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5Il vicepresidente della Commisione Antimafia spiega la modernizzazione della mafia
di Francesca Mondin - Foto e Video integrale all'interno!
“Oggi le organizzazioni criminali di stampo mafioso sono un pezzo del panorama economico, sociale ed anche in parte amministrativo ed istituzionale che hanno costruito un rapporto di utilità, convenienza e reciprocità” ha spiegato Claudio Fava, vicepresidente della Commissione parlamentare Antimafia intervenuto oggi al convegno “Condannati all'impunità” organizzato dalle associazioni Themis & Metis, costantemente impegnata nella lotta alla corruzione, ed Aiga Roma, la sezione capitolina dell’Associazione Italiana Giovani Avvocati e tenutosi quest'oggi presso la Suprema Corte di Cassazone di Roma. Per questo è importante “capire come le responsabilità sono strutturali, stratificate ed hanno a che fare con il sistema costruito in questi 15-20 anni”. “Le Procure non ci raccontano storie di omertà o vittime e carnefici ma ci parlano di un sistema moderno di convivenza” ha detto Fava che con la Commissione Antimafia ha incontrato e ascoltato diversi soggetti in prima fila nella lotta alla criminalità organizzata. Una mafia che non lavora più sulla paura ma che a tutti gli effetti “è diventata un partner economico che ha a disposizione fondi per investimenti corposi”. Esemplari sono i dati forniti dal caporedattore di AntimafiaDuemila Aaron Pettinari, che dopo un breve excursus sugli scandali e ruberie che sottraggono ben il “20 % della ricchezza nazionale”, ha sottolineato la forza economica della mafia che porta “fatturati da 150 miliardi di euro annui”. Numeri che fanno ben comprendere il potere di comprare e corrompere della criminalità organizzata.
E’ evidente che per la mafia “costruire un rapporto dialettico con un pezzo di tessuto politico è un investimento - ha spiegato il vicepresidente della Commisione antimafia - perchè la legittima creando un rapporto di convenienza nel territorio”. Ed è all'interno di questa analisi che Fava inserisce la latitanza di Matteo Messina Denaro, boss innafferrabile, protetto da oltre 20 anni, che “ha capito che si costruisce consenso non facendo la guerra frontale allo Stato ma costruendo benessere, provando a creare un welfare di benessere mafioso, investendo”.



Un ruolo non indifferente in questo sistema di interessi, secondo il figlio del giornalista ucciso dalla mafia Pippo Fava, è rivestito anche dalle logge massoniche che “rappresentano un luogo dove si possono costruire momenti di compensazione clandestina e privata dentro la quale si saldano interessi e impunità che riguardano l'intero apparato della Repubblica: capi mafia, ufficiali giudiziari, polizia giudiziaria, magistrati, politici, amministratori, imprenditori”. "Non sarà un caso che nella storia di Castelvetrano troviamo alcune logge segrete  di cui nessuno è a conoscienza".
Se la mafia negli anni si è modernizata all’opposto lo Stato, ha detto Claudio Fava, è rimasto con “strumenti che andavano bene quando i mafiosi investivano nell’agrumeto e nella villa” ma che di fronte alle nuove dinamiche mafiose d’investimento “deve sequestrare pezzi del panorama economico riuscendo però contemporaneamente a garantire che ciò non diventi un furto sul piano sociale”. Di fronte a “più di 100 aziende che sono state lasciate morire e deperire” dopo il sequestro, appare notevole “il fallimento - dello Stato - in questo”.
“Il punto non è scaricare sulla norma penale una questione che è di impianto culturale e sociale di convenienza” ha concluso Fava. Piuttosto si tratta di “spostare l’accento dal tema della legalità al tema della responsabilità che non lascia fuori nessuno”.
Una presa di responsabilità di cui, come ha ricordato Aaron Pettinari, parlavano i magistrati Borsellino e Falcone quando erano in vita. La responsabilità di raccontare i fatti accaduti e cercare la verità “di molti misteri in Italia” come ad esempio “l’agenda rossa - ha sottolineato Pettinari - tutti noi abbiamo visto foto con uomini delle Istituzioni con in mano la borsa di Paolo Borsellino ma nessuno di questi soggetti hanno saputo spiegare i fatti”.
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“Possiamo parlare di norme e di lotta corruzione, ma come possiamo capire oggi determinati fenomeni se ancora non c'è chiarezza su quanto accaduto quasi 25 anni fa? - si è chiesta infatti la deputata del M5s Giulia Sarti, componente della Commissione antimafia - Ci sono processi che in questo Paese non vengono raccontati abbastanza” ha detto, riferendosi al quarto dibattimento prossimo alla conclusione sulla strage di via d'Amelio: “Abbiamo visto magistrati che, invece di ascoltare le conclusioni dell'avvocato di parte civile alzarsi per non tornare più, come se ascoltare il legale di Salvatore Borsellino, fratello del giudice ucciso, fosse cosa di poco conto. Questo ci deve far capire l'attenzione esistente su certi fenomeni” così come “sul processo trattativa Stato-mafia”.
“Si parla poco di mafie economiche, colletti bianchi e finanza criminale” e i magistrati che indagano “vengono perseguitati” ha fatto notare Elio Lannutti, presidente Adusbef. “In questo periodo - ha detto - si vorrebbe imbavagliare la rete perchè la formazione dell'opinione pubblica non passa più attraverso la censura della Rai, abbiamo visto cosa è accaduto al referendum” da lui definito come “un accordo Renzi-Jp Morgan”. “Se fosse passato - ha commentato - lo stato di diritto non ci sarebbe più”.
Se da una parte la stampa e gli organi d'informazione dovrebbero occuparsi di informare e tenere alta l'attenzione su alcune tematiche, dall'altra la politica dovrebbe farsi carico di “una responsabilità istituzionale” ha detto Aaron Pettinari e “laddove le indagini fanno emergere dei comportamenti gravi, deve trarre le proprie conclusioni” perché “va bene il garantismo ma non ci si può nascondere dietro le sentenze” oppure ancora peggio “avviene che le sentenze ci sono e parlano chiaro ma nessuno le approfondisce e ci si dimentica la storia, e senza storia - ha concluso Pettinari - un Paese non può dirsi veramente libero”.

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