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Ma per i pm “Giovanni Aiello soggetto in contatto (se non, addirittura, intraneo) con Cosa nostra”

“L’attività di indagine svolta in esecuzione dell'ordinanza del gip non ha consentito di acquisire quegli auspicati riscontri individualizzanti in termini di certezza probatoria sufficiente a esercitare proficuamente l'azione penale e, successivamente, a resistere all'eventuale vaglio dibattimentale che si intendesse instaurare nei confronti dei tre indagati”. Con queste motivazioni la Procura di Palermo ha chiesto una nuova archiviazione delle indagini sul delitto che il 5 agosto portò alla morte il poliziotto Nino Agostino e la moglie, Ida Castelluccio (che era incinta). Nel fascicolo d’indagine, condotta dal pm Vittorio Teresi e dai sostituti Roberto Tartaglia, Nino Di Matteo e Francesco Del Bene, erano inseriti Nino Madonia, Gaetano Scotto e l’ex poliziotto Giovanni Aiello, soprannominato “faccia da mostro”. La richiesta di archiviazione segue di pochi giorni l’istanza depositata alla Procura generale dal legale della famiglia Agostino, Fabio Repici, per una nuova avocazione dell’inchiesta ma, è scritto nel documento, non chiude definitivamente le piste investigative sul delitto in quanto, scrivono i pm, “in ordine al tema delicatissimo del contesto e del possibile movente che può aver determinato l'omicidio di Nino Agostino deve sottolinearsi che questo ufficio ha tuttora in corso una complessa e articolata attività di indagine, in corso di svolgimento nell'ambito di un autonomo procedimento, pendente nella fase delle indagini preliminari”. Ciò significa che vi sono ulteriori spiragli per arrivare ad una verità che manca da oltre 27 anni?
Nella richiesta di archiviazione vengono tracciati alcuni binari d’indagine, in particolare sul ruolo avuto da Giovanni Aiello. Per i pm c'è la prova che questi sia “la persona con il volto deturpato che, reiteratamente nel corso degli anni, aveva personalmente partecipato a vere e proprie riunioni mafiose, tenutesi nel luogo - tanto noto quanto strategico - di Fondo Pipitone, nella disponibilità ‘storica’ e diretta della famiglia Galatolo”. Non solo, tenuto conto delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia e delle individuazioni personali e fotografiche svolte dai vari Vito Lo Forte, Vito Galatolo, Giovanna Galatolo, Consolato Villani e Giuseppe Di Giacomo, anche in assenza di “dettagli sui contenuti di tali riunioni, deve anche ritenersi che il calibro e il carisma mafioso dei soggetti che - secondo i predetti collaboratori - vi avrebbero partecipato (tutti i fratelli Madonia; molteplici esponenti della famiglia Galatolo e della famiglia Graziano; esponenti della famiglia Ganci; etc.) costituisca prova insuperabile del contenuto prettamente illecito, e strettamente ‘mafioso’, dei temi affrontati nelle stesse riunioni, sì da poter ritenere Aiello soggetto certamente in contatto qualificato con l’organizzazione mafiosa Cosa nostra (se non, addirittura, a questa intraneo)”. Per Aiello, dunque, viene fatta richiesta di archiviazione dall’accusa di concorso in associazione mafiosa per effetto della prescrizione in quanto proprio i pentiti hanno “limitato temporalmente la loro conoscenza (circa la partecipazione di Aiello alle riunioni) al più alla fine degli anni Ottanta”.

L’apporto dei pentiti
Per quanto riguarda gli altri due indagati, indicati dai pentiti come autori del delitto, i pm richiamano alla precedente richiesta di archiviazione.
Richiesta che venne respinta dal Gip Maria Pino dando indicazione precise sugli approfondimenti da eseguire in particolare rispetto a quanto dichiarato da Vito Lo Forte e Vito Galatolo. Per quanto riguarda Lo Forte, che aveva indicato Scotto e Madonia come esecutori materiali dell’omicidio del poliziotto, a bordo di una motocicletta, e Aiello come soggetto intervenuto ad agevolare la loro fuga, nel nuovo documento della Procura, si evidenzia come la fonte delle sue conoscenze “de relato” sia stata individuata dal collaboratore “in soggetti di volta in volta diversi”. Secondo i pm, dunque, gli approfondimenti svolti non avrebbero consentito “di acquisire quegli auspicati riscontri individualizzanti in termini di certezza probatoria sufficiente ad esercitare proficuamente l’azione penale e, successivamente, a resistere all’eventuale vaglio dibattimentale che si intendesse instaurare nei confronti dei tre indagati”.
Per quanto concerne le dichiarazioni dell’ex boss dell’Acquasanta, Vito Galatolo, i pm ricordano che nel corso dell’incidente probatorio del gennaio 2016 è vero che ha confermato di avere avuto modo di parlare del tema dell’omicidio Agostino con Lo Forte, ma ha anche riferito sull’omicidio “soltanto ricordi tendenzialmente generici”, e che sulle modalità di esecuzione dell’omicidio si è limitato a dichiarare di “non potere escludere” di aver saputo che Gaetano Scotto fosse “immischiato” in questa vicenda, “ed ancora di aver sentito che Nino Madonia fosse considerato ‘sapitore’ in ordine all’omicidio Agostino”.

Il riconoscimento di “Faccia da mostro”
Altro punto delicato, affrontato nella richiesta di archiviazione, è il riconoscimento di “Faccia da mostro” effettuato nel febbraio 2016 da Vincenzo Agostino. Senza esitazione il papà del poliziotto disse che Aiello era l'uomo che un mese prima del delitto gli aveva chiesto notizie del figlio. I pm scrivono che “quanto alla posizione di Aiello, ha avuto certamente un ruolo significativo l’attività di individuazione personale svolta”. Tuttavia “molteplici circostanze impediscono di attribuire a tale atto (il cui esito è stato comunque positivo) quella piena valenza probatoria che sarebbe indispensabile”. Le controindicazioni indicate sono “la decorrenza di un lunghissimo lasso temporale (oltre venticinque anni) dall’epoca dei fatti rispetto all’avvenuta individuazione personale”; la “recente ed ampia divulgazione delle immagini dell’attuale volto di Giovanni Aiello nei mesi precedenti alla individuazione, e ciò sia in ambito giornalistico e mediatico, sia in contesti processuali, dinnanzi a diverse Autorità giudiziarie, nel corso dei quali lo stesso Vincenzo Agostino è stato chiamato a partecipare”; e il dato per cui, nel corso degli anni, sempre il padre dell’agente ha riconosciuto anche altre persone.
Dopo la notifica della richiesta di archiviazione il legale della famiglia Agostino, Fabio Repici, ha già annunciato la volontà di opporsi alla stessa (“Siamo convinti che ci siano elementi per celebrare il processo pertanto ci opporremo alla richiesta di archiviazione”) e si è detto stupito dell’azione svolta dal Procuratore capo di Palermo Francesco Lo Voi: “Rimango stupito della posizione del Procuratore che come primo atto di questo fascicolo firmò il reclamo contro l’avocazione disposta dalla Procura generale. Mi sembrava evidente l’intenzione della Procura generale di esercitare l’azione penale. Il regresso del fascicolo in Procura, chiesto ed ottenuto dal Procuratore Lo Voi, ha invece portato alla odierna richiesta di archiviazione, anch’essa sottoscritta e condivisa dal Procuratore capo”.
In attesa di conoscere la data in cui il Gip deciderà se accogliere o meno la richiesta della Procura non si può che prendere atto dell’esistenza di un ulteriore fascicolo di indagine sull’omicidio. Ciò significa che il caso Agostino è tutt’altro che chiuso. Del resto, in questi anni, sono stati ottenuti importanti elementi di certezza, a cominciare dall’esecuzione del depistaggio avviato sin dalle prime fasi d’indagine del delitto. Un depistaggio che ha avuto come protagonisti soggetti interni alla Polizia. Basta leggere il decreto di archiviazione del Gip Maria Pino nei confronti di Guido Paolilli. In quel decreto veniva infatti dimostrato come “le risultanze istruttorie dimostrano come l'indagato (Guido Paolilli, ndr) abbia contribuito alla negativa alterazione del contesto nel quale erano in corso di svolgimento le investigazioni inerenti all'omicidio di Antonino Agostino e Ida Castelluccio”. Quindi venivano evidenziate le “plurime e gravi anomalie riscontrate in ordine ai tempi, alle modalità ed agli esiti delle perquisizioni effettuate dagli investigatori presso l'abitazione di Altofonte dell'agente Agostino”. La speranza, ancora una volta, è che prima o poi si possa arrivare ad un processo su questo ennesimo “mistero” italiano. Solo così si potrà rispondere all’accorata e legittima richiesta di verità e giustizia che la famiglia Agostino effettua da oltre 27 anni. In assenza di ciò a prevalere sarebbe, ancora una volta, quell’amarissimo sapore di sconfitta che troppo spesso si “mastica” nel nostro Paese.

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