di Aaron Pettinari
“Con condanna di concorso esterno esclusi benefici”
L’ex senatore Marcello Dell’Utri, condannato definitivamente a sette anni per concorso esterno in associazione mafiosa, non ha diritto a usufruire del beneficio della liberazione anticipata per la "gravità" del reato commesso. A dirlo è la Corte di Cassazione che ha giudicato corretto il 'no' alla scarcerazione deciso il 14 febbraio 2017 dal tribunale di sorveglianza di Bologna, quando Dell'Utri era ancora recluso in Emilia-Romagna.
I giudici della Suprema Corte ricordano che il concorso esterno è un reato escluso dall'ottenimento di sconti di pena. Ad avviso degli ermellini "correttamente" i magistrati di Bologna hanno ricordato che "la fattispecie di concorso esterno in associazione di tipo mafioso non costituisce un istituto di creazione giurisprudenziale bensì è conseguenza della generale funzione incriminatrice dell'art.110 c.p., che trova applicazione al predetto reato associativo qualora un soggetto, pur non stabilmente inserito nella struttura organizzativa del sodalizio, fornisce alla stessa un contributo volontario, consapevole, concreto e specifico, che si configuri come condizione necessaria per la conservazione o il rafforzamento delle capacità operative dell'associazione". Per queste ragioni la Cassazione ha "escluso" che il concorso esterno di tipo mafioso possa rientrare tra i reati per i quali l'ordinamento penitenziario consente benefici.
Non è la prima volta che Dell’Utri, tramite i legali, cerca di tornare a casa. In altre occasioni ha chiesto l’annullamento della condanna e, più di recente, ha chiesto la detenzione domiciliare per motivi di salute.
Lo scorso luglio il Tribunale di sorveglianza di Roma aveva deciso di sottoporre l’ex senatore di Forza Italia a una nuova perizia medica dopo che, lo scorso maggio, era stato ricoverato nel reparto protetto dell’ospedale Pertini. Da fine maggio 2016, infatti, Dell’Utri si è sottoposto a decine di visite di ogni tipo, soprattutto cardiologiche e vascolari (l’ex senatore è cardiopatico). Il medico dell’istituto di pena romano aveva delineato in una relazione un quadro clinico “non compatibile” con il regime carcerario. Nei giorni scorsi si sarebbe dovuta tenere una nuova udienza dopo il deposito della nuova perizia medica ma, su accordo tra le parti, è stata rinviata al mese prossimo.
Solo allora si saprà se saranno riconosciute o meno le “precarie condizioni di salute”. Condizioni che sempre a che non gli impedirono di farsi intervistare su La7 per definirsi “prigioniero politico” e benedire il governo prossimo venturo auspicando un’alleanza tra l’amico di sempre, Silvio Berlusconi, e Matteo Renzi. Il tutto mentre l’intervistatore si rivolgeva a lui chiamandolo ancora “senatore”.
Perché questo è un Paese che ha la memoria corta. E se nelle motivazioni della sentenza di condanna i giudici della Suprema corte hanno scritto nero su bianco che Marcello Dell’Utri, per 18 anni, dal ’74 al ’92, è stato il garante “decisivo” dell’accordo tra Silvio Berlusconi e Cosa nostra in quanto ha “consapevolmente e volontariamente fornito un contributo causale determinante, che senza il suo apporto non si sarebbe verificato, alla conservazione del sodalizio mafioso e alla realizzazione, almeno parziale del suo programma criminoso, volto alla sistematica acquisizione di proventi economici ai fini della sua stessa operatività, del suo rafforzamento e della sua espansione”, poco importa.
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