“Il Gip ordini la formulazione dell’imputazione o indagini suppletive”
di Aaron Pettinari
“Siamo convinti che ci siano elementi per celebrare il processo pertanto ci opporremo alla richiesta di archiviazione”. Così Fabio Repici, avvocato della famiglia Agostino, aveva annunciato l’opposizione alla richiesta di archiviazione delle indagini aperte nei confronti di Nino Madonia, Gaetano Scotto e l’ex poliziotto Giovanni Aiello, soprannominato “faccia da mostro”, accusati del delitto che il 5 agosto portò alla morte il poliziotto Nino Agostino e la moglie, Ida Castelluccio (incinta). Così venerdì scorso il legale ha depositato ufficialmente l’atto in cancelleria chiedendo al Gip di rigettare “la richiesta di archiviazione formulata dal pubblico ministero e ordini allo stesso la formulazione dell’imputazione o l’espletamento di indagini suppletive”.
Secondo Repici “alla luce degli elementi presenti nel fascicolo, il duplice omicidio del poliziotto Antonino Agostino e della moglie Giovanna Ida Castelluccio è nella storia giudiziaria italiana probabilmente il primo per il quale si sia raggiunta prova certa che esso è stato ideato, organizzato, eseguito e, una volta commesso, depistato in cooperazione fra Cosa nostra e apparati deviati dello Stato”. Tenuto conto di ciò ritiene “incongrua la scelta del pubblico ministero di chiedere l’archiviazione”.
Secondo l’avvocato della famiglia Agostino nella richiesta di archiviazione formulata dalla Procura vi sono “vizi logici e strutturali”. Tra questi la “parzialità dell’analisi del materiale indiziario raccolto nel fascicolo del pubblico ministero” in quanto si procede “con l’analisi delle sole dichiarazioni di Vito Lo Forte e di Vito Galatolo, trascurando di prendere in esame le complessive risultanze del fascicolo, ivi comprese fonti indizianti ben significative a carico degli odierni indagati (o di taluno di essi, secondo i casi), come le dichiarazioni rese da Oreste Pagano, Giovanni Brusca, Giovanbattista Ferrante, Francesco Marullo, Baldassarre Ruvolo, Angelo Fontana, Consolato Villani, Antonino Lo Giudice, Giuseppe Maria Di Giacomo e ulteriori risultanze di altro tipo”.
Il secondo “vizio” consisterebbe “nella valutazione cumulativa, generica e indistinta della posizione dei tre indagati”. Nel documento, dunque, viene messa in evidenza la diversificazione delle fonti indiziarie nei confronti degli indagati.
“Si consideri, ad esempio, - scrive Repici - come Oreste Pagano abbia formulato una chiara e precisa chiamata in reità riguardante il solo Gaetano Scotto e in misura meno granitica Antonino Madonia, oppure come Vito Galatolo abbia formulato una chiamata in reità in via primaria in relazione ad Antonino Madonia e secondariamente al Gaetano Scotto, oppure come Consolato Villani e Antonino Lo Giudice hanno formulato una chiamata in reità riguardante il solo Giovanni Aiello”.
Imputazione coatta
Secondo il legale, dunque, da una parte vi sarebbero “i presupposti perché il Gip ordini al pubblico ministero di formulare l’imputazione coatta nei confronti degli indagati Gaetano Scotto e Antonino Madonia” in quanto i due “erano già stati indagati quali responsabili del duplice omicidio Agostino-Castelluccio, in epoca precedente alle dichiarazioni rese a loro carico da Vito Lo Forte, risalenti al 2009”. Non solo. Repici sostiene che “numerose sono le attività d’indagine suppletive che si appalesano doverose alla luce delle risultanze delle indagini già svolte”.
La posizione di Giovanni Aiello
In particolare, a parere dell’avvocato, “merita senz’altro ulteriori investigazioni” la posizione del terzo indagato, Giovanni Aiello. A suo riguardo Repici sottolinea come sia “significativa, ed anche allarmante, al riguardo della posizione di Giovanni Aiello e delle difficoltà dello Stato a investigare nei suoi confronti (e nei confronti di appartenenti o formalmente ex appartenenti ed apparati dello Stato) per delitti commessi in cooperazione con la criminalità organizzata”. Nello specifico viene ricordato l’atto di impulso investigativo della Direzione nazionale antimafia, a firma del sostituto procuratore Gianfranco Donadio (“in assoluto il primo atto ufficiale nel quale un organo giudiziario aveva messo per iscritto nero su bianco il nominativo e i dati anagrafici di Giovanni Aiello in relazione al duplice omicidio Agostino-Castelluccio”) che non fu trovato dalla Procura di Palermo, come riportato da una relazione del febbraio 2009, firmata dai pm Domenico Gozzo ed Antonino Di Matteo.
Agostino “in servizio” nel giorno del fallito attentato all’Addaura
Tra gli atti di indagine suppletiva chiesti dall’avvocato Repici nell’opposizione all’archiviazione vi sono quelli che “concernono il collegamento sussistente fra il duplice omicidio Agostino-Castelluccio e il fallito attentato all’Addaura”.
Anche se da una parte “è pura irragionevolezza, allora, ritenere la sussistenza di un medesimo disegno criminoso fra i due episodi, dato che quando venne commesso il primo del secondo non era ancora possibile nemmeno lontanamente l’immaginazione” dall’altra “è ormai un dato pacificamente acquisito il fatto che il duplice omicidio Agostino-Castelluccio sia collegato al fallito attentato all’Addaura. A dare certificazione di ciò, fu il dottor Giovanni Falcone, per come egli si confido con il dottor Saverio Montalbano in occasione della veglia funebre per la morte del poliziotto e della giovane moglie, sia nella versione ricordata dal dottor Montalbano (“questo omicidio è stato commesso contro di me e contro di te”) sia nella versione ricordata dal sig. Vincenzo Agostino (“io a questo ragazzo devo la vita”)".
In particolare, il legale mette in evidenza un’informativa della Dia del 12 aprile 2016 in cui emerge un dato documentale inedito: “Il Commissariato di Polizia di Stato San Lorenzo, nel quale svolgeva servizio l’agente Agostino, in un periodo sicuramente comprensivo dell’attentato all’Addaura ai danni del dottor Giovanni Falcone e dei suoi ospiti (20 giugno 1989, scoperto il giorno successivo), svolgeva un servizio di vigilanza (non meglio precisato nei termini concreti in cui veniva espletato) presso l’abitazione estiva del magistrato”. Repici sottolinea come tale dato ”sia stato sorprendentemente escluso ancora di recente dall’attuale dirigente dello stesso Commisariato di P. S. San Lorenzo” per cui dall’archivio o è stata sottratta o è stata cancellata ogni risultanza “seppure di quella circostanza risulta insuperabile prova nell’informativa della Squadra mobile di Palermo dell’11 luglio 1989 e negli atti allegati a tale informativa”. Così come risulta il rinvenimento dell’ordigno la mattina del 21 giugno 1989, alle 07.30, proprio ad opera dei poliziotti anche se non sono state trovate documentazioni relative al servizio di vigilanza fra le 19.00 del 20 giugno e le 07.00 del giorno successivo. Ma le sorprese non finiscono qui. È assolutamente inedito che “Antonino Agostino il 20 giugno 1989 (cioé la data nella quale era programmato l’attentato all’Addaura) fu in servizio sulla Voltane 1 San Lorenzo nell’orario fra le 07.00 e le 13.00 e il 21 giugno 1989 (data della scoperta dell’ordigno piazzato sugli scogli dell’Addaura) tra le 00.00 e 07.00. Nel primo caso suo collega di servizio fu l’agente Sebastiano Arcieri; nel secondo, oltre che con Arcieri, Agostino condivise il servizio anche con l’agente Luciano Tirindelli”. “Finora - sottolinea Repici - la versione ufficiale voleva che Agostino fosse stato a riposo in quei giorni”.
Quale fosse stata, però, l’attività svolta da Agostino ed i suoi colleghi in quei giorni non è dato sapere dalle risultanze fin qui acquisite. Resta il dato di fatto che la documentazione relativa ai turni di servizio del Commissariato San Lorenzo “appaia verosimilmente incompleta”, come viene riferito dalla polizia giudiziaria nell’informativa del 12 aprile 2016. E anche per chiarire quanto avvenne che Repici chiede di sentire gli agenti Sebastiano Arcieri e Luciano Tirindelli “perché essi riferiscano con maggiori dettagli possibili le attività svolte durante quei servizi e i luoghi nei quali vennero svolte, se essi transitarono nei pressi dell’Addaura, se essi abbiano mai conosciuto Emanuele Piazza e se abbiano mai saputo di rapporti di quest’ultimo con Antonino Agostino”. Domande a cui dovranno rispondere anche gli agenti Mario Scinetti e Roberto Corradi, i quali furono già individuati come poliziotti in servizio di sorveglianza presso la villa di Giovanni Falcone, ed all’allora dirigente del Comissariato, Saverio Montalbano.
Il legale ricorda poi come sia il collaboratore di giustizia Vito Galatolo che Vito Lo Forte, seppur in qualche particolare con versioni differenti, hanno riferito che Agostino ebbe un ruolo attivo nell’impedire il successo dell’attentato ai danni di Falcone.
Connessione Piazza
Repici evidenzia anche la necessità di un approfondimento dei legami tra l’uccisione di Agostino con quella del collaboratore del Sisde Emanuele Piazza: “Una conferma è arrivata addirittura dal padre di Emanuele Piazza. Infatti, esaminato come testimone innanzi alla Corte di assise di Caltanissetta nel processo denominato ‘Capaci bis’, l’avvocato Giustino Piazza ha affermato che il proprio figlio, quando venne ucciso, stava indagando sulle motivazioni e sulle responsabilità del delitto Agostino”. Contestualmente dunque chiede l’acquisizione del verbale di tale deposizione, ed anche che il padre ed i fratelli di Emanuele Piazza, vengano sentiti dai pm.
Tra le altre attività di indagini suppletive che l’avvocato della famiglia Agostino richiede vi sono le audizioni dei collaboratori di giustizia Calogero Ganci, indicato da Vito Galatolo come uno dei partecipanti alle riunioni abitualmente svolte dai vertici del mandamento mafioso di Resuttana nel domicilio della famiglia Galatolo in Vicolo Pipitone, Giuseppe Marchese, anch’egli indicato tra i frequentatori del covo di Galatolo ed in rapporti con Nino Madonia e Gaetano Scotto e Marco Favaloro.
Repici chiede anche l’acquisizione degli accertamenti tecnici sulle tracce di Dna rilevate nei reperti rinvenuti sulla scogliera dell’Addaura che permisero l’individuazione del Dna di Angelo Galatolo. Proprio quest’ultimo, sull’attentato, avrebbe rilasciato delle confidenze a Vito Lo Forte. Acquisizioni che, sottolinea ancora Repici, “erano state disposte dalla Procura generale al momento dell’avocazione decretata il 7 luglio 2015”.
Approfondimenti su “faccia da mostro”
Nel documento di opposizione Repici ricorda le dichiarazioni di Ignazio D’Antone su Giovanni Aiello. Ascoltato il 20 novembre 2015 ha ribadito come “sia inverosimile che Aiello abbia cessato di operare a Palermo nel 1977, per pensionamento. Ha anche aggiunto che persona certamente ben informata sulla posizione di Giovanni Aiello è il dottor Vincenzo Speranza, che fu responsabile del reparto nel quale formalmente militava Aiello”. Quest’ultimo deve ancora essere sentito dagli inquirenti. Contestualmente il legale chiede di sentire “tutti gli appartenenti alla Squadra mobile di Palermo negli anni intercorrenti fra il 1975 e il 1980 che siano ancora in vita”.
Inoltre si chiede l’acquisizione del verbale di interrogatorio del collaboratore di giustizia calabrese Consolato Villani, del 25 febbraio 2016, ed anche l’audizione del pentito Giuseppe Calabrò. Anche questi, infatti, sarebbe a conoscenza di particolari sulla figura di Giovanni Aiello.
Questione Paolilli
Ancora il legale della famiglia Agostino evidenzia come oggi possa essere sentito come testimone l’ex agente di polizia Guido Paolilli, in passato accusato di favoreggiamento compiuto in relazione all’omicidio Agostino, che ha potuto godere di un decreto di archiviazione per prescrizione.
Quest’ultimo era stato intercettato il 21 febbraio 2008 nella sua casa di Montesilvano (Pe). Mentre in televisione andava in onda un servizio della trasmissione “La Vita in diretta” durante la quale il padre di Nino, Vincenzo Agostino, parlava del biglietto trovato nel portafoglio del figlio - dove era scritto “se mi succede qualcosa guardate nell'armadio di casa” - contemporaneamente il figlio di Paolilli (intercettato) domandava al padre: “Cosa c'era in quell'armadio?”. “Una freca di carte che proprio io ho pigliato e poi ho stracciato”, gli aveva risposto senza mezzi termini. Quali carte? A questa domanda oggi potrebbe dare una risposta importante senza potersi trincerare dietro silenzi. Repici sottolinea che nel filmato di “Servizio Pubblico”, mandato in onda su Rai2 il 24 aprile 2014, Paolilli “rese dichiarazioni molto gravi sia sull’attentato all’Addaura sia, soprattutto, su Giovanni Aiello, indicato espressamente come personaggio contiguo a Cosa Nostra”.
Che vi fossero ulteriori elementi da scandagliare, del resto, era la stessa Procura di Palermo a ribadirlo. Nel documento in cui si chiedeva al Gip l’archiviazione nei confronti di Aiello, Scotto e Madonia, infatti, i pm rivelavano l’esistenza di “una complessa e articolata attività di indagine, in corso di svolgimento nell'ambito di un autonomo procedimento, pendente nella fase delle indagini preliminari” riguardante “al tema delicatissimo del contesto e del possibile movente che può aver determinato l'omicidio di Nino Agostino”.
Di fronte al dolore di una famiglia per una verità che manca da oltre 27 anni si resta basiti ed inermi. La speranza che dai nuovi approfondimenti si possa arrivare, finalmente, ad un processo resta vivo anche perché non può considerarsi civile un Paese in cui resistono segreti su tanti, troppi, delitti di Stato. E quello di Nino Agostino e di sua moglie Ida rientra a pieno titolo in questa categoria.
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