37 anni fa l'assassinio per mano di Cosa nostra
di Miriam Cuccu
E' il 6 gennaio 1980. Piersanti Mattarella esce dalla sua abitazione, in via Libertà, per andare a messa. Viaggia a bordo di una Fiat 132 insieme con la moglie, i due figli e la suocera, senza scorta: il presidente della Regione Sicilia la rifiuta nei giorni festivi, desidera che anche gli agenti possano passare del tempo con le loro famiglie. Ma appena si siede alla guida dell'auto si avvicinano i killer, che sparano una serie di colpi. Mattarella muore mezz'ora dopo in ospedale ed è il fratello Sergio - attuale Presidente della Repubblica - ad accorrere per strada appena sentite le detonazioni.
Di lui scrive su L'Ora, tre giorni dopo la morte, il giornalista Marcello Cimino: "Era per lui come un debito che voleva pagare ad una tradizione dalla quale poi non traeva alcun vantaggio diretto. Anzi. Dalla tradizione clientelare, paternalistica e ministeriale del partito democristiano, quale andò crescendo in Sicilia dopo il 1948 sempre più abbarbicato al potere, Piersanti Mattarella si tenne sempre discosto...". La vita di Piersanti Mattarella, spezzata 37 anni fa dal braccio armato di Cosa nostra, è quella di un uomo che si era reso pienamente e drammaticamente conto che la propria sorte era strettamente intrecciata all'evoluzione dei rapporti di forza tra politica e mafia, e al peso che all'interno del suo partito avevano quegli uomini che, è lui stesso a dirlo, "non facevano onore al partito stesso" e che "bisognava eliminare per fare pulizia". Indicato all'interno della Democrazia cristiana come possibile leader nazionale del partito, Mattarella più volte rappresenta la propria insofferenza per le infiltrazioni mafiose all'interno del partito siciliano. E la sua morte segna la conclusione di quel momento di rinnovazione politica ed amministrativa con le numerose riforme da lui portate avanti per moralizzare la pubblica amministrazione e la gestione degli appalti.
Mattarella, la cui fama di uomo dritto e rigoroso lo precedeva, nel 1979 alla Conferenza regionale dell’agricoltura tenuta a Villa Igea si dichiara fermamente contro la mafia e il malaffare. E Pio La Torre, deputato presente in qualità di responsabile nazionale dell'ufficio agrario del Partito Comunista Italiano (poi divenuto segretario regionale dello stesso partito e assassinato il 30 aprile 1982) punta il dito contro l'Assessorato dell'agricoltura, con la denuncia di rappresentare il crocevia della corruzione siciliana, e accusa il suo assessore, Giuseppe Aleppo, di essere colluso con la delinquenza della regione. Mattarella, da parte sua, non prende le difese di Aleppo ma riconosce l'esigenza di legalità nella gestione dei contributi agricoli regionali. In seguito continua a denunciare le irregolarità, facendo pulizia tanto nel suo partito quanto nel consiglio regionale. Accogliendo la richiesta del Partito comunista, prende inoltre la decisione di controllare le innumerevoli pratiche per concessione dei finanziamenti dell'assessore ai lavori pubblici Rosario Cardillo, che a conclusione dell'inchiesta si dimette: si accerta, infatti, che sborsava miliardi sempre a stessi soggetti e imprese, a volte anche sospettati di essere vicini a Cosa nostra.
Lunga e complessa è stata la vicenda giudiziaria legata all'omicidio Mattarella, terminata senza fare mai piena luce sul suo assassinio. Come mandanti vengono condannati all'ergastolo i boss di Cosa Nostra Totò Riina e Michele Greco insieme ad altri esponenti della cupola: Bernardo Provenzano, Bernardo Brusca, Pippo Calò, Francesco Madonia e Antonino Geraci. L'inchiesta, però, non è riuscita a identificare i killer nè i presunti mandanti esterni. La vedova aveva riconosciuto in una fotografia l'estremista di destra Giusva Fioravanti come sicario, ma diversi collaboratori di giustizia smentirono che Fioravanti fosse stato coinvolto nel delitto e infine il suo nome uscì dal processo.
Tra i tanti misteri che ruotano ancora attorno all’assassinio dell’esponente Dc anche la corresponsabilità dell’ex presidente del Consiglio Giulio Andreotti per quella morte. Nella sentenza di Appello a carico dello stesso Andreotti (confermata dalla Cassazione nel 2004) è infatti scritto che quest'ultimo era consapevole dell'insofferenza di Cosa Nostra nei confronti della linea adottata da Mattarella, tuttavia non avvertì né l'interessato, né la magistratura, nonostante avesse partecipato ad almeno due incontri con boss mafiosi di prim'ordine nei quali si parlò della politica di Piersanti Mattarella e della sua eliminazione. Si legge nella sentenza che Andreotti “era certamente e nettamente contrario” all’omicidio tanto da incontrare in Sicilia il boss Stefano Bontade, allora capo di Cosa Nostra, per una trattativa che evitasse l’uccisione di Mattarella. Dalla sentenza si apprende ancora che dopo l’omicidio del presidente della Regione “Andreotti non si è limitato a prendere atto, sgomento, che le sue autorevoli indicazioni erano state inaspettatamente disattese dai mafiosi ed a allontanarsi senz’altro dagli stessi, ma è sceso in Sicilia per chiedere conto al Bontade della scelta di sopprimere il presidente della Regione”.
Piersanti Mattarella, uomo di rigore e larghe vedute
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