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borsellino s c giorgio barbagallo eff 2014di Sandra Rizza
Salvatore Borsellino, la Corte d’assise di Caltanissetta ha stabilito per la prima volta che Vincenzo Scarantino fu “indotto” a mentire, rilanciando la pista del depistaggio istituzionale. È soddisfatto della sentenza del processo quater?
Sì, sono soddisfatto. Da questo processo mi aspettavo chiarezza su due punti fondamentali: la matrice istituzionale del depistaggio e la sparizione dell’agenda rossa. Sull’agenda rossa, purtroppo, la verità appare ancora lontana. Ma sulle responsabilità istituzionali che per 25 anni hanno deviato le indagini su via D’Amelio è stato fatto un grosso passo avanti. Oggi è chiaro che qualcuno ha manipolato il teste fasullo al centro della prima indagine. E questo qualcuno non può che essere la Polizia di Stato.

Il suo avvocato Fabio Repici ha dichiarato che la Corte d’Assise presieduta da Antonio Balsamo “ha restituito dignità alla giustizia” puntando il dito sui depistatori di Stato. Lei che ne pensa?
Sono d’accordo. Va detto, infatti, che questo passo verso la verità del depistaggio di Stato non si deve ai pm, che sul punto non sono andati abbastanza in fondo, ma al rigore della Corte d’assise. Per tutta la durata del processo ho temuto che le mie aspettative finissero deluse, perché sembrava che la Procura nissena avesse come unico obiettivo quello di ottenere la condanna di Scarantino, descritto come un soggetto criminale capace di costruire autonomamente quel copione di bugie che per 25 anni ha sviato le indagini. Proprio su questo punto, nell’ultima udienza, c’è stato uno scontro diretto, durissimo, tra il procuratore Amedeo Bertone e il mio difensore di parte civile, Fabio Repici, che in aula ha chiesto l’assoluzione di Scarantino, sottolineandone il ruolo di vittima dello Stato deviato. Il fatto che la Corte alla fine abbia concesso l’attenuante dell’articolo 114, riconoscendo che il picciotto della Guadagna fu “determinato”, spinto, costretto a mentire, è molto importante. Ci ha dato ragione su tutta la linea.

Negli ultimi mesi, lei aveva deciso di disertare le udienze del Borsellino quater per protesta nei confronti di quello che le era apparso come una sorta di “minimalismo” processuale. Oggi che la Corte d’Assise invita i pm a riaprire tutti gli interrogativi sul ruolo di Arnaldo La Barbera e dei poliziotti che gestirono la collaborazione di Scarantino, si sente riconciliato con la giustizia?
Oggi sono contento di aver seguito il consiglio del mio avvocato, e quindi di non aver abbandonato del tutto il processo, ritirando la mia costituzione di parte civile. La battaglia condotta in aula da Repici ha contribuito in modo determinante al risultato: senza il suo impegno e quello del difensore di Scarantino forse la Corte di Caltanissetta non sarebbe giunta a questa sentenza. Ma dire che mi sento riconciliato con la giustizia è eccessivo: sono tuttora critico rispetto alla Procura nissena. Sono convinto che i pm abbiano seguito un percorso investigativo poco rigoroso nei confronti di certe condotte istituzionali e di quello Stato deviato che sicuramente è responsabile di questa strage. Via D’Amelio, più che una strage di mafia, si può definire una strage di Stato. Sono convinto che mandanti e depistatori facciano parte dello stesso sistema criminale. Fino a quando non saranno individuati non potrò sentirmi riconciliato.

Secondo lei cosa succederà adesso? I pm ricominceranno daccapo? Troveranno nei verbali di udienza le prove delle condotte che “determinarono” Scarantino a fingersi pentito?
Questo non posso dirlo. La giustizia farà ulteriori passi avanti solo se i pm seguiranno fino in fondo le indicazioni della Corte d’assise che, sanzionando l’incompletezza delle indagini svolte, ha trasmesso alla Procura le carte del dibattimento per approfondire le amnesie, le reticenze, le inesattezze dei numerosi testi istituzionali spesso in aperta contraddizione tra loro.

Sui giornali di ieri, la sentenza del quater è passata inosservata. Il silenzio stampa è dovuto all’ora tarda della lettura del dispositivo, all’indifferenza, oppure alla volontà di silenziare il coinvolgimento di pezzi dello Stato nello stragismo?
Sono rimasto allibito e amareggiato per la scarsa attenzione dei media. L’ora tarda non c’entra: la sentenza di Caltanissetta è così importante che la chiusura dei giornali poteva e doveva essere ritardata. Invece la notizia è stata ignorata oppure relegata alle edizioni locali: questo è un bruttissimo segnale. La strage di via D’Amelio, e il depistaggio che l’ha coperta, non riguardano solo Palermo o la Sicilia. Rappresentano ancora un passaggio cruciale nella storia del nostro Paese.

Tratto da:Il Fatto Quotidiano

Foto © Giorgio Barbagallo

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