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di Jean Georges Almendras
39 anni di reclusione per l'ex sindaco Vilmar Acosta

Una delle celle del Penitenziario Nazionale di Tacumbú ospiterà per 39 anni Vilmar “Neneco” Acosta, mandante dell’omicidio del giornalista Pablo Medina e della sua assistente Antonia Almada, vittime di un attentato a colpi di arma da fuoco mentre percorrevano un’isolata strada rurale di Villa Igatymi, nelle prime ore del pomeriggio del 16 ottobre 2014. Acosta è stato un politico del ‘partito colorado’, ripetutamente denunciato dal giornalista Pablo Medina, corrispondente di ABC Color, come uomo vicino al narcotraffico della zona e coinvolto in altri delitti.
Nel frattempo il fratello di Vilmar, Wilson, sospettato di essere l’autore materiale del duplice omicidio, è ancora latitante. Il suo complice, Flavio Acosta, nipote dell’ex sindaco, si trova detenuto in una prigione del Brasile. Sicuramente, a breve, se le autorità brasiliane avvieranno le procedure di rigore, sarà processato in territorio brasiliano, poiché la sua estradizione in Paraguay non ha avuto esito positivo.
Il processo contro Vilmar “Neneco” Acosta iniziò lo scorso 23 ottobre, nel Palazzo di Giustizia, e si è concluso lo scorso 19 dicembre, giorno in cui è stata emessa la sentenza .
Indossando una camicia bianca e sempre sorridente, come se fosse la star di una telenovela, l’imputato Acosta ha ascoltato il verdetto del Tribunale accompagnato dai suoi avvocati difensori.
In aula erano presenti giornalisti e la famiglia al completo di Pablo Medina, che da diversi anni collaborava anche con la redazione di Antimafia Duemila. Il suo decesso, oltre a provocare una profonda commozione tra i nostri redattori e la famiglia giornalistica del Paraguay, fu uno scossone a livello regionale, considerando che il delitto di Medina e della sua assistente andava ad aggiungersi alla lista nera di giornalisti uccisi dal narcotraffico. Una delle prime vittime è stato il giornalista Santiago Leguizamón.
Ad un mese della morte di Pablo e Antonia, la redazione di Antimafia Dos Mil organizzò una manifestazione nella Plaza de la Democracia di Asuncion. In quell’occasione in molti presero la parola - tra cui il direttore Giorgio Bongiovanni - e rivendicarono con forza giustizia, sottolineando che dietro il crimine c’era una rete del narcotraffico strettamente legata al sistema politico paraguaiano.
In quei giorni i tre impuati-chiave, Vilmar Acosta (già indicato come mandante) e i due sicari (Wilson e Flavio Acosta), autori materiali che falciarono la vita di Pablo e di Antonia, erano latitanti.
Le forze di polizia e il Ministero Pubblico, nella persona del giudice Sandra Quiñónez, diedero disposizioni precise per ricercare i tre sospettati, ma di loro non c’era traccia.  Con il trascorrere dei giorni finalmente venne arrestato l’autista dell’ex sindaco, il quale dichiarò che non sapeva dove si trovava “Neneco”, ma lasciò intendere che potesse essere fuggito in Brasile.
Evidentemente Vilmar Acosta, in tutto questo tempo deve essere stato assistito nella logistica, si presume grazie a potenti amicizie in ambito politico. Una delle persone indicata come collaboratrice di Vilmar era la deputata Cristina Villalba, ma fino ad oggi non c’è stato effettivo riscontro dei sospetti. L’alone di impunità attorno all’ex sindaco Acosta non è però riuscito ad evitare la sua cattura in Brasile e la successiva estradizione in Paraguay. E poi, finalmente, il processo.
Ma sono dovuti trascorrere tre anni per arrivare ad una conclusione: Vilmar Acosta è stato giudicato colpevole, come mandante. Un fatto senza precedenti in Paraguay, perché fino ad oggi la maggior parte degli omicidi contro i giornalisti è rimasta impunita. Solo per quanto riguarda Salvador Medina (fratello di Pablo), ucciso qualche anno fa, fu arrestato il sicario che gli tolse la vita, ma ad oggi risulta sconosciuto chi diede l’ordine dell’attentato. Il sicario Milciades Mailin è stato rimesso in libertà quest’anno e si ignora dove si trovi adesso. Non rivelò mai i nomi dei suoi capi, che ordinarono la morte di Salvador.
In questo caso è stata fatta luce sull’omicidio di Pablo. Il mandante era stato identificato già pochi minuti dopo l’attentato, e poi si è riusciti ad arrestarlo e infine infliggerli la massima pena.
Il volto sorridente di Vilmar Acosta rimarrà comunque nella nostra memoria.
I difensori di “Neneco” hanno detto che ricorreranno in appello. Secondo la Procura, ad ogni modo, c’è stata conformità tra fatti e risultati.
La figlia del giornalista ucciso, Dyrsen Medina ha dichiarato che “ci sono state lunghe giornate di lotta. Ma finalmente oggi, dopo tre anni, abbiamo un po’ di giustizia. Manca solo sconfiggere per sempre la narcopolitica e che ci sia giustizia in Paraguay e in tutto il mondo”. Rimangono, però, ancora le questioni in sospeso sui due autori materiali.
Durante una delle ultime udienze del processo Vilmar si è diretto alla famiglia Medina chiedendo scusa. Da quando un mafioso del suo calibro usa scusarsi in pubblico? Crediamo che quel giorno qualcosa sia accaduto, che non avrebbe mai immaginato che un carico di anni così pesante gli piombasse addosso.
Ieri ha ascoltato la sua condanna, ma non ha smesso di sorridere. Siamo certi che da quell’istante sono molti i pensieri che lo tormentano, ma non necessariamente di pentimento. Tra le mura del penitenziario di Tacumbú la sua vita continuerà: condannato e rinchiuso, nella routine del carcere, in uno stabilimento statale.
Fuori, le vite delle famiglie Medina e Almada, della vedova di Pablo e dei suoi due figli adolescenti, e le nostre di giornalisti, continueranno il loro corso abituale, con la soddisfazione che questa volta l’impunità non ha vinto.
Anche se ancora rimane tanto da fare, per poter dire che giustizia è stata fatta.

* Foto di Copertina: Dardo Ramírez del diario Ultima Hora- Paraguay

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