Questo sito utilizza cookie tecnici e di terze parti per migliorare la navigazione degli utenti e per raccogliere informazioni sull’uso del sito stesso. Per i dettagli o per disattivare i cookie consulta la nostra cookie policy. Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina o cliccando qualunque link del sito acconsenti all’uso dei cookie.

dellutri marcello sguardoIeri rigettata l’istanza di differimento pena per l’ex senatore
di Aaron Pettinari
“Trattamento disumano”, “accanimento”, “vittima”. Eccoli i commenti rispetto alla decisione del Tribunale di sorveglianza di Roma che ieri ha respinto la richiesta di differimento dell'esecuzione della pena per l'ex senatore Marcello Dell'Utri in carcere per una condanna a 7 anni per concorso in associazione mafiosa. I legali di Dell'Utri avevano presentato la richiesta sulla base delle condizioni di salute dell'ex senatore, affetto da patologie cardiologiche e da un tumore.
Secondo i giudici, però, hanno evidenziato come “sulla scorta del quadro clinico complessivo i periti hanno concluso per la compatibilità con il carcere non emergendo criticità o urgenze tali da rendere necessario il ricorso a cure o trattamenti non attuabili in regime di detenzione ordinari". Per i giudici e per i periti da loro nominati le patologie cardiache e oncologiche di cui Dell’Utri soffre, "sono sotto controllo farmacologico e non costituiscono aggravamento del suo stato di salute” dunque “la terapia può essere effettuata in costanza di detenzione sia in regime ambulatoriale che di ricovero ospedaliero" tenuto conto di un “quadro patologico affrontabile in costanza di regime detentivo". "D'altronde - precisa il collegio nelle motivazioni - Dell'Utri è seguito da suoi specialisti e nessuno ha ravvisato ritardi nelle cure". Non ci sarebbe alcun aggravamento delle condizioni di salute dell'ex senatore e “la pena può assumere il suo carattere rieducativo non prestandosi a giudizi di contrarietà al senso di umanità".
Dopo il diniego ricevuto l’ex senatore, tramite i suoi legali ha fatto sapere di voler iniziare uno sciopero della fame e delle cure.

Parallelismo con il caso Contrada
E’ così che i soliti “benpensanti”, gli stessi che non perdono mai occasione di attaccare tutti coloro che cercano di far luce su quanto avvenne nei primi anni Novanta (tra stragi e trattative a colpi di bombe), sono tornati alla carica facendosi forza sulla sentenza della Corte europea relativa al caso di Bruno Contrada, ex capo della Mobile a Palermo ed ex numero tre del Sisde creando un parallelismo con il fondatore di Forza Italia. La Corte di Strasburgo, nell’aprile 2015, aveva condannato lo Stato italiano a versare all’ex agente del Sisde (condannato a 10 anni per concorso esterno) 10 mila euro per danni morali e 2.500 di spese legali. Secondo la Corte europea all’epoca dei fatti il reato non “era sufficientemente chiaro e prevedibile e il ricorrente non poteva conoscere nello specifico la pena in cui incorreva per la responsabilità penale che discendeva dagli atti compiuti”. Per questo Contrada non doveva essere condannato per concorso esterno in associazione mafiosa. L’assioma sostenuto è semplice.
Poiché anche Dell’Utri è stato condannato per i fatti commessi fino al 1992 allora anche quest’ultimo non avrebbe dovuto essere condannato.
contrada bruno web4Peccato che la Cassazione ha già spiegato i motivi per cui “non vi è identità di posizione” tra Marcello Dell’Utri e Bruno Contrada, “né la decisione emessa nel caso Contrada può dirsi tale da imporre una modifica del giudicato”.
Spesso per sostenere l’inesistenza del reato di concorso esterno si fa riferimento alla cosiddetta “sentenza Dimitry del 1994”, che per la prima volta affrontava le questioni giurisprudenziali.
Ciò che i “benpensanti” fanno finta di non sapere è che il “concorso esterno” non è una creazione della giurisprudenza, ma è dato dall’unione di due articoli del codice penale, il 416 bis sull’associazione a delinquere di stampo mafioso, e sull’articolo 110, sul concorso di più persone in un reato e che colpisce anche chi abbia fornito un contributo atipico, causalmente rilevante e consapevole.
Un reato che nasce ben prima del 1994 e venne usato anche nel maxi-processo. E’ scritto in un passo della sentenza-ordinanza conclusiva del maxi-processo “ter” (17 luglio 1987) che “manifestazioni di connivenza e di collusione da parte di persone inserite nelle pubbliche istituzioni possono - eventualmente - realizzare condotte di fiancheggiamento del potere mafioso, tanto più pericolose quanto più subdole e striscianti, sussumibili - a titolo concorsuale - nel delitto di associazione mafiosa. Ed è proprio questa ‘convergenza di interessi’ col potere mafioso... che costituisce una delle cause maggiormente rilevanti della crescita di Cosa nostra e della sua natura di contropotere, nonché, correlativamente, delle difficoltà incontrate nel reprimerne le manifestazioni criminali”.
Inoltre si fa finta di non sapere che Strasburgo nel caso Contrada non entra affatto nel merito delle condotte compiute tanto che la Corte di Cassazione non ha affatto revocato la sentenza di condanna ma ha semplicemente dichiaro la stessa “ineseguibile e improduttiva di effetti penali”.

Fronte 41 bis
Ma il dibattito “politico-sociale” non si ferma qui. Dalle stragi sono passati 25 anni eppure sembra di rivivere un “déjà-vu”. Da qualche mese, infatti, come negli anni Novanta, si è tornati a parlare a livello istituzionale di 41 bis, delle condanne all’ergastolo e di sequestro di beni. Nei mesi scorsi il Capo del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, Santi Consolo, era intervenuto alla Commissione diritti umani invitando a “ragionare sulla limitazione del numero di persone da sottoporre al 41 bis” in quanto “non abbiamo più la ricettività bastevole” e “alcuni detenuti sono in lista d’attesa”. Non solo. Qualche mese prima aveva persino dichiarato: "Come lo si può garantire se si è preteso di continuare a celebrare anche procedimenti penali assolutamente inutili per gli appartenenti alla Criminalità Organizzata? Perché non credo che interessi più alla collettività, nemmeno ai famigliari delle vittime, sapere che Totò Riina viene condannato per la settantesima, ottantesima volta, all’ennesimo ergastolo! Questa è l’incongruenza del nostro sistema!”. Lo scorso ottobre, poi, è stata diffusa una nuova circolare che regola, in maniera uniforme, la vita dei detenuti al carcere duro. Nuove norme che, rispetto alla prima applicazione avvenuta 25 anni solo dopo le morti di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, appaiono sicuramente più morbide.
Ma ciò non basta ai “benpensanti”, già pronti a richiamare ogni afflato della Corte Europea in materia di 41 bis, che, c’è da scommetterci, useranno anche i recenti giudizi dell’Onu. Nei giorni scorsi il “Comitato contro la tortura” ha presentato a Ginevra le conclusioni e raccomandazioni sul rispetto della Convenzione. Un documento in cui vengono mosse all’Italia critiche rispetto alla legge sul reato di tortura ritenuta “incompleta” in quanto “crea spazi reali o potenziali per l’impunità” così come avevano denunciato pm e giudici titolari dei processi sull’irruzione alla scuola Diaz e sui fatti avvenuti a Bolzaneto durante il G8 di Genova.berlusconi dellutri mangano Il Comitato poi allarga le proprie considerazioni parlando del regime detentivo 41 bis chiedendo all’Italia di “continuare i suoi sforzi per migliorare le condizioni di detenzione e alleviare il sovraffollamento”. Il Comitato rileva, poi, che “i detenuti sono spesso non informati sui loro diritti o autorizzati a comunicare con i loro parenti” e “rimane preoccupato per le condizioni di detenzione in alcune strutture”. Chiede quindi che “la detenzione preventiva non sia eccessivamente prolungata” e di rivedere il regime speciale di detenzione del 41 bis e “metterlo in linea con gli standard internazionali sui diritti umani”.
Ma di quali diritti parliamo? L’Onu, la Corte Europea, evidentemente, non conoscono la Storia del nostro Paese.
Non comprendono che un’azione simile lancerebbe un chiaro messaggio non solo alla mafia, ma a tutta la società civile: la resa dello Stato.
La Corte Europea di Strasburgo o l’Onu, dovrebbero sapere che la Mafia si è evoluta nel tempo. Dovrebbero sapere che se da una parte sembra aver rinunciato alla strategia stragista preferendo il “rumoroso silenzio” dall’altra ha raggiunto un livello altissimo che non coinvolge solo lo Stato Italiano. Dovrebbero sapere che le mafie sono sempre più globalizzate e fatturano migliaia di milioni di euro, e che andrebbe forse realizzato un unico Ordinamento Giuridico che uniformi la lotta contro le stesse non solo un Europa ma anche nel Mondo, laddove il reato per Associazione Mafiosa neanche viene riconosciuto.
Non possiamo dimenticare che tra i primi punti del papello stilato da Riina (oggi deceduto) c’era proprio l’aggiustamento dei benefici carcerari. Non si può dimenticare la lettera proclama di Leoluca Bagarella che in teleconferenza accusava i politici di non aver mantenuto i patti condannando pesantemente il 41 bis. Non si possono dimenticare le parole dei giudici Falcone e Borsellino che in vita hanno sostenuto con forza la necessità di maggiori misure di sicurezza verso i carcerati mafiosi. Non si può dimenticare che nelle motivazioni della sentenza di condanna per l’ex senatore viene spiegato che per diciotto anni, dal '74 al '92, Marcello Dell'Utri è stato il garante dell’accordo tra Berlusconi e la mafia per proteggere interessi economici e i suoi familiari.
Non si può dimenticare che Marcello Dell’Utri ha definito Vittorio Mangano, pluriomicida legato a Cosa Nostra conosciuto con il soprannome de “lo stalliere di Arcore” per l'attività che svolgeva presso la villa brianzola di Silvio Berlusconi, un eroe. Marcello Dell’Utri, così come tanti capimafia, ha una sola via da perseguire se vuole veramente uscire dal carcere. Collabori con la giustizia, dica quello che sa su quella terribile stagione che ha causato tante vittime generando ferite profonde per la nostra democrazia. Dire che tutto questo non è esistito, che le organizzazioni criminali non sono più un pericolo, è come calpestare la memoria di tutte le vittime di mafia e un’offesa ai loro familiari.

In foto dall'alto: Marcello Dell'Utri, Bruno Contrada, Silvio Berlusconi e Vittorio Mangano

ARTICOLI CORRELATI

''La Suprema Corte non ha capito: quel reato esiste da sempre''

Ingroia: "Sul caso Contrada una solenne cantonata dei giudici di Strasburgo"

Dell'Utri: spiegato il no della Cassazione alla revoca della condanna

Contrada, Strasburgo boccia l'Italia ma restano i fatti

L'articolo 41-bis contro la mafia

Berlusconi e Dell'Utri indagati: verità su mandanti esterni stragi '93!

ANTIMAFIADuemila
Associazione Culturale Falcone e Borsellino
Via Molino I°, 1824 - 63811 Sant'Elpidio a Mare (FM) - P. iva 01734340449
Testata giornalistica iscritta presso il Tribunale di Fermo n.032000 del 15/03/2000
Privacy e Cookie policy

Stock Photos provided by our partner Depositphotos