Questo sito utilizza cookie tecnici e di terze parti per migliorare la navigazione degli utenti e per raccogliere informazioni sull’uso del sito stesso. Per i dettagli o per disattivare i cookie consulta la nostra cookie policy. Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina o cliccando qualunque link del sito acconsenti all’uso dei cookie.

ciancimino brusca mancinoPer i pm dal Gup “sottovalutazione di fatti significativi”
di Aaron Pettinari
Nel ricorso in appello presentato contro la sentenza di assoluzione di Calogero Mannino, al processo in abbreviato sulla trattativa Stato-mafia, i pm hanno passato in rassegna diverse criticità che erano presenti nelle motivazioni del giudice di primo grado.
Secondo i magistrati il Gup Marina Petruzzella non è stato in grado di dimostrare "mediante un percorso motivazionale logico, consequenziale e coerente, per quali ragioni l’imputato sia stato assolto dalla imputazione ascrittagli”. Inoltre ritengono che “la grave sottovalutazione di taluni (numerosi) fatti significativi, la totale assenza di valutazione di altri fatti, la lettura e la valutazione armonica di tutti questi elementi di prova, avrebbero imposto una conclusione diversa del presente processo”.

Le dichiarazioni di Brusca
Riprendendo la parte in cui si valutano le dichiarazioni del collaboratore di giustizia Giovanni Brusca, di cui il giudice sottolinea la progressione nel corso degli anni, i pm sottolineano che questa "può valere al più per i riferimenti a Mancino e Dell’Utri (fatti dopo il 2001), ma non certo per le questioni della trattativa con i Carabinieri e del ‘papello’, di cui Brusca ha parlato praticamente da subito (fin dai suoi verbali del 96/97), costringendo Mori e De Donno alle prime e parziali ammissioni su questo tema (tema che, prima di Brusca, i predetti non avevano mai rivelato, né in dichiarazioni, né in relazioni di servizio o atti documentali)”.
Per quanto riguarda le “ammissioni dello stesso Brusca circa talune ricostruzioni dei fatti narrati, che gli sarebbero state suggerite dalla lettura di notizie di stampa o dall’ascolto di dirette radiofoniche delle deposizioni altrui”, secondo i pm una tale considerazione “appare del tutto fuorviante", in quanto il collaboratore "non ha mai fornito come notizie a sua conoscenza quelle che egli apprendeva dagli organi di stampa o da altre fonti esterne, ma si è semplicemente (e correttamente) limitato a dire che tali notizie esterne, apprese da varie fonti nel corso degli anni della sua collaborazione, gli avevano offerto le chiavi di lettura per comprendere le vere ragioni del determinarsi di certi fatti e di alcuni episodi, che già egli aveva raccontato e dei quali, però, al momento delle dichiarazioni, non aveva compreso a fondo i motivi e le dinamiche realmente sottesi”.
I pm hanno contestato “l’inevitabile condizionamento mentale" del pentito Giovanni Brusca che, a dire del giudice, avrebbe subito a causa di un “eccesso di interrogatori” e di un “martellamento, sempre sugli stessi episodi". "Scompare - dicono i pm - qualsiasi accenno alla valutazione della credibilità e della attendibilità intrinseca ed estrinseca del dichiarante, che viene sostituita con una analisi psicologica del soggetto".

La demolizione di Ciancimino
Anche su Massimo Ciancimino, secondo i pm, vi sono "conclusioni valutative fortemente lacunose". “In sostanza - aggiungono - il giudice ha ritenuto di dovere eliminare dal raggio delle prove concretamente utilizzabili tutte intere le dichiarazioni di Massimo Ciancimino”. Eppure i pm nella requisitoria avevano spiegato in maniera scrupolosa le ragioni per cui “talune delle dichiarazioni, pur problematiche, di Ciancimino andassero valorizzate e potessero utilmente essere annoverate tra le fonti di prova valide ai fini della decisione”.
In particolare i magistrati rappresentano l’esistenza, in sentenza, “di due marchiani errori indotti proprio dalla assoluta carenza di analisi dei documenti e delle innumerevoli annotazioni della Polizia scientifica, che hanno prodotto una grave sottovalutazione dell’importanza del documento denominato ‘papello’ del quale il Giudice ha inopinatamente decretato la falsità”.
“Il primo dei rilevati errori - scrivono ancora - riguarda l’affermazione, più volte ripetuta, secondo la quale sarebbe fonte di sospetto della autenticità del predetto documento, la circostanza che Massimo Ciancimino, dopo tante esitazioni e dopo aver tenuto sulla corda i pubblici ministeri, si sarebbe deciso a consegnarlo ‘solo in fotocopia’. E’ del tutto evidente – anche al di là delle copiose (e riscontrate) dichiarazioni di Massimo Ciancimino sulle modalità utilizzate dal padre per scongiurare il rischio di lasciare impronte su documenti particolarmente rilevanti (modalità che comportavano appunto la fotocopiatura frequente degli originali) – che, se l’originale ‘papello’ fu scritto dai sodali di Riina e consegnato dal Dr. Cinà a Vito Ciancimino, affinché questi lo recapitasse ai Carabinieri (Mori e De Donno) con i quali era in corso la trattativa, esso deve essere stato consegnato in originale (che quindi, con tutta evidenza, non sarebbe potuto essere nella disponibilità di Ciancimino), mentre, per testimoniare il proprio ruolo o per altri fini, Vito Ciancimino ha fotocopiato il ‘papello e su tale fotocopia è risultato apposto il ‘post-it’ ove, di proprio pugno, lo stesso aveva scritto ‘consegnato al Col. Mori’”.

Quale "grossolana manipolazione"?
“Il secondo errore - aggiungono - forse ancora più rilevante, è costituito dalla espressione, invero quasi sprezzante, con la quale il giudice ha marchiato il papello come frutto di una 'grossolana manipolazione'. Come si è già detto, non esiste agli atti alcun elemento che giustifichi tale convincimento. Anche l'accertamento scientifico, del tutto trascurato nella valutazione della sentenza, sul punto è lapidario". I magistrati evidenziano come il giudice si esprimi in maniera "troncante" senza poi spiegarne il fondamento. Inoltre non si spende in sentenza neanche una parola sugli esiti degli accertamenti della Scientifica sul papello. Chiedono quindi i pm: "Come è possibile esprimere questo giudizio senza porsi problematicamente la necessità di conciliarlo con il fatto che almeno altri tre soggetti (Brusca, Cancemi e Pino Lipari) hanno parlato, in epoche diverse ed anche prima di Massimo Ciancimino, del papello preparato da Riina? Come è possibile affermare che sarebbe ‘senza giustificazione plausibile’ il fatto che il papello è stato fornito in fotocopia quando è la stessa logica dei fatti, come si è detto, che ne spiega il motivo? Ancora, cosa c’entra con questo giudizio di ‘manipolazione’ il fatto che Massimo Ciancimino non abbia mai dichiarato chi avesse redatto il papello, visto che non lo ha saputo dal padre?”. I magistrati criticano anche la valutazione sul contro-papello quando si dice che il punto del “partito del Sud” sarebbe “evidentemente incongruo”, evidenziando come in atti vi siano “migliaia di pagine che spiegano in maniera incontrovertibile il tentativo, in quello stesso periodo storico, di dar vita a una miriade di Leghe meridionali, l’infiltrazione totale di tutte quelle leghe da parte di esponenti apicali di mafia e massoneria, l’interesse certo che Vito Ciancimino ebbe per quelle leghe” con programmi chiari di voler eliminare il 416-bis, ed anche gli interessi diretti di mafiosi come Provenzano, Bagarella, Brusca e Cannella per la nascita di Sicilia Libera.

Le considerazioni su “mafia-appalti”
I pm osservano come “soltanto in poche righe – a differenza delle centinaia di pagine in cui vengono riassunti i contributi di Brusca e Massimo Ciancimino – viene liquidato il tema mafia-appalti e ‘doppia refertazione’, che invece costituisce un elemento essenziale per valutare il rapporto perverso ed illecito che all’epoca si instaurò tra Mannino e i vertici del Ros”. Non solo. “Non viene spesa una sola parola sull’importantissimo documento, acquisito dalla Procura di Palermo presso la Commissione antimafia e poi acquisito anche dal Gup, che ricostruisce in modo inoppugnabile il fatto che doppia refertazione effettivamente vi fu e che quella doppia refertazione consentì al Ros di salvare (anche) Mannino”. “Piuttosto - criticano i magistrati - il Gup ha preferito far riferimento ad un non meglio precisato (né meglio indicato) provvedimento del Gip di Caltanissetta che avrebbe escluso la tesi della doppia refertazione: in quali termini, per quali motivi, in quale anno, in che contesto, con quali parole, con quale contraddittorio, non è tuttavia dato saperlo”.

Le considerazioni su Violante e Mancino
Per quanto concerne le osservazioni del giudice sulla testimonianza di Luciano Violante i pm evidenziano, ancora una volta, come egli abbia reso le stesse diciassette anni dopo i fatti e solo dopo che era diventato di dominio pubblico il fatto che Ciancimino aveva iniziato a parlare. Inoltre denunciano il dato che non si è tenuto conto dell'ammissione di Violante, ovvero che "Mori gli aveva detto che Ciancimino avrebbe dovuto parlargli di un discorso ‘politico’ e che proprio per quel motivo non era stata informata l’Autorità giudiziaria (né prima, né dopo quel contatto)".
I pm attaccano anche la parte dedicata alla reticenza di Nicola Mancino (accusato di falsa testimonianza nel troncone principale). Il giudice la riconduce "a un suo stato d'animo di timore". "Una giustificazione del genere - ribattono i pm - ove condivisa, comporterebbe l'abrogazione di fatto nell'ordinamento giudiziario italiano dei reati di falsa testimonianza e di favoreggiamento, visto che il motivo sotteso a questi reati è sempre la volontà di occultare informazioni per paura di ripercussioni processuali per sé o per altri".
Il gup, nelle motivazioni della sentenza rilevava che “quanto assunto del Pm contro Mancino, e cioè che fosse informato di una spaccatura tra Riina e Provenzano e che quindi fosse coinvolto nella trattativa tra Mori e Cosa nostra, per tramite di Ciancimino, dà per scontata una premessa che però risulta indimostrata, e cioè che l’informazione che Mancino disse di avere fosse esatta”. “Processualmente - diceva - non risulta accertato, né adeguatamente indiziato, una rottura tra Riina e Provenzano o un tradimento di Provenzano verso Riina”. I pm, però, non ci stanno e ricordano che le divergenze tra Riina e Provenzano “sia con riferimento alle alleanze politiche da instaurare dopo l’omicidio Lima, sia soprattutto con riferimento alla linea stragista”, sono oggetto di dichiarazioni di molti collaboratori (Brusca, Sinacori, Giuffré, Malvagna ed anche la testimonianza di Massimo Ciancimino). Chiedono dunque nel ricorso i magistrati: “Come si fa, senza spendere una parola su tutto questo materiale probatorio, a scrivere che la divergenza non sarebbe né ‘accertata’, né ‘indiziata’? Il problema, che il PM ha posto nel corso della requisitoria, è conseguentemente quello di capire come Mancino fosse al corrente di tale spaccatura, prima ancora che i suddetti collaboratori di giustizia ne parlassero”.

Atti sottovalutati o non considerati
Nel documento vengono evidenziate tutte le testimonianze e le prove che vengono sminuite o non considerate. Da quella di Pino Lipari (non vi è “nessun riferimento ai riscontri obiettivi ed agli elementi di novità delle dichiarazioni rispetto a quanto conosciuto fino al 2002. Nessun riferimento alle ragioni della conclusione del tentativo di collaborazione”) a quella della giornalista Sandra Amurri, sulla conversazione da lei ascoltata tra Mannino e l’onorevole Gargani, dalle dichiarazioni di Gaspare Mutolo sulla “dissociazione” e quelle di Giovanni Ciancimino sulle domande che il padre Vito gli rivolse su alcuni istituti giuridici che poi troveranno spazio nel contro-papello.
I pm sottolineano come da parte del giudice vi sia stato un “vero e proprio travisamento probatorio” (nella sentenza si fa riferimento “all’intenzione di Vito Ciancimino di istruirsi”). Giovanni Ciancimino, infatti, nella sua narrazione dei fatti, a quelle domande fatte dal padre “fa precedere tutto il racconto che il padre stesso gli aveva fatto sugli ‘alti esponenti istituzionali’ che lo avevano incaricato di parlare con l''altra parte'. Questa parte, cruciale, è completamente dimenticata in pronuncia”.
Altro aspetto non tenuto in dovuta considerazione è la trattativa Bellini-Gioè. Il Giudice ritiene che Mori "svalutò l’importanza di Bellini, considerandolo non in grado di potere fronteggiare da infiltrato quei mafiosi, i quali avrebbero potuto sospettare di lui e ucciderlo subito…”. Una tale ricostruzione, però, non trova conforto con quanto detto dallo stesso Bellini ma anche dal Maresciallo Tempesta, uomo di fiducia dello stesso Mori. “Entrambi - evidenziano nel ricorso i magistrati - hanno dichiarato che immediatamente Mori manifestò (apparente) interesse per la proposta di Bellini, dicendo che ‘subito’ gli avrebbe mandato ‘Ultimo’. Ogni volta Mori aveva ripetuto questo copione, senza però mai mandare nessuno a parlare con Bellini”. “A dire il vero - continuano - un uomo del Ros – secondo quello che racconta lo stesso Bellini, ma che il Giudice ignora completamente nella motivazione – andrà da Bellini solo nel dicembre 1992, per dirgli di tirarsi fuori da ogni discorso e di farsi da parte, perché in quel momento ‘loro’ avevano in piedi una trattativa molto più importante e autorevole con esponenti di vertice delle Istituzioni”.
Poche righe vengono poi spese per valutare la nota del 6 marzo dell’ex direttore del Dap Nicolò Amato (dove si suggerisce il superamento del 41-bis individuale per sostituirlo con un regime “perenne” e “generalizzato”), la telefonata di Mannino a Di Maggio, oggetto della testimonianza di Cristella, e la nota del Dap “redatta all’indomani dell’avvicendamento dei vertici del dipartimento, in cui la possibilità di mancata proroga dei decreti applicativi del 41-bis (mancata proroga che poi si verificò) viene esplicitamente e testualmente prospettata nei termini di un ‘segnale di distensione’”.
“Al fine di dare compiuta prova delle superiori affermazioni in ordine al modo affrettato con cui il primo giudice ha liquidato le vicende inerenti al ruolo dell’imputato nella stagione precedente e successiva alle stragi del ‘92/93” i pm riportano "per intero le conclusioni adottate dal Pubblico Ministero nel corso della requisitoria finale del giudizio abbreviato, così da consentire al Giudice del gravame di apprezzare per intero le numerose lacune lamentate e di addivenire alla riforma della sentenza impugnata".

ARTICOLI CORRELATI

Processo trattativa: per i pm ''su Mannino sentenza illogica e confusa''

Trattativa: inizia la requisitoria al processo Mannino

Trattativa: atto finale della requisitoria del pm

Processo Trattativa, Teresi: “Per Mannino chiediamo condanna a 9 anni di reclusione”

Processo Trattativa, Pm Tartaglia, “Contatto tra Bellini e Tempesta, il secondo piano di trattativa”

Ciancimino e l'attendibilità "parziale" ma "significativa"

Carta canta

''Non ha commesso il fatto'', Mannino assolto

Processo trattativa, su Mannino ''prove inadeguate''

ANTIMAFIADuemila
Associazione Culturale Falcone e Borsellino
Via Molino I°, 1824 - 63811 Sant'Elpidio a Mare (FM) - P. iva 01734340449
Testata giornalistica iscritta presso il Tribunale di Fermo n.032000 del 15/03/2000
Privacy e Cookie policy

Stock Photos provided by our partner Depositphotos