Rita e Fiammetta Borsellino mettono all’angolo lo Stato in diretta tv
di Aaron Pettinari
"Vogliamo capire cosa ha portato alla morte di Paolo, cosa è successo in quei 57 giorni (trascorsi dalla strage di Capaci, ndr), vogliamo capire cosa c'era scritto nell'agenda rossa, quali sono i motivi per i quali bisognava fare subito fuori Paolo". La voce di Rita Borsellino risuona forte da via d’Amelio, durante la trasmissione FalconeeBorsellino, l'orazione civile condotta da Fabio Fazio, Pif e Roberto Saviano su Rai1. Un appuntamento televisivo come non si vedeva da tempo sulla tv di Stato. Ci sono le testimonianze, gli interventi degli artisti, i collegamenti tra alcuni luoghi simbolo della vita professionale e privata di Falcone e Borsellino, come lo scoglio dell'Addaura, la biblioteca di Casa Professa, la casa di Falcone in via Notarbatolo, il Giardino della memoria a Capaci. Tre ore di diretta senza interruzioni pubblicitarie, nel giorno in cui a trionfare è stata più la retorica che le denunce. Una giornata dove a parlare con forza sono soprattutto le immagini d’archivio della Rai, servizi in cui si divulgano le voci di un tempo, da quelle dei due magistrati uccisi a quelle dei boss dietro le sbarre nei giorni del maxi processo. Il trionfo della retorica e delle solite promesse di Stato è stato rotto soprattutto grazie a due interventi che hanno messo da parte lo schema di “politically correct” che fino a quel momento era stato mantenuto. “C’è stata molta enfasi attorno a questo 25/o - ha avvertito la sorella di Borsellino - Io non vorrei che questo 25/o metta un punto a certe cose. E' solo un anno in più del 24/o, e ancora una volta dobbiamo segnare un'assenza di verità e giustizia. I brandelli, i coriandoli di verità non ci interessano, la verità la vogliamo per intero". E poi ancora: "Ci sono dei punti fermi da cui ripartire come delle sentenze, una che dice che la trattativa tra Stato e mafia c'è stata, che ci sono stati innocenti, poi colpevoli per altre cose, che sono finiti in galera perché qualcuno ha voluto mandarceli per dare in pasto all'opinione pubblica delle cose. Noi vogliamo sapere ora perché, a chi serviva e a chi è servito”. Accanto a lei, mentre parlava, spiccava l’immagine del presidente del Senato Pietro Grasso che, messo all’angolo, ha ribadito in diretta tv: “Abbiamo fatto passi avanti, continueremo a cercarla. Ci vorrebbe qualche altro collaboratore interno alla mafia o esterno alla mafia. Sappiamo da quello che abbiamo accertato che ci sono state delle presenze esterne: chi c'era? Perché c'era? Qualcuno sa". Grasso ha anche ricordato di "avere fatto qualche passo in avanti" quando interrogò il pentito di Brancaccio, Gaspare Spatuzza. Questi svelò per primo i depistaggi nell'inchiesta sulla strage di via D'Amelio.
Fiammetta Borsellino e le “menti raffinatissime”
E giustizia sui depistaggi di Stato ha chiesto con determinazione la figlia del giudice Borsellino, Fiammetta, che per la prima volta è intervenuta da via d’Amelio: “Credo che con forza dobbiamo pretendere la restituzione di una verità. Non una verità qualsiasi o una mezza verità ma una verità che dia un nome e un cognome a quelle menti raffinatissime, come mio padre le ha definite, che con le loro azioni e omissioni direi, hanno voluto eliminare questi due reali servitori dello Stato". "Quelle menti raffinatissime - ha aggiunto - che hanno permesso il passare infruttuoso delle ore successive all'esplosione che sapremmo essere fondamentali per l'acquisizione di quelle prove necessarie a uno sviluppo positivo delle indagini, quelle prove a cui mio padre e Giovanni tenevano così tanto". Fiammetta Borsellino ha evidenziato proprio l’esistenza dei depistaggi nell'inchiesta giudiziaria sull'uccisione del padre: “Tutto questo per me e per la mia famiglia non può passare in secondo piano. Come non può passare in secondo piano, come, per via di false piste investigative, ci sono uomini, imputati per la strage di via d'Amelio, che hanno scontato anni di reclusione senza vedere in faccia i loro figli, esattamente come quei giovani poliziotti che sono morti in via d'Amelio e nella strage di Capaci. Questa restituzione di verità deve essere anche per loro”.
Ed infine ha concluso: “La verità è l'esatto opposto della menzogna. Ed è una cosa che dobbiamo cercare e pretendere ogni giorno e non di cui ricordarci soltanto nei momenti commemorativi. Solo così guardando in faccia i nostri figli potremmo dire loro di vivere in un Paese libero dal puzzo del potere e dal ricatto mafioso".
Dentro la “parata” istituzionale
Parole, quelle delle due donne, che pesano come macigni su uno Stato che fino a quel momento si era gongolato nella sua “parata” istituzionale. Troppi i rappresentanti delle Istituzioni che si sono succeduti nel raccontare ai tanti giovani giunti da ogni parte d’Italia la “favola” di uno Stato trionfante e di una mafia “sconfitta”. E nel giorno del ricordo e della memoria non è bello leggere notizie come quelle pubblicate da ilgazzettinodisicilia.it con la Polizia che avrebbe ritirato gli striscioni del Garibaldi e del Cannizzaro di Palermo. Striscioni che evidenziavano l’isolamento e denunciavano proprio le passerelle in modo differente. "Non siete Stato voi, siete stati voi" metteva in evidenza il primo; "Il corteo siamo noi, la passerella siete voi", insisteva il secondo. Niente da fare, anche se il dissenso era espresso in maniera intelligente e civile. Non è bello, poi, apprendere che Alfonso Giordano, presidente della Corte d’Assise che celebrò il maxiprocesso alla mafia, non ha preso parte alle commemorazioni in quanto, come lui stesso ha dichiarato, “non invitato”.
Oltre le parole
Tra le note positive, oltre alla presenza di tanti giovani uniti nel ricordo delle figure di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino (tra questi i 104 bambini dell’Orchestra "Falcone e Borsellino" di Catania che hanno suonato nell’Istituto comprensivo statale Falcone dello Zen, nel luogo del fallito attentato all’Addaura del 19 giugno del 1989 e nella Cappella Palatina, a Palazzo dei Normanni) è stato l’aver finalmente reso onore agli agenti di scorta, non solo chiamandoli per nome (Antonio Montinaro, Vito Schifani, Rocco Dicillo, Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina) ma anche dando voce ai sopravvissuti che spesso sono dimenticati. Così in questa giornata hanno preso la parola Giuseppe Costanza, Antonino Vullo e Giovanni Paparcuri ed un pensiero è stato rivolto ad Angelo Corbo, Gaspare Cervello e Paolo Capuzzo. Sotto l'albero di Falcone in via Notarbartolo è intervenuto don Luigi Ciotti, che ha puntato il dito contro "l'antimafia di facciata", ed anche contro la corruzione definendola come una “peste, per cui è sempre più difficile distinguere tra crimine organizzato, politico ed economico. Per questo dobbiamo impegnarci di più tutti, la speranza si costruisce insieme".
Roberto Saviano, nel leggere l’ultima lettera di Borsellino (“un messaggio di speranza, nonostante sapesse che il tritolo per ucciderlo era già arrivato in Sicilia”), ha ricordato come “oggi sta tornando in maniera rischiosa la cultura del silenzio”. Eppure in pochi hanno riflettuto su quanto avvenuto appena un giorno prima (la morte di un boss mafioso ucciso alla “vecchia maniera” per le strade di Palermo) e quasi nessuno (nemmeno lo stesso scrittore) ha sottolineato come a 25 anni di distanza un magistrato, Antonino Di Matteo, è oggetto di una condanna a morte e di un progetto di attentato con duecento chili di tritolo nascosti chissà dove nella città di Palermo. E’ il non detto che pesa più di mille parole. Tra gli “addetti ai lavori” solo il Procuratore generale di Palermo, Roberto Scarpinato, intervistato da Il Fatto Quotidiano, ha evidenziato certi fatti, mettendo in fila le zone d’ombra presenti nelle viscere delle stragi che hanno insanguinato il nostro Paese.
Una voce fuori dal coro come quella del procuratore generale di Napoli, Luigi Riello, che, intervenendo alla manifestazione “Palermo chiama Italia”, ha speso una parola anche sul processo più scomodo d’Italia, quello in corso a Palermo sulla trattativa Stato-mafia. Un processo che “deve portare alla luce tutto quello che fu fatto”. Fatti particolarmente scomodi da ricordare in una diretta tv. Ci hanno pensato Rita e Fiammetta a ricordare che venticinque anni dopo la strada per la verità, quella necessaria per avere una vera giustizia, è ancora in salita.
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