Nella requisitoria del magistrato la pista mafiosa e l’ombra dei Servizi sono solo “ipotesi fantasiose”
di Lorenzo Baldo
Sconcerto, disillusione, e poi ancora dolore. Tanto. Sono questi i sentimenti di Gino e Angelina Manca dopo aver letto su alcuni siti qualche stralcio della requisitoria del pm Paolo Auriemma al processo per la strana morte del loro figlio. Il procedimento penale nei confronti di Monica Mileti è alle battute finali. Tra due settimane è prevista la sentenza. Per il procuratore di Viterbo non ci sono dubbi: Attilio Manca è morto per overdose, nessun omicidio, quindi. Per l’unica imputata la pena richiesta è di 4 anni e mezzo e 35mila euro di multa, con l’aggravante della cessione continuativa. Tanto vale la vita di un uomo. Fine del film. E Provenzano, i Servizi, la rete di protezione istituzionale che Attilio Manca avrebbe riconosciuto? “Ipotesi fantasiose” puntualizza Auriemma. Le impronte di Ugo Manca ritrovate nel bagno di Attilio? Ininfluenti ai fini investigativi. Per il pm la prova che il cugino non c’entri nulla con la morte del giovane urologo si ricava dal fatto che dai tabulati non risulta la sua presenza a Viterbo nelle ore in cui Attilio Manca moriva. Poco importa evidentemente alla Procura di Viterbo che in questo mistero che avvolge la morte del giovane medico siciliano ci siano tabulati telefonici che spariscono nonostante vi siano telefonate bene impresse nella memoria dei genitori. Il telefonino di Ugo Manca poteva essere nelle mani di qualcun altro che appositamente compiva telefonate nella provincia messinese per lasciare traccia della sua presenza in loco? Evidentemente si tratta ugualmente di “ipotesi fantasiose”. Dai primi stralci pubblicati relativi alla requisitoria pare che il pm dimentichi la condanna in primo grado di Ugo Manca per droga al processo Mare Nostrum (successivamente assolto in appello con sentenza definitiva), limitandosi a citare la condanna di quest’ultimo del ‘94 (pena sospesa) per detenzione di arma. Stupisce il fatto che tutti gli ex amici, che improvvisamente accusano Attilio Manca di essere un tossico “anomalo”, siano definiti dal pm “professionisti incensurati senza alcun interesse a mentire”. Tra questi irreprensibili testimoni c’è anche Lelio Coppolino, attualmente sotto processo per falsa testimonianza nel processo per l’omicidio di Beppe Alfano. Lo stesso Coppolino assieme a Salvatore Fugazzotto, Lorenzo Mondello e Andrea Pirri erano quegli amici indagati a Viterbo (assieme ad Ugo Manca e al pregiudicato Angelo Porcino) per la morte di Attilio Manca (l’indagine era stata successivamente archiviata nel 2013). Certo è che quando venne a deporre la madre di Attilio Manca il procuratore Auriemma mandò a sostituirlo una viceprocuratrice onoraria che liquidò la teste con una sola domanda. E in quella occasione nessuno parlò di “ipotesi fantasiose” della difesa della famiglia Manca, per altro già estromessa dal processo con una motivazione paradossale. Per il procuratore di Viterbo l’analisi del capello è un’altra delle prove granitiche della tossicodipendenza del giovane urologo. Nessun cenno però ai buchi neri che sovrastano l’iter di questo esame. Vale la pena allora addentrarsi in queste zone d’ombra. Una volta per tutte.
L’epopea giudiziaria
E’ il 3 febbraio 2014, il gup di Viterbo Franca Marinelli rinvia a giudizio la cinquantenne romana Monica Mileti per spaccio di stupefacenti. La donna è l’unica imputata per la morte del giovane medico. Per il pm Renzo Petroselli è lei ad aver ceduto a Manca la dose di eroina che lo ha ucciso la notte tra l’11 e il 12 febbraio 2004.
Il dato di fatto è che per l’unica indagata la procura di Viterbo chiede il proscioglimento dal reato di omicidio colposo per cessione di droga, già prescritto dal 2011. Lo stesso Gup sancisce la prescrizione del reato di omicidio colposo, sottolineando invece che lo “spaccio di sostanze stupefacenti” – l’altro reato per la quale la donna è sotto processo – non aveva determinato danni alla famiglia del congiunto deceduto. Un obbrobrio che si commenta da solo. Ma soprattutto una profonda ingiustizia perpetrata nei confronti della famiglia Manca che si è vista così esclusa dal processo.
Antefatto
Ad agosto del 2013 il Gip Salvatore Fanti aveva messo una pietra tombale sull’ipotesi della pista mafiosa legata a determinati ambienti di Barcellona Pozzo di Gotto. Con il suo decreto di archiviazione uscivano quindi di scena (per il momento) cinque indagati per la morte del giovane urologo: il cugino di Attilio, Ugo Manca, l’imprenditore Angelo Porcino (arrestato nel 2011 nell’ambito dell’operazione “Gotha” con l’accusa di far parte a pieno titolo della famiglia mafiosa dei “Barcellonesi”, nel 2015 è stato condannato in I° grado a 11 anni per associazione mafiosa) e i compaesani Lorenzo Mondello, Salvatore Fugazzotto e Andrea Pirri.
Prosciogliete la Mileti!
A un certo punto la difesa dell’unica imputata arriva ad avanzare la richiesta di proscioglimento della propria assistita in base al capo di imputazione ritenuto “generico” in quanto formulato prima del rinnovo normativo in materia di stupefacenti e, in particolare, prima che fosse introdotta la distinzione tra spaccio grave o lieve. L’istanza dei legali della Mileti viene però rigettata dal Gup.
Udienze kafkiane
In un clima a dir poco surreale le udienze al processo Mileti si trascinano stancamente ignorate completamente dai media nazionali. “Noi non possiamo difenderci nel processo - scrive Angelina Manca -, ma almeno che l'opinione pubblica sia a conoscenza di quello che sta avvenendo in quell'aula di tribunale”. Per comprendere meglio l’esito di questo processo kafkiano vale la pena di rimettere assieme le sintesi di alcune udienze.
La deposizione di una madre
E’ il 4 novembre 2016, il pubblico ministero – magistrato onorario che sostituisce il pm – chiede unicamente ad Angelina Manca se conosce Monica Mileti. E questo nonostante fosse del tutto assodato che tra le due donne non vi fosse alcun rapporto di conoscenza. Dal canto suo la signora Manca ripercorre sinteticamente - a mo’ di dichiarazioni spontanee - la vita di Attilio e le sue frequentazioni. Angelina sottolinea nuovamente come avesse sentito parlare della Mileti soltanto dieci giorni dopo la morte del figlio da Salvatore Fugazzotto, ex compagno di scuola di suo figlio.
I periti
Nessuna violenza sul cadavere di Attilio Manca. E’ solo una morte per droga. Ecco la tesi tranciante della dottoressa Dalila Ranalletta, all’epoca consulente della Procura di Viterbo che si occupò dell’autopsia della salma del giovane urologo barcellonese, e del tossicologo forense dell’Università di Siena, Fabio Centini. Certo è che proprio in merito a quella autopsia si susseguono giudizi pesantissimi da parte della Commissione parlamentare antimafia.
Telefoni e tabulati
In un’altra udienza si torna a parlare di tabulati telefonici e di contatti tra Attilio Manca e Monica Mileti, questa volta a parlare è l’ispettore di Polizia Maurizio Galati. Peccato che lo stesso Galati non approfondisca invece i frenetici contatti (dopo la morte del giovane urologo) tra il cugino di Attilio, Ugo Manca, e l’architetto Guido Ginebri, già amico di Monica Mileti, colui che materialmente la presenta al dott. Manca.
L’architetto
Attilio Manca? “Ricordo diverse occasioni in cui siamo usciti per comprare una dose insieme”. E ancora: “ho visto Attilio iniettarsi più volte eroina”. La deposizione dell’architetto Guido Ginebri non lascia spazio all’immaginazione: Attilio sarebbe stato un tossicodipendente in grado di controllare il suo vizio. Una teoria già smentita da tutti i colleghi di Attilio. Testimonianze, queste ultime, evidentemente del tutto marginali per la Procura di Viterbo.
Gli ex amici ed un ex capo della Mobile (già condannato)
“Con Attilio ho fatto uso di eroina negli anni ’80. Andavamo a comprare la droga in piazza e, in Sicilia”. E ancora: “Sul finire del liceo ho iniziato a fare uso di marijuana con un gruppo di amici, tra cui Attilio. Abbiamo fumato fino ai 21 anni, per poi provare l’eroina che sniffavamo o ci iniettavamo in vena”. Attilio Manca? “Era in servizio nei giorni in cui Provenzano veniva operato in Francia”. Ecco tre testimonianze on the road: due ex amici, Lelio Coppolino e Salvatore Fugazzotto, ed un ex capo della Squadra Mobile di Viterbo, Salvatore Gava (già condannato a 3 anni per un falso verbale alla scuola Diaz durante il G8 di Genova). E se a smentire le dichiarazioni di Coppolino e Fugazzotto bastano le testimonianze dei colleghi di Attilio, per sconfessare quelle di Gava serve solamente riprendere il registro delle presenze all’ospedale Belcolle che attesta il contrario.
Il grande assente
In questo processo va evidenziato quello che a tutti gli effetti è stato un convitato di pietra: Ugo Manca. Che non è mai stato chiamato a testimoniare. La presenza delle sue impronte ritrovate nel bagno dell’appartamento di Attilio? Per i magistrati di Viterbo sarebbe del tutto insignificante. Ma gli interrogativi su un suo possibile ruolo nella morte del dottor Manca sono tutt’altro che sciolti. Secondo il pentito Giuseppe Campo, Ugo Manca sarebbe addirittura tra i killer che avrebbero eliminato un testimone scomodo. E su questo, così come sulle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Carmelo D’Amico, sarà la Dda di Roma a investigare. Per non parlare del pentito Stefano Lo Verso, così come dell’ex boss dei Casalesi Giuseppe Setola che, dopo una prima collaborazione, ha preferito ritrattare. Il fascicolo aperto contro ignoti è l’ultima speranza alla quale si è aggrappata la famiglia Manca. “Omicidio” è la dicitura che spicca in alto. Un importantissimo passo in avanti. Arrivare alla verità sul caso Manca è ormai una questione di dignità istituzionale. Che non può attendere oltre.
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