Dall'America il ministro ritratta: “Testo non definitivo”
di Aaron Pettinari
“È fatto divieto di riproduzione integrale nella richiesta (del pubblico ministero, ndr) delle comunicazioni e conversazioni intercettate, ed è consentito soltanto il richiamo al loro contenuto”. Eccola la frase “bavaglio alla stampa” inserita nella bozza di decreto legge in materia di intercettazioni stesa dal Ministero della Giustizia il cui contenuto è stato rivelato nei giorni scorsi da La Repubblica. Di questa si parlerà in questi giorni in via Arenula tra il ministro Andrea Orlando, i capi delle maggiori procure italiane (Greco, Spataro, Creazzo, Pignatone, Melillo, Lo Voi), le Camere penali, la Fnsi (il presidente Lorusso ha dichiarato che invierà delle osservazioni ma non parteciperà), ed altri giuristi.
C'è da fare in fretta (entro il 3 novembre) dopo la legge sul processo penale entrata in vigore il 4 agosto. Così, tutto d'un tratto, Orlando scavalca tutti con l'ufficio legislativo di via Arenula che lancia una proposta addirittura peggiore di quella presentata dagli ex ministri Clemente Mastella ed Angelino Alfano.
Il ministro della Giustizia, dall'America, fa sapere che di quel testo “non riconosco la paternità” e che “non sarà questo il testo finale della riforma delle intercettazioni” anche se “da un punto di partenza dovevo pur cominciare”. Ormai però il sasso è stato lanciato suscitando un certo allarme tra gli addetti ai lavori anche perché in presenza di questa norma è alto il rischio che sia leso tanto il diritto di cronaca quanto il lavoro di magistrati ed investigatori. Basti pensare che il testo limita l'uso dei “Trojan horse” (i virus per intercettare colloqui e messaggi sugli smartphone) per i reati di corruzione e contro la PA.
Che vi sia una volontà di mettere un bel bavaglio alla libertà di stampa è evidente. Intervistato da Il Fatto Quotidiano il procuratore aggiunto di Messina, Sebastiano Ardita, ha spiegato come questa riforma non è utile ai pm. Ma a non gradire il testo della riforma sono anche figure come Giulia Bongiorno, presidente della commissione Giustizia della Camera ai tempi delle riforma Alfano-Berlusconi sulle intercettazioni, che ha denunciato, da avvocato, come in questo modo si crei “un mostro giuridico” che potrebbe dare agli inquirenti “il potere di insabbiare”.
Così come è stato presentato il decreto legge impone a pubblici ministeri, giudici per le indagini preliminari e giudici del tribunale del riesame di riassumere i testi delle intercettazioni. Non vi sarà alcuna pubblicazione integrale ed anche gli avvocati dovranno aspettare l'udienza stralcio per ascoltare e vedere le intercettazioni sotto forma di colloquio.
E per le intercettazioni “rilevanti” (cioé attenenti alla prova dei reati) ci si dovrà accontentare “dei richiami al contenuto”. Mentre per quelle che “non hanno rilevanza ai fini delle indagini, sia per l’oggetto che per i soggetti coinvolti” non resta altro che l'oblio. Ed è qui che nasce l'inghippo, con la scusa della tutela della privacy. Perché non si tiene conto che se sul piano “penale” un fatto può non essere rilevante al contrario può esserlo sul piano etico ed anche politico.
I cittadini hanno il diritto di conoscere la realtà dei fatti e per questo la trascrizione di un'intercettazione è necessaria. Sgombera il campo da possibili interpretazioni. Ma è evidente che ciò non interessa a chi chiede l'intervento legislativo.
Foto © Ansa
Bavaglio ed intercettazioni, Orlando ci riprova
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