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fava manca 600Il commento del vicepresidente della commissione di inchiesta dopo la sentenza di Viterbo
di Lorenzo Baldo
“Il caso Manca non è chiuso. Se mai, la chiusura riguarda solamente il procedimento penale per spaccio di stupefacenti relativo all’unica imputata poi condannata: una vicenda collaterale alla morte di Attilio Manca. Ma l’ipotesi che non sia un suicidio, bensì un’overdose procurata e quindi un omicidio, resta aperta”. Il commento del vicepresidente della Commissione antimafia, Claudio Fava, dopo la sentenza Mileti per la morte di Attilio Manca, riannoda un filo teso nel 2015. All’indomani delle audizioni in Commissione antimafia dei magistrati di Viterbo, Alberto Pazienti e Renzo Petroselli (all’epoca titolari delle indagini sulla morte del medico siciliano), l’on. Fava aveva parlato di un’inchiesta “gestita con eccessiva sufficienza” e di “pregiudizio negativo addirittura nei confronti della vittima” in quanto “di fronte ad ogni evidenza, l’atteggiamento di questi magistrati è stato quello di spazzare via il beneficio del dubbio” davanti a circostanze sulle quali “chiunque si sarebbe fermato un attimo a ragionare”. E in merito all’ombra di Bernardo Provenzano dietro la misteriosa morte di questo giovane urologo, il parlamentare era stato alquanto circostanziato: “Attilio Manca non è morto per un’overdose accidentale. E’ un omicidio organizzato con pignola attenzione anche nei dettagli. Credo che Manca si sia trovato coinvolto, consapevolmente o inconsapevolmente, in una vicenda che ha riguardato l’operazione e le cure post operatorie prestate a Provenzano per il tumore alla prostata, e che per questa ragione sia stato ucciso”. A distanza di due anni Fava osserva con cauto ottimismo il fascicolo aperto alla Procura di Roma per omicidio. Poi torna a evidenziare come l’indagine della Procura di Viterbo sia stata “fumosa, frettolosa e anche un po’ superficiale nel considerare e rilevare dubbi per poi determinare alcune certezze”; una critica simile viene rivolta ugualmente alla polizia giudiziaria della cittadina laziale per il lavoro svolto “nelle primissime indagini”. In merito a quella sorta di “pregiudizio nei confronti della vittima” da parte dei magistrati viterbesi l’on. Fava intende porre la sua attenzione. “Penso che ci sia stato un pregiudizio complessivo – ribadisce con convinzione –, nato dall’idea che si trattasse di un’overdose procurata accidentalmente; in questo modo tutti gli elementi di dubbio, gli indizi, i sospetti e le contraddizioni con le coincidenze dovevano essere derubricati a favore di questa unica verità giudiziaria e processuale”. Il vicepresidente dell’Antimafia rimarca quindi quella che definisce la “superficialità” e la “frettolosità investigativa” degli inquirenti viterbesi, puntando il dito contro la famigerata autopsia “fatta male”, e sul successivo esame integrativo a dir poco “insolito”.
Ma quali saranno le prossime mosse di questa commissione di inchiesta bicamerale? “La Commissione antimafia farà tutto quanto è nelle sue possibilità”, risponde di getto. “Abbiamo posto in essere le valutazioni del caso con le relative considerazioni – specifica Fava –. Le conclusioni (tra virgolette) a cui siamo arrivati confluiranno poi in un capitolo della relazione finale”. Nel frattempo la Commissione antimafia “può continuare ad approfondire il caso. Questo significa pretendere di conoscere tutti i passaggi indiziari, ascoltare tutte le parti interessate, anche istituzionali, senza però sostituirsi all’autorità giudiziaria. Certo è che su questa vicenda la nostra attenzione continua ad esserci. Un’attenzione che si focalizzerà sul fascicolo aperto alla Procura della Repubblica di Roma, con una serie di valutazioni di impianto meno giudiziario e più di ordine politico di cui ci occuperemo nella nostra relazione”. Per il vicepresidente della Commissione antimafia la possibilità che il caso Manca sia un tassello all’interno della trattativa Stato-mafia è plausibilmente “un’ipotesi”, ma “essere tassativi su una supposizione come questa mi sembra pericoloso”. Ad ogni modo “il contesto della provincia di Messina, le frequentazioni che Bernardo Provenzano ha avuto a Barcellona Pozzo di Gotto, i reticoli che tengono insieme personaggi di Cosa Nostra e quelli ‘collaterali’ ma molto interni all’organizzazione criminale, rende plausibile ogni ipotesi”.
L’ultima riflessione riguarda l’enigma della morte di Attilio Manca quale paradigma dei misteri italiani. “E’ evidente che ci sono dei convitati di pietra sui quali probabilmente non si è abbastanza investigato – replica Fava –. Si è ritenuto che tutto potesse essere ben decifrato nel conflitto simmetrico tra Stato e mafia, ma probabilmente ci sono state delle interferenze, come quelle che abbiamo scoperto nel processo sulla strage di via D’Amelio, il depistaggio Scarantino ed altri…”. La riflessione su quali possano essere state queste “interferenze” resta sospesa nell’aria, per lasciare spazio a un ultimo richiamo ad andare avanti. “Penso che bisogna continuare a cercare sempre la verità – conclude Fava –, continuare comunque a fare tutto quello che è nelle nostre possibilità e nelle nostre competenze”. I prossimi mesi saranno decisivi per dimostrare fino a che punto questo impegno è stato portato a termine.

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