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riina salvatore eff c ansaDa La Torre a Gratteri: pioggia di critiche sulla possibile scarcerazione del boss
di Aaron Pettinari
“Non è possibile, non è possibile. Lo sapevano da 25 anni da quando gli hanno commissionato la strage di Via D’Amelio assicurandogli che non sarebbe morto in carcere. Stanno pagando la cambiale che hanno firmato 25 anni fa. A che serve continuare a gridare giustizia e verità, la giustizia non esiste e la verità è che viviamo in un paese in cui è al potere una banda di assassini. Hanno avuto forse una morte dignitosa quelli che sono stati fatti a pezzi in Via D'Amelio?”. Con queste parole Salvatore Borsellino, dal profilo Facebook, commenta la decisione della Corte di Cassazione di accogliere il ricorso del difensore di Totò Riina nel richiedere il differimento della pena o, in subordine, la detenzione domiciliare a causa delle “precarie condizioni di salute del suo assistito, gravato da diverse patologie”. Una richiesta che lo scorso anno era stata respinta dal tribunale di sorveglianza di Bologna, che però, secondo la Cassazione, nel motivare il diniego aveva omesso “di considerare il complessivo stato morboso del detenuto e le sue condizioni generali di scadimento fisico”. I giudici, quindi, ribadiscono il principio per cui ad ogni detenuto va assicurato il “diritto a morire dignitosamente” ed ora la decisione tornerà al Tribunale di Sorveglianza di Bologna. Se da una parte la Suprema Corte riconosce lo “spessore criminale” del boss corleonese, si suggerisce di verificare se lo stesso possa ancora considerarsi pericoloso “vista l’età avanzata e le gravi condizioni di salute”. Così, in un colpo solo si spazzano via i crimini commessi da “la belva” (così è soprannominato). I morti ammazzati, le stragi ed anche le condanne a morte più recenti nei confronti del pm Nino Di Matteo e di don Luigi Ciotti.
Proprio quest’ultimo ha commentato a sua volta: “C'è una persona malata, alla quale lo Stato deve riservare un adeguato trattamento terapeutico a prescindere dai crimini commessi e dalla presenza o meno - che in questo caso non c'è stata - di una presa di coscienza, di un percorso di ravvedimento e di conversione. Ma c'è anche una vicenda di violenza, di stragi e di sangue che ha causato tante vittime e il dolore insanabile dei loro famigliari". Secondo il sacerdote, dunque, "Sull’ipotesi, avanzata dalla Cassazione, di una mutazione della pena detentiva in arresti domiciliari, sono certo che il Tribunale di Bologna valuterà con saggezza e piena cognizione di causa, tenendo conto di tutti i fattori in gioco. C’è un diritto del singolo, che va salvaguardato. Ma c'è anche una più ampia logica di giustizia di cui non si possono dimenticare le profonde e indiscutibili ragioni”.

La Torre: “Sarebbe un’ulteriore ferita per le vittime”
Anche Franco La Torre, figlio del politico e sindacalista Pio La Torre ucciso dalla mafia il 30 aprile 1982 ha criticato la decisione della Suprema Corte: “Sarebbe un’ulteriore ferita per le vittime. Quando qualche anno fa Provenzano era incapace di intendere e di volere, sono stato fra quelli che erano favorevoli a restituirlo ai suoi cari e lo sarei anche oggi se le condizioni di Riina fossero le stesse. Ma non mi pare che sia così. Ma accogliere una richiesta di scarcerazione per Riina, quando potrebbe continuare a vivere in modo dignitoso sebbene al 41 bis, mi sembra una forzatura in termini giuridici e si traduce in una ulteriore ferita per chi ha subito la violenza della sua azione".
Proprio La Torre ha ricordato le intercettazioni di due anni fa quando, dal carcere, Riina parlava del piano di uccidere il pubblico ministero Di Matteo.

Gratteri: “Un boss come lui comanda anche con gli occhi"
Anche il Procuratore di Catanzaro è intervenuto sulla questione: "Un boss come lui comanda anche con gli occhi. Non dimentichiamo che il 41 bis è stato istituito per evitare che i capimafia mandino segnali di morte verso l'esterno. E’ ora di finirla con l'ipocrisia di chi sale sui palchi a commemorare Falcone e Borsellino e poi fa discorsi caritatevoli: un boss come Riina comanda anche solo con gli occhi".

Le parole di Di Matteo al convegno alla Camera
Proprio nei giorni scorsi, nel convegno organizzato dal Movimento 5 Stelle alla Camera dei Deputati (‘Questioni e visioni di giustizia, Prospettive di Riforma’) il pm di Palermo, Antonino Di Matteo, aveva lanciato l’allarme sulle continue voci di abolizione dell’ergastolo: "Mi preoccupa sentire ancora oggi parlare ripetutamente dell’opportunità di abolire l’ergastolo cosiddetto ostativo anche per i mafiosi. Mi preoccupa sentire parlare della possibilità di allargare l’applicabilità di benefici penitenziari di varia natura, anche ai detenuti per reati di mafia”. E poi ancora: "Mi preoccupo perché so bene, con l’esperienza che ho maturato in tanti anni di processi, che l’ergastolo e il 41 bis da sempre sono state le principali spine nel fianco per Cosa Nostra, tanto che l’abolizione dell’ergastolo e l’abolizione del 41 bis erano certamente tra gli oggetti principali delle richieste che i capi della mafia facevano allo Stato nella vicenda del cosiddetto Papello per smettere di fare stragi, per cessare la strategia stragista inaugurata con l’omicidio Lima e poi proseguita fino al fallito attentato all’Olimpico di Roma nel Gennaio del 1994. E allora facciamo attenzione perché credo, e lo credo anche ovviamente sulla base dell’esperienza quotidiana di investigazione, che ancora oggi molti dei capi della mafia che potrebbero pensare di iniziare a collaborare con la Giustizia, e magari sarebbero anche in grado di farci fare un salto di qualità nell’indagine, trovano una controspinta a questa scelta per loro così difficile, nella speranza alimentata da queste discussioni e progetti di Legge che lo stato possa rivedere la disciplina e la normativa sull’ergastolo e il 41 bis".


Foto © Ansa

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