di Aaron Pettinari
Ma sugli interessi della mafia la memoria è corta
“Il ponte sullo stretto? E’ il completamento di un grande progetto di quella che Delrio chiama la Napoli-Palermo... Il Ponte può creare centomila posti di lavoro”. Se non è un déjà vu poco ci manca. E’ con queste parole che il premier Matteo Renzi, intervenuto all’assemblea che celebra i 110 anni del gruppo Salini-Impregilo, torna a parlare dell’infrastruttura più dibattuta d’Italia ricalcando le medesime promesse di illustri predecessori come Silvio Berlusconi, o il ministro delle infrastrutture Altero Matteoli. Non solo. Rivolgendosi proprio al numero uno del Gruppo, Pietro Salini, aggiunge: “Se siete nella condizione di sbloccare le carte e di sistemare quello che è fermo da 10 anni noi ci siamo".
Secondo Renzi la grande opera sarebbe utile “per tornare ad avere una Sicilia più vicina e raggiungibile e per togliere la Calabria dal suo isolamento. La mia - dice ancora - è una sfida in positivo... Quello che chiedo a voi è che, finita la parte delle riforme, si torni a progettare il futuro. Noi siamo pronti”. Non è un caso che il Presidente del Consiglio citi le riforme proprio nei giorni successivi allo stabilimento della data per il referendum costituzionale. Un ulteriore "spot" per cercare di convincere quante più categorie sociali sulla bontà del proprio piano politico. Ma al di là degli inganni che vengono continuamente perpetrati dal “fronte del sì” alla riforma costituzionale anche su questo fronte ci sono degli aspetti che si vuole far finta di non vedere o che si dimenticano.
Non è sicuramente un caso che nel settembre 2014 proprio Pietro Salini, aveva “gentilmente” invitato il governo ad aprire i cantieri per realizzare il Ponte sullo Stretto ricordando che se ciò non dovesse avvenire lo Stato dovrà risarcire alla ditta oltre un miliardo. “Siamo in contenzioso per il risarcimento - aveva ricordato l’amministratore generale - di fronte a una così importante spesa per le penali non sarebbe più intelligente dire 'perché non lo facciamo?'. Se la domanda è: 'Noi siamo disponibili a rinunciare alle penali se si fa il Ponte?’. La risposta è: ‘Certo’”. Un ragionamento dal tono “velatamente minaccioso”. A due anni di distanza il premier Renzi si è deciso ad azzerare il decreto del governo Monti, quello del dicembre 2012, che aveva messo una pietra tombale sulla grande opera che collega la Sicilia alla Calabria, rilanciando il progetto in grande stile.
E non è un caso che proprio quattro giorni addietro, in un’intervista al Corriere, sempre Salini (che ha dichiarato di sostenere il referendum “non per il ponte ma per il futuro del Paese”) aveva rilanciato il progetto parlando di soli sei anni necessari alla realizzazione dell’infrastruttura. Il Capo del Governo oggi risponde ed ovviamente non tiene conto dei rischi immensi che si nascondo dietro la realizzazione dell’opera a cominciare dagli eventuali interessi delle criminalità organizzate.
Nel passato non sono mancate le inchieste e le relazioni della Dia che hanno parlato del ruolo che le mafie potrebbero avere nella costruzione di questa grande opera. Ma questo non riguarda solo la vecchia pratica dell’estorsione-protezione, accaparrandosi subappalti, fornendo materiali, reclutando manodopera o affini. Il livello raggiunto oggi dalle organizzazioni criminali, infatti, dimostra l’evoluzione delle mafia che mira sempre più all’universo finanziario e che è capace di insinuarsi all’interno di grandi gruppi imprenditoriali. Basta ricordare la relazione della Dia, trasmessa al Parlamento nel novembre 2005 che affermava: “la mafia è pronta ad investire il denaro del narcotraffico nella costruzione del Ponte sullo Stretto di Messina”. Una relazione che si basava particolarmente su quanto dimostrato dall’inchiesta “Brooklyn” in cui si individuava un’operazione concepita da Cosa Nostra per riciclare 5 miliardi di euro provenienti dal traffico di droga proprio nella realizzazione dell’infrastruttura.
Ma anche la storia recente di inchieste sulle grandi opere, come l’autostrada Salerno-Reggio Calabria, hanno spesso messo in evidenza un forte intreccio di interessi tra grandi imprese, famiglie mafiose, storiche ed emergenti, politici e amministratori.
E in un Paese come il nostro dove la Corruzione viaggia ai livelli più alti di sempre, in cui l’illegalità viene considerata una risorsa e l’impunità è all’ordine del giorno, un’opera come quella del Ponte sullo Stretto diventa un’occasione “ghiotta”.
Quel che è certo è che c’è già chi è pronto a dare battaglia come il sindaco di Messina Renato Accorinti: “Una follia per il Meridione e siamo stanchi degli annunci sui posti di lavoro. Ci sono motivazioni forti che ci spingono a dire di no e nessuno si azzardi, neanche Renzi, a parlare di Ponte sullo Stretto perché divento una belva. Vogliono fare populismo ma la nostra città si opporrà in tutti i modi”. “Ho fatto 15 anni di battaglia contro questa infrastruttura per la quale sono già stati sperperati 600 milioni di euro - aggiunge il primo cittadino - Renzi rinnega le sue stesse parole: quando eravamo in Calabria per inaugurare Terna il premier disse che il Ponte sullo Stretto si sarebbe potuto fare solo dopo aver completato tutte le infrastrutture nel meridione. Oggi, da Salerno in giù c’è il deserto infrastrutturale e la Sicilia ha la peggiore ferrovia d’Europa, andiamo ancora a binario unico e a gasolio. Ora cosa vuole fare il Presidente del Consiglio? Spendere cifre inimmaginabili per 3 km di ponte che collega due pezzi di deserto?”.
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