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berlusconi dellutri c ansaRiaperto il fascicolo sui mandanti esterni
di Aaron Pettinari
L’ex presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, e l’ex senatore Marcello Dell’Utri (già condannato a sette anni di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa) sono nuovamente indagati nell'inchiesta sui mandanti occulti delle stragi mafiose del 1993, che colpirono Firenze (in via dei Georgofili), Roma (chiese di San Giovanni in Laterano e San Giorgio al Velabro) e Milano (via Palestro). La Procura di Firenze ha chiesto e ottenuto dal giudice delle indagini preliminari la riapertura del fascicolo a loro carico dopo la trasmissione di atti, pervenuti da Palermo, con le intercettazioni dei colloqui in carcere del boss di Brancaccio Giuseppe Graviano, effettuate nell’ambito dell’inchiesta sulla cosiddetta trattativa Stato-mafia.
"Berlusca mi ha chiesto questa cortesia, per questo c'è stata l'urgenza” diceva il capomafia durante l’ora di passeggio con il camorrista Umberto Adinolfi. Intercettazioni che ora saranno passate al setaccio dagli agenti della Dia, su disposizione del procuratore di Firenze Giuseppe Creazzo, per verificare meticolosamente ogni parola a partire da quel dialogo del 10 aprile 2016.
“Nel '92 già voleva scendere… - diceva Graviano alla sua dama di compagnia - voleva tutto, ed era disturbato, perché era… acchianavu (sono salito, ndr)… nei… con quello…”. “Lui voleva scendere, però in quel periodo c’erano i vecchi, lui mi ha detto: ci vorrebbe una bella cosa". E ancora: "Trent'anni fa, venticinque anni fa, mi sono seduto con te, giusto? Ti ho portato benessere. Poi mi è successa una disgrazia, mi arrestano, tu cominci a pugnalarmi. Per cosa? Per i soldi, perché ti rimangono i soldi...". Quando vennero rese note le intercettazioni l'avvocato di Berlusconi, Nicolò Ghedini, le bollò come "illazioni e notizie infamanti”. Per i pm di Palermo, invece, il riferimento esplicito è alle stragi di quel biennio e per questo trasmisero gli atti sia a Firenze che a Caltanissetta, Procure competenti per le stragi del 1993 e del 1992.

Polemiche “Berlusca” o “Bravissimo”
Sulle parole di Giuseppe Graviano non sono mancate le polemiche con tanto di pareri discordanti tra i periti che hanno analizzato e trascritto i ventuno colloqui nell’ambito del processo trattativa Stato-mafia. Quelli nominati dalla Corte d’assise e quelli dell’accusa sono certi di sentire la parola “Berlusca” mentre il perito della difesa Dell’Utri ascolta “Bravissimo”. Il riferimento all’ex Premier compare in altri punti della conversazione ma sempre per il perito della difesa i dialoghi sarebbero incomprensibili.
In altri punti, invece, le perizie non presentano differenze. Certo è che al processo solo 21 intercettazioni sono state depositate ma le registrazioni dei dialoghi del boss sono durate quattordici mesi e nelle carte non mancano gli omissis.
I giudici avevano convocato Graviano al processo di Palermo, per chiedere a lui direttamente una spiegazione su quei riferimenti ma il capomafia ha preferito avvalersi della facoltà di non rispondere.

“Autore 1” e “Autore 2”
Non è la prima volta che Berlusconi e Dell’Utri vengono indagati per le stragi.
Vent’anni fa la Procura di Firenze aveva indagato Berlusconi e Dell’Utri, sotto le sigle “Autore 1” e “Autore 2”, per le stragi del ‘93 commesse a Roma, Firenze e Milano fino ad arrivare alla mancata strage dello Stadio Olimpico di Roma del ‘94. Per gli inquirenti quei fatti di sangue rientravano “in un unico disegno che avrebbe previsto una campagna stragista continentale avente come obiettivo strategico (anche) quello di ottenere una revisione normativa che invertisse la tendenza delle scelte dello Stato in tema di contrasto della criminalità mafiosa”. “Nel corso di quelle indagini - si leggeva ancora nel decreto di archiviazione del ‘98 - erano stati acquisiti diversi elementi che avvaloravano l’ipotesi di un’unitaria strategia dell’organizzazione mafiosa finalizzata a condizionare le scelte di politica criminale dello Stato e a ricercare nuovi interlocutori da appoggiare nelle competizioni elettorali”. Dal canto suo il Gip aveva evidenziato che le indagini svolte avevano “consentito l’acquisizione di risultati significativi solo in ordine all’avere Cosa nostra agito a seguito di inputs esterni, a conferma di quanto già valutato sul piano strettamente logico; all’avere i soggetti (cioé gli indagati Dell’Utri e Berlusconi, ndr) di cui si tratta intrattenuto rapporti non meramente episodici con i soggetti criminali cui è riferibile il programma stragista realizzato, all’essere tali rapporti compatibili con il fine perseguito dal progetto”. Il giudice concludeva affermando che, sebbene “l’ipotesi iniziale abbia mantenuto e semmai incrementato la sua plausibilità”, gli inquirenti non avevano “potuto trovare - nel termine massimo di durata delle indagini preliminari - la conferma delle chiamate de relato e delle intuizioni logiche basate sulle suddette omogeneità”. Quattro anni dopo, dal '98 al 2001, su quegli stessi personaggi avevano indagato il pm Luca Tescaroli e Nino Di Matteo nell’ambito dell’indagine sui “mandanti esterni” a Cosa Nostra. Ed anche in quel caso l’indagine è stata archiviata.
“Il Procuratore della Repubblica di Caltanissetta - si legge nel decreto di archiviazione - disponeva con articolato provvedimento l’iscrizione nel registro degli indagati di Silvio Berlusconi e Marcello Dell’Utri (con i nominativi di ‘Alfa’ e ‘Beta’, ndr) in base ad una serie di risultanze che delineavano una notizia di reato a loro carico, quali mandanti delle stragi di Capaci e di via d’Amelio”. Per gli inquirenti i dati che avevano “legittimato tale decisione” si ricavavano dai verbali di interrogatorio del collaboratore di giustizia Salvatore Cancemi inerenti a quelle “persone importanti” che “avrebbero concorso a decidere l’eliminazione fisica di Falcone e Borsellino in maniera eclatante nell’ambito di una più articolata ‘strategia terroristica’ di ‘Cosa nostra’, nonché nei verbali relativi ai rapporti gestiti da Vittorio Mangano, prima, e da Salvatore Riina, poi, con i vertici del circuito societario Fininvest”. I magistrati citavano quindi le dichiarazioni dei pentiti Tullio Cannella e Gioacchino La Barbera in merito ai contatti di Cosa nostra “con imprenditori del nord e ad un interessamento della stessa organizzazione per l’installazione di un ripetitore per l’emittente Canale 5”; così come le dichiarazioni dei collaboratori Gioacchino Pennino ed Angelo Siino “sui personaggi che avevano avuto interesse ad eliminare i due magistrati, oramai assai attenti a delineare i rapporti tra mafia ed imprenditoria”; ed infine “gli esiti delle investigazioni svolte dalla Dia e dal Gruppo 'Falcone e Borsellino'" che “avevano aperto prospettive di approfondimento in ordine ai rapporti di Berlusconi e Dell’Utri con l’organizzazione ‘Cosa nostra’”.

Con Spatuzza nuova riapertura
A Firenze il fascicolo è stato poi riaperto una seconda volta nel 2008, dopo le confessioni del collaboratore di giustizia Gaspare Spatuzza. Quest’ultimo, giudicato attendibile in molte corti d’assise e da ultimo dalla Corte di cassazione che ha confermato alcune ulteriori condanne per la strage di Capaci, ha raccontato di un dialogo avuto con Giuseppe Graviano che gli riferì chiaramente che “con Berlusconi e Dell'Utri c'avevamo il Paese nelle mani”.
Nonostante ciò l’inchiesta fu archiviata. Oggi, però si apre un nuovo capitolo.

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