di Barbara L. L. Maimone - Video
“Il problema della criminalità organizzata non è più esclusivamente italiano” – queste le parole di Nino Di Matteo in occasione dell’evento in suo onore tenutosi mercoledì 3 Maggio 2017 presso il King’s College of London. Nonostante la sua assenza dovuta a motivi di sicurezza confliggenti con le norme britanniche, il pubblico internazionale si è mostrato interessato al fatto che il fenomeno mafioso non sia più ormai solo ristretto dentro i confini nazionali. La serata, promossa dall’Italian Society in collaborazione con Al Jazeera e Cinema Italia UK, è stata incentrata sul docufilm A Very Sicilian Justice, cinquanta minuti intensi che ripercorrono le ragioni per cui Di Matteo è oggi il magistrato più temuto d’Italia.
Toby Follett, producer, ha confessato ad Antimafia Duemila la fatica impiegata nella sua realizzazione: “Era il 1997 quando nacque l’idea di un primo film, poi non realizzato, su un magistrato sotto scorta. Avevo visto il film 'La Scorta' che mi ha ispirato e avevo anche intervistato il magistrato Pier Luigi Vigna, anche lui sotto scorta. Fu solo qualche anno fa che, incontrando Brizio Montinaro (fratello di Antonio, l’agente di scorta ucciso nella strage di Capaci, ndr), fui convinto a cimentarmi in questa impresa. Ottenere la fiducia e l’accesso a lavorare a stretto contatto con Di Matteo non fu facile: rimasi circa otto ore nel corridoio del Palazzo di Giustizia prima di poter parlare con lui. Insomma, la sua scorta è pari a quella di un Capo di Stato ed è proprio questo uno dei motivi per cui le autorità britanniche 48 ore fa gli hanno negato il permesso ad una protezione armata in territorio UK. Qui semplicemente non capiscono”. D’altro canto, il regista Paul Sapin ha parlato di una democrazia sotto attacco a livello globale che lentamente erode i diritti umani, di uno Stato che abbandona i suoi migliori servitori e dei mass media che ne dipingono un quadro errato.
Dopo un video messaggio della narratrice Premio Oscar Helen Mirren, il dibattito seguito alla proiezione è stato moderato dalla giornalista Barbara Serra. Allo stesso hanno partecipato la docente in Criminologia all’Università dell’Essex Anna Sergi ed il cofondatore e direttore di Global Witness Simon Taylor.
“In Italia abbiamo questa tendenza a idolatrare chi svolge bene il proprio lavoro, facendolo diventare un eroe. Un atteggiamento che ci distanzia e ci porta a lasciare sole persone come Nino Di Matteo. È vero, come egli stesso afferma nel documentario, che troppo peso e troppa responsabilità stanno sempre sulle spalle di pochi. Quel che all’estero è difficile comprendere è la differenza che esiste fra la mafia come organizzazione e la mafia come metodo; una distinzione che Paesi come gli USA o l’UK non sono ancora educati a cogliere: il che li colpevolizza poi nella concreta lotta al fenomeno mafioso. L’omertà, quel che qui chiameremmo mind your business, è elemento caratterizzante il metodo mafioso che in Italia accomuna le svariate organizzazioni criminali” – così un’appassionata Anna Sergi ha risposto alle domande del pubblico. “Dal mio punto di vista, in Sicilia c’è ancora questa irrefrenabile voglia della società civile di fare antimafia concretamente, quella forza che ti sale dalle viscere. Qualcosa che non posso dire della mia Calabria o della Campania, per esempio. Esistono anche in quelle regioni, senza dubbio, realtà nobili e che vanno avanti, ma a fatica. Manca l’educazione, la cultura… mancano i fondi per lottare contro il crimine organizzato, e senza fondi dove andiamo? Quel che resta da capire è: la mafia è davvero cambiata? E come? Ricordiamoci che è un fenomeno che cambia sempre per non cambiare mai. In Calabria ci sono voluti 25 anni e la morte del giudice Scopelliti prima che si potesse trattare ampiamente di ‘ndrangheta”.
Una prospettiva che tiene conto dei diritti umani violati è arrivata da Taylor: “Trovo scioccante il modo in cui si chiude questo docufilm. Un Presidente della Repubblica che parla attraverso un portavoce dicendosi solidale a qualsiasi magistrato minacciato, un Presidente del Consiglio che rifiuta categoricamente qualsiasi intervista al riguardo. Tutto ciò significa: va bene fare indagini sulla mafia, va bene quando si tratta dei suoi reati più comuni, come il traffico di stupefacenti e l’estorsione; ma va fermato il pubblico ministero quando le indagini coinvolgono i poteri forti. In quel caso no: non indagate sulla mafia”.
Nino Di Matteo non è lasciato solo dalla gente comune: si percepisce dalle domande dei giovani curiosi, dal fervore delle risposte dagli adulti, da una polemica scoppiata in aula quando si leggono le ragioni della negazione della scorta armata in UK. Un ragazzo arrivato da Modena proprio per l’evento ha chiesto come sia possibile che in Italia a stento se ne parli, mentre a Londra venga addirittura organizzata una serata in suo onore. E la risposta, forse, arriva proprio dal documentario: quando in ballo ci sono poteri forti, quel che si rischia è un rovesciamento dell’ordine socio-politico che metterebbe in discussione gli ultimi decenni della storia d’Italia. Come lo stesso Di Matteo puntualizzò in precedenza: “Cosa Nostra ha sempre avuto nel suo DNA la ricerca esasperata del dialogo con le istituzioni” e per combatterla bisogna “imporsi lucidità e compostezza”, qualsiasi mestiere si svolga: che sia il magistrato o il politico.
VIDEO Docufilm "A Very Sicilian Justice"
VIDEO La diretta andata in onda al King's College London Italian Society