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dia siciliadi Aaron Pettinari
Torna la strategia dell'inabissamento

Lo scorso semestre si era parlato di un “clima instabile” dentro Cosa nostra. Stavolta la Dia, nella sua relazione relativa al periodo gennaio-giugno 2016, mette in evidenza un acutizzarsi dell'insofferenza verso il potere esercitato dalla frangia corleonese di Cosa nostra, in passato garanzia di massima coesione verticistica e la cui autorità, sebbene spesso criticata, finora non era mai stata messa apertamente in discussione”.
Non è sereno, dunque, l'ambiente all'interno delle famiglie siciliane e le tensioni sono “connesse alla pressante esigenza di risolvere le questioni del rinnovamento degli organi decisionali e di comando. Le indagini e le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia hanno permesso di tratteggiare la fotografia di “un’organizzazione multipolare, con più centri di comando ed uno scenario eterogeneo, in cui si rilevano sconfinamenti, indebite ingerenze, interconnessioni operative, candidature autoreferenziali e, sempre più, la tendenza di famiglie e mandamenti a riservarsi maggiori spazi di autonomia”. Uno schema che ha persino portato ad una rimodulazione dei mandamenti (complessivamente 15, di cui 8 in città e 7 in provincia) e delle famiglie (80, di cui 32 in città e 48 in provincia). Gli investigatori ricordano poi che “le cosche delle province di Agrigento e Trapani, in via generale, mantengono peculiarità omogenee rispetto a quelle del capoluogo di regione, con le quali condividono struttura, interessi, strategie e criticità”. In particolare “le consorterie trapanesi sembrano aver aumentato la propria influenza nel palermitano e, in genere, nella complessiva governance dell’organizzazione criminale. Infatti, nella provincia di Trapani, Cosa nostra presenta connotazioni di maggiore coesione e impermeabilità e, più che altrove, sembra conservare un modello organizzativo compatto, retto dalla leadership del noto latitante (Matteo Messina Denaro), nonché una forte capacità di condizionamento ambientale”.

Il fenomeno dell'inabissamento
In questa “nuova” mafia la Dia evidenzia anche il fenomeno dell'inabissamento “che non è da intendersi come depotenziamento, quanto piuttosto una, seppur forzata, scelta strategica di sopravvivenza finalizzata a sottrarsi alla pressione dello Stato, gestendo in maniera silente gli affari interni ed esterni”. Una strategia, quella della sommersione, che in passato ebbe tra i suoi più acuti artefici un boss come Bernardo Provenzano, basata sui rapporti con la politica e l'imprenditoria e focalizzata unicamente agli affari. Oggi, scrive la Dia, vi è una “propensione dell’organizzazione ad infiltrare settori strategici dell’economia siciliana”. Parlando di alcune confische operate nel settore dell'edilizia, gli analisti della Dia evidenziano “una nuova espressione manageriale mafiosa” che “tende ad alimentarsi e a diffondersi sul territorio potendo contare su imprenditori e professionisti compiacenti, gli uni interessati ad abbattere i costi di produzione e a recuperare margini di competitività, anche fuori Regione, gli altri ad acquisire maggiori provvigioni e a lucrare, ad esempio, sulle compagnie di assicurazione. Si tratta di un malcostume sommerso, intriso di familismo e di diffuse politiche clientelari, in cui la corruzione diventa uno strumento necessario per condizionare la vita amministrativa e consentire a cosa nostra di raggiungere più efficacemente i propri scopi, accaparrandosi, con imprese schermate da interposizioni fittizie, gli appalti pubblici di maggiore interesse”.

Corsa di “successione al potere”
Nel documento della Dia, c'è anche un'analisi dei profili evolutivi di Cosa nostra. Secondo gli investigatori “sembrerebbe prossima ad una svolta nel processo di revisione interna e protesa all’individuazione di una leadership alternativa a quella storica corleonese, ora in declino anche per ragioni anagrafiche e di salute dei rappresentanti più autorevoli. Sembrerebbe, infatti, ormai incombente la 'successione al potere', passaggio prodromico all’adozione di scelte determinanti per la futura governance dell’organizzazione”. In questo senso si “paventa il rischio che le famiglie più forti finiscano per imporsi su quelle più deboli, sia sottomettendole, sia - cosa più probabile - annettendole alla propria sfera d’influenza”.

A Trapani la leadership è Messina Denaro
Analizzando provincia per provincia, la Dia, entra poi nello specifico. Per quanto riguarda la provincia di Trapani si evidenzia come attorno a Messina Denaro “gli affiliati - gran parte dei quali in età matura e provenienti dal mondo agro-pastorale - avrebbero maturato un forte senso di appartenenza, sostenuto anche da legami con ambienti della società civile, della borghesia, dell’imprenditoria e della politica locale”. Oltre a confermare lo “stato di pacificazione e di cooperazione” tra le famiglie trapanesi si mette in risalto la “capacità di intessere 'relazioni esterne'” grazie a cui “l’associazione riesce ad esprimere un’elevata capacità di mimetizzazione, perseverando nell’opera di inquinamento dell’economia locale”.

Sguardo su Agrigento, Caltanisetta e Catania
Anche in questo territorio Cosa nostra appare strutturata in modo unitario, in contatto diretto con altri gruppi mafiosi. In particolare viene evidenziato come “il confine con la provincia trapanese e la saldatura tra componenti agrigentine e soggetti collegati al noto latitante di Castelvetrano concorrono a rendere fluida la governance di vertice e una parte degli assetti territoriali. Dalle attività investigative concluse nel corso del semestre emerge, infatti, come nella provincia - soprattutto centrale e occidentale - si stia registrando un riordino degli equilibri interni”.
Per quanto riguarda la provincia nissena, invece, si mette in risalto la storica convivenza tra Cosa nostra e Stidda. In questo particolare momento storico, poi, è sempre più evidente un rapporto di contiguità e di collaborazione “anche tra famiglie da tempo antagoniste, quali quelle dei Rinzivillo e degli Emmanuello. In tal senso, è da interpretare anche la perdurante scelta strategica delle consorterie di limitare, tra loro, il ricorso ad esternazioni conflittuali violente, pur riscontrandosi, nella provincia, numerose segnalazioni per violazioni in materia di armi”. “Il territorio gelese - scrive ancora la Dia - resta, nel periodo in esame, l’unico dove si continuano a registrare episodi violenti, come dimostrano i tentati omicidi, collegabili agli ambienti mafiosi, verificatisi ai danni di due pregiudicati: il primo perpetrato in pieno centro storico e l’altro avvenuto nel Comune di Riesi (CL)”. Nulla è cambiato per quanto concerne l'architettura dei sistemi criminali della provincia etnea con gli schieramenti di sempre, di fatto confermati. Da un lato Cosa nostra (sul capoluogo e provincia), rappresentata dalle famiglie Santapaola e Mazzei ed i La Rocca (su Caltagirone); dall’altro i clan, fortemente organizzati, Cappello-Bonaccorsi e Laudani.

L'ascesa dei “Barcellonesi” Per quanto riguarda la Provincia di Messina, un'area in cui convivono da sempre gli interessi di Cosa nostra palermitana e catanese e quelli della 'Ndrangheta, si evidenzia la forza del gruppo dei “Barcellonesi” individuato come il “più operativo, strutturato e con un’organizzazione improntata sul modello di cosa nostra palermitana”. Secondo la Dia nell'area messinese vi è “un generalizzato clima di fibrillazione” che “continua a caratterizzare i gruppi criminali messinesi, a volte protagonisti di esternazioni violente verso i componenti delle stesse consorterie. Nel periodo in esame va segnalato un evento di rilievo che ha riguardato il Presidente dell’Ente Parco dei Nebrodi, sottoscrittore di un Protocollo di legalità con la locale Prefettura, teso ad estendere i controlli preventivi antimafia anche al settore agro-pastorale”.

Tensioni su Enna. Non su Siracusa e Ragusa
Alcune tensioni tra i clan si registrano nell'ennese “con i clan locali che cercano di affermare un loro ruolo di autonomia e, dall’altro, dalle organizzazioni delle provincie limitrofe, ben più forti e strutturate, che vedono nell’ennese un’area su cui espandersi”. Per quanto concerne la Provincia di Siracusa i gruppi principali sono i Bottaro-Attanasio ed i Nardo-Aparo-Triglia, a loro volta legati, rispettivamente, al clan Cappello e a cosa nostra etnea, in particolare alla famiglia Santapaola, “da cui traggono sostegno e legittimazione”. La provincia di Ragusa si caratterizza “per la contemporanea presenza sul territorio di sodalizi riconducibili alla stidda gelese - la cui influenza si estende agli abitati di Vittoria, Comiso, Acate e Scicli - e di famiglie appartenenti a cosa nostra, legate agli Emmanuello di Caltanissetta”.

Longa manus
La relazione evidenzia anche la disinvoltura con cui Cosa nostra si muove anche nei contesti “globalizzati” e “virtuali”. In particolar modo fuori dalle zone di origine “l’organizzazione mantiene tendenzialmente un basso profilo, mirando ad integrarsi nella comunità di riferimento. Alla stregua di un qualsiasi competitor economico, agisce, infatti, nell’intento di massimizzare i profitti, obiettivo rispetto al quale diventa assolutamente necessario stabilire relazioni compiacenti con gli apparati amministrativi, burocratici e imprenditoriali di un determinato territorio”. In tal senso si sottolinea la capacità dell'organizzazione nell'operare “dietro le quinte per manovrare manager, colletti bianchi e professionisti al servizio di logiche affaristico-mafiose”. “Le evidenze info-investigative raccolte nel semestre - aggiunge la Dia - confermano, infatti, che nel centro-nord, come all’estero, i diversi gruppi criminali siciliani convivono ed interagiscono, ripartendosi i settori d’intervento ed i traffici maggiormente redditizi, primo fra tutti quello della droga”.

Affari tradizionali
Parlando degli affari e degli interessi della mafia siciliana la Dia spiega come questa si sia “specializzata nel controllo e nella fornitura di beni e servizi di varia natura, adottando una 'strategia di mercato' selettiva, tendenzialmente mirata a soddisfare le puntuali esigenze del mercato criminale”. Fondamentale per il mantenimento dell'organizzazione criminale resta comunque presente il racket delle estorsioni, sia nella provincia di Palermo che nel capoluogo: “Emblematica - dicono gli inquirenti - l'operazione Maqueda grazie alla quale sono state ricostruite le condotte illecite di un gruppo criminale, capeggiato da tre fratelli, che esercitava il controllo dello storico quartiere Ballarò nei confronti di commercianti extracomunitari (soprattutto appartenenti alla comunità del Bangladesh), vittime non solo di estorsioni, rapine ed atti di ritorsione di ogni genere, ma anche di angherie e soprusi”. "In stretta connessione con il fenomeno estorsivo - aggiunge la Dia - continua a porsi il settore dei prestiti ad usura, anch'esso importante mezzo di finanziamento illecito e indice del volume dell'economia sommersa gestita dalla criminalità organizzata. Tra tutti, il mercato degli stupefacenti, il cui epicentro regionale può essere stabilito nella provincia di Palermo, dove viene gestito direttamente da sodali o personaggi contigui all'organizzazione mafiosa, continua a rappresentare un canale privilegiato di reinvestimento e moltiplicatore di capitali illecitamente accumulati. In tale settore Cosa nostra opera, insieme a 'Ndrangheta e camorra, in un sistema criminale integrato, in cui ciascuna organizzazione mantiene saldo e inalterato lo stretto legame con il proprio territorio”. La Dia individua anche quelle che possono essere le sfere di interesse della mafia capace di sfruttare “anche situazioni emergenziali, determinate da disfunzioni di sistema, come nel caso della gestione del ciclo dei rifiuti, in alcuni casi creandone ad arte i presupposti di necessità ed urgenza”. “Questo modus operandi - avvertono gli analisti - potrebbe potenzialmente essere esportato nel settore dell’assistenza sanitaria, dell’accoglienza dei profughi, dello sfruttamento delle risorse energetiche, delle cooperative, nonché del risanamento idrogeologico e della costruzione di opere infrastrutturali”.

La trasformazione della mafia grazie a 'professionisti contigui'
Nella relazione semestrale viene affrontato anche il problema della trasformazione della mafia. Essere "uomo di mafia", oggi, è qualcosa di più evanescente e più complesso e, proprio per questo, più difficile da scoprire. Anche perché accanto al 'mafioso stricto sensu', "espressione genetica della consorteria", si colloca "tutta quella sfera di soggetti estranei alla compagine criminale, il cui operato diventa però funzionale, se non addirittura necessario, alla sopravvivenza e al rafforzamento dell'organizzazione mafiosa". Il problema, evidenzia la Dia, è che il disvalore dei comportamenti di questi ultimi, i cosiddetti 'colletti bianchi', non è immediatamente percepibile; al contrario, in molti casi sembrano comportamenti "fisiologici in una società complessa": ma aver capito questo "processo in atto di emancipazione dallo stereotipo del mafioso tradizionale" ha consentito di mettere a punto i primi strumenti di contrasto. Quello che ora chiede la Dia è di "valorizzare e rendere sempre più efficaci strumenti normativi che consentano di combattere le organizzazioni criminali su una frontiera, quella dei 'professionisti contigui' dell'economia, dell'imprenditoria, della politica e della pubblica amministrazione che, 'ammantandosi di mafiosità', sembrano aver raccolto il testimone per traghettare le mafie tradizionali verso un nuovo modo di essere mafie".

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