di Lorenzo Baldo - Video
Ingroia: “Chiediamo alla Procura di Roma di andare fino in fondo perché la verità spesso è nascosta dietro le quinte”
Forza e determinazione, ma anche dolore e tanta dignità. L’immagine di Angela Manca, ospite della trasmissione televisiva di Rai2 “I fatti vostri”, restituisce uno dopo l’altro questi sentimenti. Angelina risponde sicura alle domande di Giancarlo Magalli. Prima ancora di addentrarsi nel mistero della morte del proprio figlio, e di accennare alla petizione popolare contro l’archiviazione delle indagini su questo caso, questa donna indomita riaccende i riflettori su una vicenda altrettanto inquietante. Che fine ha fatto quel rapporto dei Carabinieri del Ros, del 2005, nel quale veniva indicata la possibile presenza del capo di Cosa Nostra Bernardo Provenzano nel convento di Sant’Antonino a Barcellona Pozzo di Gotto? Di questa ibrida vicenda se ne trova traccia nell’esposto depositato nel 2015 alla Procura di Roma dai legali della famiglia Manca Fabio Repici e Antonio Ingroia (quest’ultimo, intervistato ugualmente durante la trasmissione di Magalli, ha lanciato un forte appello: “Noi chiediamo alla Procura di Roma di non arrendersi, di andare fino in fondo, perché la verità spesso è nascosta dietro le quinte ed è lì che bisogna andare a cercarla”).
Due anni fa i due avvocati avevano appunto chiesto al Procuratore Giuseppe Pignatone di approfondire, tra l’altro, l’attività del Ros relativa al convento dei frati minori per “verificare la possibilità che l’allora latitante Bernardo Provenzano abbia potuto frequentare il territorio barcellonese e abbia potuto in qualche modo entrare in contatto con Attilio Manca”. Dal canto suo l’avv. Repici aveva successivamente chiarito i punti salienti dell’intera vicenda. “Quel convento – aveva sottolineato – era frequentato da un frate dalle parentele più che inquietanti. Si tratta di frate Salvatore Massimo Ferro. Suo padre, Antonio Ferro, fu capomandamento di Cosa Nostra a Canicattì. Suo nonno, Calogero Ferro, a sua volta era già stato il capomandamento di Cosa Nostra a Canicattì. Suo zio, Salvatore Ferro, fu presente il 31 ottobre 1995 al summit organizzato da Provenzano a Mezzojuso”. Proprio quel summit mafioso sul quale negli anni a venire sono stati fatti processi in merito alla mancata cattura del capo di Cosa Nostra, con tanto di assoluzioni in primo e secondo grado del generale Mario Mori e del colonnello Mauro Obinu; assoluzioni che, però, hanno lasciato dietro di loro tante ombre relative a determinate condotte del Ros. Nella sua lunga ricostruzione Fabio Repici aveva spiegato che i fratelli di frate Salvatore Massimo Ferro, Calogero, Gioacchino e Roberto Ferro, erano stati tutti arrestati per mafia. “La famiglia Ferro di Canicattì è in assoluto il gruppo da sempre più fedele a Bernardo Provenzano – aveva evidenziato il legale dei Manca –. Vero è che l’intervento centrale del primo reparto del Ros, a scavalco di iniziative in corso da parte del Ros di Messina, si verificò, nel 2005, al riguardo della possibile presenza di Provenzano all’interno di quel convento. Dalla Dda di Messina appresi che il Ros centrale di Roma non aveva voluto trasmettere copia degli atti richiesti”. Troppo compromettenti? Certo è che di quel rapporto del Ros si sono perse le tracce.
Di contraltare ad un documento che scompare nel nulla, c’è però un decreto di archiviazione ormai pubblico. Che si riferisce alla querela sporta dal frate Salvatore Massimo Ferro nei confronti dello stesso Repici e del direttore di Radio Radicale, Massimo Bordin (per aver trasmesso una conferenza nella quale il legale dei Manca parlava tra l’altro del mistero del convento di Sant’Antonio da Padova). In quel documento del 2013 il Gip di Barcellona Pozzo di Gotto, Anna Adamo, era stata alquanto circostanziata nel confermare l’attività del Ros, da maggio a luglio 2005, volta a verificare la presenza di Provenzano in quel monastero. “Detta attività – aveva sottolineato il Gip – era consistita essenzialmente nello svolgimento di servizi di osservazione ed in operazioni di intercettazione telefonica disposte in via urgente dalla Dda di Palermo relativamente a talune utenze e segnatamente: una riconducibile al Convento di Santa Maria degli Angeli di Messina (dove verosimilmente si trovava il frate Salvatore Massimo Ferro a quell’epoca), una intestata al convento di Sant’Antonio da Padova di Barcellona P.G., ed una intestata a Ferro Salvatore Massimo”. Dopo aver confermato le parentele mafiose di frate Ferro, il Gip concludeva ritenendo “molto verosimile che la ricerca del Provenzano in quel convento (ed in altri, ubicati nei paesi limitrofi) fosse da collegare proprio alla presenza del frate Salvatore Massimo Ferro in quel luogo (e/o in uno dei conventi predetti)”. Veniva quindi disposta l’archiviazione in quanto Repici e Bordin “non avevano fatto altro che riportare delle notizie relative a fatti corrispondenti alla realtà”. Peccato che su questi “fatti corrispondenti alla realtà” ci sia ancora un sistema di potere capace di imporre il silenzio. Quel silenzio che oggi è stato vinto dal coraggio di una madre.
VIDEO L'intervento integrale di Angela Manca a "I fatti vostri"
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