Questo sito utilizza cookie tecnici e di terze parti per migliorare la navigazione degli utenti e per raccogliere informazioni sull’uso del sito stesso. Per i dettagli o per disattivare i cookie consulta la nostra cookie policy. Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina o cliccando qualunque link del sito acconsenti all’uso dei cookie.

falcone giovanni c ansadi Lorenzo Baldo
“Dietro gli esecutori materiali ci sono i capi di Cosa Nostra e poi ci sono i mandanti a volto coperto e dietro costoro vi è il ‘gioco grande’ del potere che, oggi come ieri, non può permettersi la verità”. Le parole autentiche dell’attuale procuratore generale di Palermo, Roberto Scarpinato, pronunciate alcuni anni fa al convegno “Quale mafia ha ucciso Paolo Borsellino?” si scontrano con la retorica e l’ipocrisia respirate troppo spesso nelle giornate del 25° anniversario della strage di Capaci. Ma sono anche le sue dichiarazioni odierne sull’eccidio del 23 maggio 1992 e su quelle “zone d’ombra” e “convergenze di interessi” a fare da contraltare alle stridenti affermazioni di tanti altri personaggi venuti appositamente a “commemorare” a modo loro Giovanni Falcone, Francesca Morvillo e i tre agenti uccisi assieme a loro Rocco Dicillo, Antonio Montinaro e Vito Schifani.
Sono passate poche ore dall’omicidio del boss Giuseppe Dainotti e le ipotesi sul significato di questo assassinio mafioso a ridosso del 23 maggio si rincorrono veloci. Ma quello che rimbomba maggiormente, salvo rarissime eccezioni, è il silenzio. A partire dal Capo dello Stato Sergio Mattarella. Che, nel suo discorso dall’aula bunker, in diretta su Rai1, non accenna minimamente alla situazione dei magistrati attualmente condannati a morte da Cosa Nostra. Nessun cenno quindi a un magistrato come Nino Di Matteo (per il quale è arrivato il tritolo a Palermo) che - attraverso un processo che si sta celebrando sotto attacchi incrociati e sotto una cappa di silenzio - cerca di fare luce, assieme ad un pugno di colleghi, su quello che si può definire un vero e proprio un sistema criminale integrato. Nessun riferimento dal Presidente della Repubblica in merito ai misteri di quelle presenze “esterne” a Cosa Nostra nelle stragi del ‘92: quelle “entità” che hanno sottratto alcuni dati dal computer di Falcone, o che hanno fatto sparire l’agenda rossa di Paolo Borsellino.
Fuori dal coro la voce del procuratore generale di Napoli, Luigi Riello, che, intervenendo alla manifestazione “Palermo chiama Italia”, non usa mezzi termini: “Il processo sulla trattativa Stato-mafia deve portare alla luce tutto quello che fu fatto”. Per un Capo di Stato che tace, c’è un magistrato che risponde.
Certo è che fa specie pensare che in queste occasioni ci siano magistrati che respingono al mittente la definizione di “mandanti esterni” preferendo quella di “concorrenti esterni”. Eppure qualche anno fa era stato un loro collega, che oggi è il presidente del Senato, ad aver parlato in maniera esaustiva. Al microfono di Saverio Lodato, Piero Grasso aveva affermato che alcune volte “Cosa Nostra è stata il braccio armato dello Stato”. Parole inequivocabili, al di là di una mera questione terminologica, a cui va data obbligatoriamente una spiegazione definitiva. Parole che vanno ad aggiungersi a quelle pronunciate ieri da don Luigi Ciotti agli studenti di un liceo di Partinico. “Mai come oggi è forte l’intreccio tra criminalità politica, criminalità economica e crimine organizzato – ha affermato con forza il fondatore di Libera, per poi aggiungere con altrettanta determinazione –. Sì, ho volutamente usato il termine ‘criminalità politica’ in quanto: è politica ed è anche crimine; le mafie si avvolgono di queste alleanze che le rendono forti!”. Tornano in mente le dichiarazioni di Giovanni Falcone sul possibile epilogo della mafia in quanto “fenomeno umano” con tanto di inizio, evoluzione e fine. Qui però siamo di fronte a quegli “ibridi connubi” tra mafia, alta finanza, massoneria, politica, servizi - di cui lo stesso Falcone aveva accennato prima di essere ammazzato - che continuano a fortificarsi negli anni grazie a nuove alleanze. Per poter quindi immaginare la fine della mafia bisognerebbe vivere in un altro Paese. Un Paese i cui massimi vertici istituzionali assieme al mondo politico sostengono con ogni mezzo i magistrati che cercano la verità, dove i media assolvono il loro dovere informando l’opinione pubblica su ciò che sta avvenendo e dove i problemi dei cittadini vengono risolti da politiche efficienti, lontane anni luce da mafia e corruzione. Un altro Paese, appunto. Che in giorni come questo appare sempre di più come un’utopia. “I problemi del mondo non possono essere risolti da degli scettici o dei cinici i cui orizzonti si limitano a delle realtà evidenti. Noi abbiamo bisogno di uomini capaci di immaginare ciò che non è mai esistito”. Le parole di John Fitzgerald Kennedy rimbalzano forti sui sepolcri imbiancati che si apprestano ad appendere al chiodo le maschere indossate per questo 25° anniversario. Non resta quindi che continuare a lottare per dare un senso al sogno di un mondo migliore di tutti quei ragazzi venuti a ricordare Falcone, sua moglie e gli agenti di scorta. Ragazzi e ragazze che realmente credono nei valori della giustizia e della verità, nei confronti dei quali abbiamo l’obbligo morale di cercare di lasciargli una società più giusta.

Foto © Ansa

ARTICOLI CORRELATI

23 maggio: i morti non ritornano. Tocca ai vivi

Leonardo Guarnotta: ''Quel 23 maggio quando vidi Giovanni disteso su un marmo''

Capaci, il dovere della memoria

Perché il 23 maggio non andrò all'anniversario della strage di Capaci

ANTIMAFIADuemila
Associazione Culturale Falcone e Borsellino
Via Molino I°, 1824 - 63811 Sant'Elpidio a Mare (FM) - P. iva 01734340449
Testata giornalistica iscritta presso il Tribunale di Fermo n.032000 del 15/03/2000
Privacy e Cookie policy

Stock Photos provided by our partner Depositphotos