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di Jean Georges Almendras
Il 19 dicembre sarà resa pubblica la pena; l'accusa ha chiesto 30 anni e la difesa la nullità del processo

Colpevole, questo il verdetto per Vilmar “Neneco” Acosta.
Colpevole di essere il mandante dell’assassinio del giornalista Pablo Medina. Un omicidio che comportò anche la morte della sua giovane assistente Antonia Almada.
Entrambi crivellati da colpi di arma da fuoco per mano di due sicari del clan Acosta nelle prime ore del pomeriggio del 16 ottobre 2014, lungo un’isolata strada rurale di Villa Igatimí, nel dipartimento di Canindeyú.
Due morti che scossero profondamente la società. Due omicidi che gettarono nel dolore due famiglie paraguaiane. Due omicidi che lasciarono allo scoperto la ripugnante rete di connivenza tra il narcotraffico ed un funzionario pubblico, del partito colorado, che all’epoca era niente meno che il sindaco di Ypejhú.
Tre anni e due mesi dopo il fatto di sangue che colpì il giornalismo paraguaiano, la Corte ha emesso il suo verdetto, in un aula del Palazzo di Giustizia.
Indossando una maglietta di colore azzurro, circondato dai suoi avvocati, sempre con quel suo sorriso ironico in volto, Vilmar “Neneco” Acosta ha ascoltato attentamente il verdetto.
Ramón Trinidad Zelaya, presidente del Tribunale ha dichiarato colpevole Vilmar Acosta “… di omicidio volontario in qualità di mandante”, considerando valide le prove presentate dall’accusa.
Perla Silguero, la giornalista del quotidiano ABC Color, dove lavorava Medina fino al giorno della sua morte, ha riferito che durante il processo è stato provato che l’accusato (Vilmar Acosta) aveva sufficienti motivi per far tacere Pablo Medina.
Ovviamente, il motivo principale per eliminare Medina è da ricercarsi nei diversi articoli sui legami tra Vilmar Acosta con il sottobosco del narcotraffico.
Ovviamente, le denunce del collega erano lapidarie per l’ex sindaco (e sicuramente per gli uomini del sistema politico coinvolti in attività al margine della legge) e il miglior modo per far silenzio su quei legami era farlo tacere a colpi di piombo.
È così che si sono svolti i fatti. I sicari erano altri membri del clan Acosta: un nipote dell’ex sindaco e un suo fratello. Flavio Acosta, detenuto in Brasile, (dove si presume sarà processato per omicidio) e Wilson Acosta, ancora latitante.
Precisamente, riguardo i motivi che resero Medina bersaglio dei gruppi mafiosi della zona, in particolare del clan Acosta, la giornalista di ABC Color Marcia Ferreira scriveva ancor prima della sentenza di colpevolezza di Acosta che: “Per 16 anni, Medina denunciò ripetutamente il modo in cui operava la narcopolitica in quella zona del Paraguay. Gli articoli giornalistici di Pablo sulle piantagioni di marijuana nella riserva di Mbaracayí, su una rete che nascondeva importanti carichi di droga in fosse predisposte come alloggi del luogo e sul coinvolgimento di membri del clan Acosta in casi di regolamenti di conti, avrebbero determinato che il nome del giornalista fosse aggiunto ad una “lista nera”, dove, secondo il testimone Casimiro Núñez, fratello di un’altra vittima uccisa, Julián Núñez, Pablo era al quarto posto”.
Sempre con quel suo sorriso sarcastico (e cinico), Vilmar Acosta, accanto ai suoi due avvocati, ha seguito il corso degli avvenimenti, nell’aula del Palazzo di Giustizia, dove si trovavano anche i parenti del giornalista assassinato.
Uno dei suoi difensori ha sollecitato di dividere il processo in due fasi.
I magistrati Sandra Quiñónez e Vicente Rodríguez hanno presentato le loro requisitorie nella prima parte del processo, ritenendo Acosta colpevole e chiedendo una pena di 30 anni per il doppio crimine, oltre ai circa dieci anni, come misura  preventiva.  
Il presidente della Corte ha chiesto una pausa e, mentre tutti erano in attesa di conoscere la pena inflitta, è stato comunicato a sorpresa che la pena non sarebbe stata decisa in quella giornata. Cioè la condanna sarà comunicata ufficialmente il prossimo martedì 19 dicembre, alle 14:00, quando l'accusato ed i suoi difensori saranno informati da membri della Corte della pena da scontare come mandante dell’omicidio. Ma prima le due parti prenderanno la parola.
Sulla questione, Jorge Figueredo, direttore della redazione paraguaiana di Antimafia Dos Mil che ha seguito da vicino tutte le fasi del processo insieme ai familiari di Pablo Medina - in particolare Dyrsen, figlia maggiore del giornalista ucciso, Francisco e Gaspar, fratelli di Pablo; e Pablo Medina, padre del collega, ha dichiarato: "Questa sentenza di condanna di Vilmar "Neneco" Acosta rappresenta un piccolo passo per la Corte, ma un gigantesco passo in avanti nella storia della giustizia paraguaiana. Mai in nessun caso, se non sbaglio, è stato condannato  il mandante di un crimine contro un giornalista in Paraguay. Al massimo si è arrivati all'autore materiale".
Da parte sua, il pubblico ministero Sandra Quiñónez, intervistata dai giornalisti di Radio Ñanduty, ha detto il suo punto di vista sui procedimenti del Ministero Pubblico e della Polizia Nazionale.
"Sono d'accordo. È stato fatto un buon lavoro. Solo noi che a volte svolgiamo in solitudine il nostro lavoro, a volte incompreso, possiamo oggi vivere una soddisfazione immensa. Con l'emozione di poter dire finalmente… tutto questo significa tante cose per un professionista. Un lavoro arduo. Si era detto che la Procura doveva costruire il caso sull'istigazione, e così è stato fatto. Insieme alla Polizia Nazionale, guidata dal Commissario Gilberto Fleitas, siamo riusciti a farlo, abbiamo ottenuto questo risultato, dichiarare colpevole Vilmar".
All’altro estremo, uno degli avvocati difensori di Vilmar Acosta ha parlato ai colleghi di radio Ñanduty. La sua versione è diametralmente opposta: "Il tribunale ha dimostrato di non aver lavorato sugli incidenti probatori, e nemmeno ha indagato a fondo. Si è basato solamente nell'accusa della Procura. Questa persona (Vilmar Acosta), è stata accusata di omicidio in un luogo dove non c’era comunicazione. Non possono dimostrare che ci sia stato un nesso causale. Questo Tribunale è un fantoccio. Bisogna indagare seriamente su chi uccise Pablo Medina. Ignoro chi sia stato, ma il mio cliente non ne ha responsabilità, perché la presunta persona sopravvissuta non è mai stata intervistata da nessuno. Quella testimone possibilmente non era sul posto né poteva riconoscere qualcuno che usciva a sorpresa dal monte. (…) La Corte si attiene strettamente a quanto espresso dalla Procura".
La famiglia Medina chiede che sia applicata la massima pena: cioè 30 anni più dieci come misura preventiva, per un totale di 40 anni di reclusione.  
La società paraguaiana e noi altrettanto.   
E nonostante i fatti, la difesa di Vilmar Acosta insiste nella richiesta di nullità dell'accusa.
Non è un'illusione  la sentenza del Tribunale: Vilmar Acosta, ex sindaco di Ypejhú, figura emblematica in quella località di frontiera, è stato dichiarato colpevole. Non crediamo che sia frutto di una messinscena. Ci sono prove schiaccianti sulla sua colpevolezza.  
E così come stanno le cose, sorge una domanda: Ma Vilmar Acosta sarà stato l'unico mandante? Tecnicamente è stato ritenuto colpevole di essere il mandante dell’omicidio. Ci sono dietro altri personaggi?
Crediamo di sì. Crediamo che il tecnicismo del Ministero Pubblico non sia sufficiente. Per meglio dire, non crediamo sia sinonimo di una giustizia completa, seppure si tratta del primo caso storico in cui si è puntato su un mandante letteralmente messo alle strette.
Il sistema politico paraguaiano, inquinato dal narcotraffico paraguaiano, non è stato colpito in assoluto dal verdetto di colpevolezza, di Vilmar Acosta. E non perché non siano ancora stati affidati alla giustizia i due sicari del clan Acosta. Ma, perché ancora la testa del mostro non è stata tagliata.
È questo che dobbiamo avere ben presente: oggi e anche il prossimo martedì, quando saranno comunicata a Vilmar "Neneco" Acosta gli anni di reclusione che dovrà scontare.
Dobbiamo avere ben presente che l'impunità è sempre presente, nonostante il verdetto di colpevolezza.
Il nostro amico e redattore collaboratore Pablo Medina non è morto per battere oggi le mani di fronte ad una sentenza di colpevolezza. Le sue denunce miravano ben oltre. Per tale ragione, la strada per fare giustizia sale il suo primo gradino per sviscerare un tenebroso sentiero di criminalità nel Paraguay di oggi.
Siamo solo al primo anello. Bisogna ancora smascherare molti altri anelli. Bisogna fare ancora molto. Molto.

Foto di copertina: www.abccolor.com

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