di Francesca Mondin
Il pm: su Mezzojuso e covo di Riina c'è qualcosa che non mi convince
Ergastolo e due anni di isolamento diurno. E' questa la richiesta avanzata dalla Procura di Catania alla Corte d'assise nei confronti di Vincenzo Santapaola, Giuseppe Madonia, Maurizio Zuccaro e Benedetto Cocimano per l'omicidio del confidente Luigi Ilardo assassinato il 10 maggio del 1996. “Un omicidio che potrebbe essere annoverato sicuramente tra i misteri d'Italia - ha detto il pm Pasquale Pacifico due giorni fa nella requisitoria - perchè è l'omicidio della persona che portò, il 31 ottobre del 1995, lo Stato e le Istituzioni ad un passo dalla cattura di Bernardo Provenzano, all'epoca latitante numero uno”. Il blitz però come è noto non scattò, Ilardo fu ucciso dopo qualche mese e Provenzano rimase latitante fino all'aprile 2006.
Il magistrato in aula ha delinato la “spaccatura totale tra due aree” che, negli anni immediatamente successivi alle stragi, Cosa nostra viveva. Una frangia “più vicina alla strategia stragista di Riina, rappresentata da Leoluca Bagarella e da Giovanni Brusca e che aveva nelle province i suoi esponenti” e l'altra frangia “direttamente riconducibile a Bernardo Provenzano” dove “si colloca la figura di Ilardo” e del cugino “Madonia Giuseppe, uno degli odierni imputati”.
Luigi Ilardo era il confidente del colonnello Michele Riccio, e "fin dall'inizio svolse una vera e propria attività di infiltrato all'interno di Cosa nostra”. Secondo l'accusa, Cosa nostra scoprì che aveva l'intenzione di collaborare con la giustizia, usando il nome in codice 'Oriente', e lo ammazzò pochi giorni prima che formalizzasse la sua decisione.
Il pm Pacifico ha sottolienato più volte che c'era “una certa fretta nel commettere questo delitto”. A dirlo è anche il pentito Giovanni Brusca che quando capisce che c'è una taglia sulla testa di Ilardo "informa Provenzano" ma non fa a tempo a ricevere la risposta del boss che Ilardo viene eliminato. Brusca quindi arriva alla conclusione che c'è "stato uno spiffero", una "fuga di notizie" che avrebbe provocato un'accelerazione all'esecuzione del delitto. Ci sono anche le dichiarazioni del pentito catanese Santo La Causa che fanno capire come ad certo punto "c'è stata una corsa" per l'uccisione di Ilardo. La Causa, infatti, che aveva partecipato anche ai sopralluoghi per organizzare l'omicidio, improvvisamente viene "bypassato".
Secondo la ricostruzione dell'accusa il colonnello Riccio vede per l'ultima volta Ilardo il 10 maggio e il 13 maggio il confidente sarebbe andato a Roma per ufficializzare, il giorno seguente, la scelta. “Per commettere questo omicidio, si aveva un lasso di tempo strettissimo che era quello che andava dal dieci al tredici maggio perché una volta che il Ilardo fosse andato a Roma e fosse entrato sotto il sistema di protezione è ovvio che questo omicidio non si poteva commettere più” ha detto il pm ipotizzando che la fretta di eliminare il confidente fosse motivata dalla conoscenza dei fatti e quindi “presuppone che qualcuno avesse appreso che Ilardo stava per saltare il fosso”.
L'incontro “surreale” del 2 maggio 1996
Già il 2 maggio 1996 Luigi Ilardo aveva avuto un'incontro con gli allora vertici della Procura di Caltanissetta e Palermo, durato diverse ore che il pm ha definito “surreale e sconcertante” poiché “non vi è nessuna traccia scritta, nessun verbale o annotazione di servizio, abbiamo appreso esservi stati solo degli appunti smarriti dalla dottoressa Principato nel corso di un trasloco”. E' il colonnello Michele Riccio a raccontare di quell'interrogatorio avvenuto di fronte a Giancarlo Caselli e Teresa Principato per la Procura di Palermo e Giovanni Tinebra per quella di Caltanissetta. Il colonnello racconta delle perplessità di Ilardo nei confronti della procura di Caltanisetta, e della volontà di collaborare con la procura di Palermo manifestate anche durante l'incontro con il gesto eclatante di rivolgere la sedia solo in direzione di Caselli. “Perplessità – spiega il pm - che Riccio dice essere giustificate dal fatto che Ilardo gli aveva parlato di rapporti che Madonia poteva vantare con ambienti giudiziari di Caltanissetta”.
“Quello che accade dopo l'interrogatorio è ancora più emblematico -ha continuato il magistrato - perché Riccio si trova di fronte a due indicazioni discordanti: l'autorità giudiziaria di Palermo dice di iniziare a registrare i colloqui mentre l'autorità giudiziaria di Caltanissetta dice che non è necessario”.
La mancata cattura a Mezzojuso e il covo di Riina, due occasioni perse?
Sulla mancata cattura di Provenzano il pm ha deciso di soffermarsi per evidenziare alcuni dati e considerazioni che, “per poter comprendere la materia estremamente delicata che stiamo affrontando,- ha spiegato il magistrato - non possono essere pretermessi nella valutazione di ciascuno”.
“Non sta a questo processo capire il perchè lo Stato non ha eseguito la cattura - ha specificato il pm - ma che quell'incontro tra Provenzano e Ilardo a Mezzojuso a Palermo sia realmente avvenuto è scritto nella sentenza di primo e secondo grado del processo Mori”. “I giudici dicono che effettivamente si era nelle condizioni per giungere all'arresto di Provenzano ma si scelse di non intervenire – ha ricordato Pacifico ai giudici - Fu compiuta una scelta operativa sbagliata ma non vi era la prova che fosse una pratica dolosa finalizzata in qualche modo a favorire la latitanza del Provenzano stesso”. A riguardo il pm ha fatto quindi un collegamento con la motivazione di un'altra sentenza, quella sulla mancata perquisizione del covo di Totò Riina sempre da parte del Ros. “Guarda caso anche all'epoca si disse che la scelta di non perquisire il covo e di fare quel controllo a distanza, che poi non fu fatto perché ci furono delle incomprensioni, fu una scelta operativa sicuramente sbagliata”. Due occasioni mancate nel giro di poco più di tre anni che lasciano non pochi interrogativi, su cui il pm ha sollevato una considerazione: “Mi chiedo, o quella che era la più importante struttura investigativa italiana era composta da perfetti imbecilli che sbagliano due scelte operative così importanti, o c'è qualcos'altro che non mi convince”. Ed ha aggiunto: “E dico poco dato che mi convince ancor meno il fatto che tutta quella linea direttiva di ufficiali transita nei servizi”.
Infine tra i misteri che ruotano attorno all'omicidio di Luigi Ilardo c'è la confidenza di Eugenio Sturiale, “soggetto di estrema fiducia della famiglia Santapaola” poi divenuto collaboratore di giustizia che quella sera rientrando a casa vede il gruppo di fuoco di Maurizio Zuccaro. Di questo Sturiale ne aveva parlato a Mario Ravidà della Dia già nel gennaio 2001, quando ancora era solo un confidente. Da quella nota di servizio però non partì mai nessuna indagine.
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