vittima e vittima non esiste differenza.