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di Aaron Pettinari
Secondo i giudici "il fatto non costituisce reato". E la stampa ci va a nozze

Il fondatore de “Il Foglio”, Giuliano Ferrara, è stato assolto dall’accusa di diffamazione aggravata nei confronti del pm Antonino Di Matteo. E’ questa la decisione del giudice monocratico della IV sezione penale del Tribunale di Milano, Maria Teresa Guadagnino, che ha emesso oggi la sentenza con la formula “perché il fatto non costituisce reato”. Ferrara, nell’articolo pubblicato sul quotidiano il 22 gennaio 2014 dal titolo “Riina, lo Stato come agente provocatore. Subito un’inchiesta” aveva definito i colloqui tra il boss corleonese, Salvatore Riina, e il pugliese Alberto Lorusso, compagno nell’ora d’aria del Capo dei capi presso il carcere opera di Milano, come una “spaventosa messa in scena” architettata da “qualche settore d’apparato dello Stato italiano” per “mostrificare il presidente della Repubblica, calunniare Berlusconi e monumentalizzare Di Matteo e il suo traballante processo”.
Un articolo che si aggiungeva ad altri scritti da Vittorio Sgarbi e dai giornalisti Filippo Facci ed Enrico Deaglio. Per quel motivo il magistrato palermitano aveva ritenuto di querelare per diffamazione a mezzo stampa gli stessi assieme ai direttori responsabili delle testate sulle quali gli articoli sono stati pubblicati (Il Giornale, Libero, Il Foglio e il Venerdì di Repubblica).
Secondo il Gip di Milano, Franco Cantù Rajnoldi, che aveva disposto per Ferrara l’imputazione coatta lo stretto collegamento creato tra il termine "messinscena" ed il relativo "obiettivo" determinava come risultato concettuale immediato "quello di indicare il pm Di Matteo quale soggetto processuale impegnato a confezionare prove 'ad arte', già predisposte nel loro contenuto e di perseguire finalità politiche. Conseguenze queste che danneggiano la reputazione del pm Di Matteo". Il giudice monocratico Maria Teresa Guadagnino, evidentemente, non è stata di questo avviso.
Aspettando di leggere le motivazioni della sentenza, che saranno depositate tra 90 giorni, per comprendere nel merito i motivi che hanno indotto il giudice ad assolvere il giornalista, appare evidente la strumentalizzazione che immediatamente viene fatta della sentenza da parte di certa stampa. Alcune agenzie, infatti, hanno subito dichiarato, alla luce del solo dispositivo del giudice, che “definire l’inchiesta sulla presunta trattativa Stato-mafia una ‘spaventosa messa in scena’ non è reato”.
Ma le motivazioni specifiche che avevano indotto Di Matteo, titolare dell’inchiesta sulla trattativa Stato-mafia ed oggi sostituto procuratore nazionale antimafia, a querelare Ferrara non riguardavano eventuali opinioni (sicuramente discutibili) sull’indagine e sul processo in corso a Palermo. E’ lo stesso magistrato palermitano ad aver spiegato in aula lo scorso aprile le ragioni della querela. “In quell'articolo - aveva detto davanti al giudice monocratico - si parlava di Lorusso come un agente provocatore mandato da me con degli obiettivi precisi: per monumentalizzare il pm Di Matteo, mostrificare il Presidente della Repubblica oppure la più alta autorità istituzionale e consolidare un processo ormai traballante” con “un’evidente indicazione di un'attività strumentale da parte del pubblico ministero, quindi da parte mia, come se io avessi strumentalizzato a fini personali così gravi la mia attività. Prendo atto del giudizio del dottor Ferrara, ma non lo posso ovviamente accettare”.
Non c’entra nulla l’inchiesta sulla trattativa Stato-mafia. Perché dunque attribuire tali parole alla sentenza del giudice senza che non siano ancora note le motivazioni? Forse perché è più comodo usarle per insinuare dubbi sul processo ed attaccare ulteriormente i pm che lo conducono proprio nella settimana in cui dovrebbe chiudersi la fase dibattimentale, con l’inizio alla requisitoria degli stessi magistrati? A pensar male si fa peccato ma spesso ci si indovina.

Foto © Ansa

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